MASSIMO GIANNINI , la Repubblica 1/12/2010, 1 dicembre 2010
LA MONETA SPEZZATA - I
governi d´Europa si affannano a ripetere che «la moneta unica non è a rischio». Ricordano i passeri di Arthur Koestler, che in «Schiuma della terra» cinguettano sui fili del telegrafo, mentre sugli stessi fili corre l´ordine di ucciderli.
È il momento della verità, per le leadership politiche e le nomenklature tecnocratiche. A dispetto delle dichiarazioni rassicuranti di Angela Merkel e di Jean-Claude Trichet, i mercati finanziari hanno cominciato a giocare una partita più grande, che va oltre i debiti sovrani dei "Pigs". Oggi - come si ammette per la prima volta al ministero del Tesoro - non è in pericolo solo la tenuta dei singoli Paesi del "Club Med": «In gioco, ormai, c´è l´euro».
È la moneta unica che può saltare davvero, sotto i colpi di quella che viene impropriamente definita la «speculazione». La «fine dell´euro» è un evento politicamente insostenibile, ed anche tecnicamente ingovernabile (come ha spiegato su questo giornale Luigi Spaventa). Ma il dubbio che prima o poi l´Unione monetaria europea possa disgregarsi davvero non appare più così remoto. Il sospetto che convenga tornare alle valute nazionali, o ripiegare su due euro (uno per i Paesi forti del Nord, l´altro per i Paesi deboli del Sud) inizia a farsi strada. Per lo meno, nelle cancellerie ci si comincia a ragionare. Tra gli economisti se ne discute. Ma quello che più conta, è che i mercati sembrano crederci. E tanto basta a scatenare l´eurodelirio di questi giorni.
Un eurodelirio che per la prima volta investe anche l´Italia. Se persino il Richelieu di Palazzo Chigi, Gianni Letta, si spinge a dire in pubblico che esiste «una preoccupazione forte» su un rischio di contagio «forse anche per l´Italia», vuol dire che il livello di guardia è stato raggiunto. La sortita del sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha fatto infuriare Giulio Tremonti. Con chi lo incontra in queste ore, il ministro dell´Economia schiuma rabbia contro il braccio destro di Berlusconi: che ne sa di mercati internazionali, lui che è stato a malapena a Milano un paio di volte? Ma Tremonti sa che Letta, sull´effetto-domino, non ha per niente torto. Ci sono segnali inequivoci. Per quanto riguarda l´Italia, lo spread tra i Btp decennali e i bund tedeschi ha sforato quota 210 punti base. La stessa cosa è accaduta per i Cds, i contratti con i quali gli operatori si assicurano dal rischio di default di un Paese, schizzati a quota 263 punti. È il segno che i mercati, non fidandosi della tenuta italiana, chiedono un premio di rischio più alto per continuare a investire sui nostri titoli. Per quanto riguarda l´Europa, continua lo stillicidio sui Paesi «periferici» (Grecia, Irlanda e Portogallo). Ma l´attacco speculativo si estende anche alla Spagna. E da ieri addirittura al Belgio. «E se nel mirino finisce il Belgio - si sostiene a Via XX Settembre - il rischio non è più nazionale, ma diventa sistemico». La conferma, esplicita, è nella caduta dell´euro e nel crollo delle Borse.
Se questo è lo scenario, in lento e graduale disfacimento, bisogna capire se ci sono margini per salvare i singoli Paesi sotto attacco, e in prospettiva la moneta unica. E per capirlo, bisogna ascoltare ciò che si dice nelle due trincee dove si sta combattendo la partita. La prima trincea, per quanto riguarda l´Italia, è appunto il ministero del Tesoro. Tremonti è chiuso nel suo ufficio, muto come un pesce. Ma la sua versione dei fatti è la seguente. Domenica scorsa, all´Ecofin, l´Ue ha fatto quello che poteva per far partire il piano di salvataggio da 85 miliardi per l´Irlanda. Consapevole delle incognite presenti sui mercati, il ministro si è battuto per far discutere e approvare, prima del "bailout irlandese", la riforma del «meccanismo di salvataggio». L´European Stability Mechanism, che sostituirà quello temporaneo appena creato (l´Efsf) e che dal 2013 fornirà sostegno ai Paesi in difficoltà. È «un compromesso accettabile», per Tremonti: «Il meccanismo diventa permanente, e così si crea in nuce una sorta di Fondo monetario europeo...». Più di questo, per il ministro italiano, i governi in questo momento non potevano fare.
Consapevole dei limiti dell´Europa politica, Tremonti ha messo nel conto la reazione dei mercati, che infatti non hanno premiato l´accordo. E questo non può non preoccupare il ministro. Non la posizione italiana, che lui considera sotto controllo. Le tensioni sui nostri Btp riflettono le incognite generali e «di sistema», oltre che specifici «aspetti tecnici»: siamo alle ultime aste, dicembre è da sempre un mese poco liquido. I timori sul nostro debito, a suo giudizio, sono esagerati: resta alto, ma il suo costo non è aumentato molto, e le dinamiche della finanza pubblica, a partire dal deficit, sono «sotto controllo». Per questo, a Via XX settembre non puoi parlare di manovra aggiuntiva da 45 miliardi, che la Ue potrebbe imporci dopo il Consiglio dei capi di governo del prossimo 16 dicembre. Tremonti giudica questa una «leggenda metropolitana». Intanto perché l´eventuale nuova disciplina del Patto di stabilità scatterebbe dal 2014. E poi perché in ogni caso, rispetto a un Trattato che non fissa numeri precisi ma parla di un rientro dal debito «in misura sufficiente», il nuovo Patto terrà comunque conto dei «fattori di sostenibilità complessiva» di ciascun Paese. E su questo, secondo il ministro, l´Italia è seconda solo alla Germania, tra «risparmio privato, solidità delle banche e pensioni già riformate».
