GIANNI MURA, la Repubblica 1/12/2010, 1 dicembre 2010
SCHEMI, CLASSE E VELOCITÀ MAI NESSUNO COME IL BARÇA
Come gioca il Barcellona si gioca in paradiso, e lì il più lieto dello spettacolo dev´essere stato Liedholm. La squadra di Guardiola segue le idee di Nils, ma a ben altra velocità. Per il resto vale l´adagio: "Finchè il pallone ce l´abbiamo noi non ce l´hanno loro". Elementare, senza pallone non si fanno azioni e non si segna. Il Real è stato abbattuto, non solo battuto, anche se a Mourinho non piace ammetterlo. Pure, in un certo senso lo 0-5 di lunedì rivaluta il Mourinho interista, che un Barcellona quasi uguale (mancava Iniesta, Villa era altrove) lo eliminò, con un po´ di fortuna ma giocando il ritorno in 10.
Il Barcellona esibisce a memoria un calcio molto bello, fatto di tecnica, velocità e gusto del gioco. Il suo limite sta solo nella ricerca della perfezione, nel voler segnare sempre dall´area piccola. La sua forza sta nel credere ciecamente in questo stile di gioco, che coniuga la pazienza del ragno alla rapidità dello scorpione. Cruijff ha gettato i semi, Guardiola ha fatto crescere la pianta. Cinque gol (nessuno di Messi, in serata vagamente storta) e potevano essere di più. Ora si capisce perché in capo a una stagione Ibrahimovic sia stato respinto come un corpo estraneo. Perché, pur segnando la sua parte, appartiene a un altro calcio. Che non vuol dire essere meglio o peggio, ma solo diverso, portatore di altri valori. Tant´è che in Italia è amatissimo, rispettato, unico. Dove va lui arriva lo scudetto e ci si può permettere il lusso di giocare senza gioco: palla lunga e ci pensa il gigante. Un lancio alto e lungo dalla difesa all´attacco per il Barcellona non è un errore, è un´eresia.
Con l´ingresso di Jeffren, lunedì erano 9 i giocatori usciti dalla cantera, ossia dal vivaio. Una percentuale del genere ce la scordiamo. L´Italia non è un Paese per giovani, nemmeno per giovani calciatori. Qui, finché le cose non cambieranno radicalmente, si misurano in centimetri e chili. La tecnica è la grande sconosciuta, in compenso tutti corrono molto (spesso a vuoto), forse perché, come dice Galeone, insegnare a correre è più facile che insegnare a giocare. La ragnatela del Barcellona si fonda su una tecnica impressionante, ma anche su un pressing alto e ben coordinato. Alta è anche la percentuale di piedi buoni rispetto a quelli un po´ scarsi. In gergo, di manovali rispetto ai violinisti. Puyol, Abidal e Busquets sono i manovali, punto e basta. Se Iniesta o, in seconda battuta, Xavi, non vince il Pallone d´oro, è uno scandalo. Due così simili in Italia nessuno li farebbe giocare insieme. Guardiola sì, e il doppio regista è una delle chiavi del successo. In più il Barcellona piace perché si vota a un calcio di rara bellezza, direi quasi musicale. A chi guarda sembra tutto facile, spontaneo, ma dietro a certi tagli, a certe aperture c´è molto lavoro nelle prove, cui corrisponde molto entusiasmo nelle recite che contano.
Faccio fatica a immaginare Guardiola su un´altra panchina, Inter o Chelsea che sia. Oppure con lui si ingaggia almeno mezza squadra. Altrimenti rischia di essere come Ibrahimovic al Barcellona: un alieno. Ma questo un allenatore non può permetterselo. Merita un grazie da tutti quelli a cui piace il calcio spavaldo, leale, allegro e che mette allegria. Alle spalle di questo Barcellona metto nell´ordine il Milan di Sacchi, la Honved di Jeno con la supervisione di Sebes, il Real di Di Stefano, l´Ajax di Michels e Cruyff, la Juve del Trap, di Scirea e Platini e l´Inter europea di Herrera. Partiamo da qui: tutto l´opposto, fiducia nel contropiede orchestrato dal grandissimo Luisito Suarez e favorito dalla velocità di Jair e Mazzola, dalla corsa di Facchetti, da una difesa molto forte. Squadra italianista come poche. Italianista anche Trapattoni, ma la Juve che perse ad Atene con l´Amburgo era una signora squadra poco italiana, illuminata dal genio di Platini e dalla classe di Scirea, infiammata dall´anarchia di Boniek e dalle sgroppate di Cabrini. C´era in questa Juve un po´ dello spirito dell´Ajax, solo un terzino e lo stopper a tenere la posizione, gli altri liberi di scambiarsela su e giù per il campo. All´Ajax già allora c´era l´attenzione al vivaio, la valorizzazione dei giovani, i maestri di tecnica per i ragazzini. Mentre il Real, ben prima di Perez setacciava campioni in giro per il mondo. Kopa dalla Francia, Puskas dall´Ungheria, Di Stefano (poi naturalizzato spagnolo) dall´Argentina. Era il Real che dominava in Europa, un attacco che incantava e una difesa (Zoco, Pachin) di picchiatori. La Honved perse Puskas e altri pezzi e si perse coi carri armati del ´56. Era la base della Nazionale, sempre allenata da Sebes, stesso gioco, solo con Palotas centravanti arretrato al posto di Hidegkuti. Molti abboccavano ai numeri sulle maglie, ma i veri attaccanti erano l´8 e il 10, Kocsis e Puskas.
Il Milan di Sacchi si continua a dire, forse perché sarebbero troppi i giocatori simbolo. Questa squadra ha cambiato l´immagine del calcio italiano, rinunciatario e timido in trasferta, catenacciaro a oltranza, sempre teso a portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo. In casa o fuori, per quel Milan era la stessa cosa, dopo qualche minuto gli altri erano barricati (all´italiana) nella loro area. Era un Milan che univa il vigore fisico (Gullit, Rijkard, Costacurta) alla tecnica (Van Basten, Donadoni, Maldini). Con un´intensità, per dirla con Sacchi, fin lì sconosciuta. Il Milan toglieva spazio, toglieva fiato. Paradossalmente, si difendeva attaccando, senza mai sguarnire l´ultima linea, a costo di ricorrere sistematicamente al fallo tattico e al fuorigioco insistito, e regolato dal braccio di Baresi. Era un Milan di granatieri, tolti Evani e Donadoni, mentre il Barcellona è in larga parte formato da minigiocatori. Ma questo è il bello del calcio: non è il fisico a fare la differenza. Quando arriveremo a capirlo anche in Italia, si potrà cercare di imitare il Barcellona, che oggi è semplicemente inimitabile.