Dunque, secondo Tremonti nessun caso Italia, nessuna manovra aggiuntiva. Neanche quella ipotizzata ieri dalla Ue e cifrata in 7 miliardi, che sarebbero necessari solo là dove il quadro previsivo fissato dal governo italiano, tra andamento del Pil e delle entrate fiscali, non fosse rispettato. Il ministro è convinto che lo sarà, perché il Prodotto lordo, ancorché fiacco, è in linea con le stime, e il recupero di evasione fiscale è già «in the bag», per usare una formula che gli è cara. E allora cosa rischiamo? A sentire Via XX Settembre, nulla come Paese, tutto come sistema. E come se ne esce? Tutto dipende dalla Bce: se farà come la Fed, e cioè comprerà titoli e riverserà liquidità sui mercati, la speculazione si placherà, e l´euro si potrà salvare. In caso contrario, si entra in una terra incognita, insidiosissima. E questa opinione, in base alle ricostruzioni che circolano al Tesoro, è condivisa anche dagli altri governi dell´Eurozona, a parte la Germania.
Ma le cose stanno realmente così? Per capirlo, bisogna spostarsi nell´altra trincea, cioè a Francoforte, per sentire la versione della Bce. Una versione che non coincide con quella delle cancellerie. Anche all´Eurotower le bocche sono cucite, compresa quella del membro italiano del board, Lorenzo Bini Smaghi, in vista del consiglio di domani. Ma la linea della banca centrale è già segnata: «Non saremo noi a togliere le castagne dal fuoco dei governi». Quello che sta avvenendo sui mercati, secondo gli uomini della Bce, ha una lettura opposta a quella che ne danno i governi. Il fatto che la speculazione stia colpendo i Paesi più deboli dell´area dimostra esattamente che non c´è un problema di «sistema» che riguarda tutti, ma un problema di «scarsa virtù finanziaria» che riguarda solo alcuni. «Guarda caso - dicono a Francoforte - i Paesi sotto attacco sono quelli che hanno problemi enormi sul fronte delle banche, come l´Irlanda, o quelli che non hanno fatto riforme vere, dalla Pubblica Amministrazione al mercato del lavoro, come la Spagna, e quelli che sommano, a queste mancate riforme, un alto tasso di instabilità politica, come l´Italia». Dunque, secondo la Bce, da questa palude in cui la moneta unica affonda si esce solo se i governi dei Pigs prendono coraggio, e cominciano a fare quello che devono: riforme vere.
Certo, in queste ore febbrili in cui molto è in gioco per l´Europa politica e monetaria, la Banca Centrale non si rifiuta di fare la sua parte. Ha cominciato a muoversi un po´ come la Fed: pare infatti che ieri l´Eurotower abbia effettuato acquisti consistenti di titoli sul mercato secondario, soprattutto presso banche asiatiche. È un buon segnale di disponibilità. Che tuttavia non va equivocato: «Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità - dicono a Francoforte - ma solo a condizione che i governi facciano altrettanto». Come è evidente, la logica è ribaltata rispetto a quella del governo italiano e degli altri governi. Che resistono, e invocano il «DDD problem», acronimo che sta per «Doomed Debtors Dilemma»: più adotti politiche di rigore per contenere il deficit, più deprimi l´economia e il Pil, e così finisce per far lievitare ulteriormente il deficit.
Il conflitto tra queste due linee nasconde in realtà due «culture». Da un lato quella più pragmatica della maggior parte dei soci fondatori dell´Unione, dall´altra quella più ortodossa della Germania e dei suoi satelliti, di cui la Bce continua ad essere l´emanazione monetaria. Ma proprio nello scontro tra questi due schieramenti si annidano le insidie maggiori. Quanto potrà reggere la Germania, con una crescita impetuosa che sarà il triplo della media europea nei prossimi 5 anni, come confermano gli ultimi dati Ifo? Per ora non c´è risposta. E le parole ambigue, e spesso contraddittorie pronunciate in queste settimane dalla Merkel lasciano aperte tutte le ipotesi. Non tutte le sue uscite destabilizzanti si possono spiegare con la tornata elettorale del prossimo marzo nel Baden Wurttemberg, che spinge la Cancelliera a rassicurare i suoi elettori sul fatto che non saranno i contribuenti tedeschi a dover pagare le pensioni allegre degli spagnoli o i pingui salari pubblici degli italiani. C´è dell´altro. In prospettiva, proprio Berlino potrebbe diventare l´epicentro di un sisma monetario.
Per tutte queste ragioni, oggi, il peggio può essere dietro l´angolo. Purtroppo lo è per l´Italia, che nei prossimi giorni rischia di finire sulla graticola dei mercati. E lo è per l´euro, che nei prossimi mesi rischia di finire nel tritacarne della Storia. Di trasformarsi in incubo, dopo esser nato come sogno. Per tornare a Koestler, «nessuna morte è triste e definitiva come la morte di un illusione».