Daniele Martini, il Fatto Quotidiano 30/11/2010, 30 novembre 2010
COSÌ È FALLITO IL PIANO CASA DEL GOVERNO
Se qualcuno avesse in mente di produrre uno spot sui rischi del federalismo, non troverebbe di meglio che la storia del Piano casa. Un progetto grandioso, nelle intenzioni del suo sponsor, Silvio Berlusconi, una cuccagna che avrebbe fatto crescere di 200 mila unità l’occupazione nel settore del mattone e mosso investimenti di oltre 50 miliardi di euro in 3 anni, quattrini dei privati, senza aggravi sulle casse statali. Un’idea così innovativa che si è trasformata in un flop da antologia. Per un motivo soprattutto: la programmazione del territorio è un tema locale per eccellenza (si parla di legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni, articolo 117 della Costituzione). Lo Stato dà le linee generali, ma le decisioni concrete spettano alle amministrazioni periferiche.
L’intervento del governo centrale, con una legge calata dall’alto, ha complicato tutto. Proprio l’esecutivo che del federalismo ha fatto la sua bandiera, è entrato a gamba tesa sugli enti locali. I governatori regionali, per la verità, ci hanno messo buona volontà per evitare che il piano del governo deragliasse e per una decina di mesi hanno trattato in via della Stamperia con il ministro Raffaele Fitto (Affari regionali), per tentare di migliorare un’impostazione nata male. Gli incontri sono stati più di 50 e il primo aprile del 2009 è stato anche firmato un accordo. Ma era un pesce, la frittata era fatta e il Piano non è decollato. Alla fine ogni Regione è andata per conto suo.
LA CONFINDUSTRIALE Finco (impianti e prodotti per le costruzioni) diretta da Angelo Artale ha raccolto in un documento la congerie di decisioni assunte sul piano casa a livello periferico. Alcune Regioni, per esempio, hanno stabilito che le agevolazioni governative (aumento dei volumi del 20 per cento per le case mono e bi-familiari) sarebbero durate 18 mesi (in Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria stanno addirittura già scadendo), in altre 2 anni, in altre ancora sarebbero state permanenti. A Bolzano hanno bocciato il bonus, in altre parti è stato portato al 35, in altre al 40. Il Lazio non ha voluto il bonus per le villette, ma ha optato per un premio fino al 60 per cento per i grandi palazzi, a patto che i vecchi immobili fossero distrutti e si costruisse da un’altra parte. In Sicilia dove sulle spiagge hanno edificato 80 mi-la case abusive avrebbero voluto che il piano fosse esteso anche alle abitazioni condonate. In Sardegna il bonus l’hanno concesso anche agli alberghi, ma in misura ridotta (10 per cento). In Calabria hanno deliberato solo alcune settimane fa. Per le procedure di demolizione e ricostruzione di grandi edifici molte Regioni hanno ripreso il tetto volumetrico della legge governativa (35 per cento in più) salvo accorgersi poi che gli imprenditori non lo ritenevano sufficiente e quindi invece di intervenire scappavano.
Con queste premesse era inevitabile che il grandioso progetto si sbriciolasse. E così è stato. In tutta Italia a settembre le domande per ampliamenti erano 2.700, in media 42 per città. Un fiasco totale. Con una sola eccezione, il Veneto, dove prima dell’alluvione il piano cominciava a funzionicchiare con circa 10 mila domande presentate. Per due motivi, uno politico e uno connesso alla struttura abitativa del territorio. Il motivo politico è legato a Giancarlo Galan, Pdl, governatore regionale ai tempi del varo del piano governativo e oggi ministro dell’Agricoltura. Si dice che sia stato proprio lui il suggeritore di Berlusconi e infatti il progetto sembra studiato proprio sulla realtà veneta: una regione caratterizzata da una specie di città diffusa, con una miriade di case mono o bifamiliari, con molte famiglie benestanti (almeno fino a qualche tempo fa), disposte a mettersi le mani in tasca per investire nell’allargamento dell’alloggio.
BASTA SPOSTARSI un po’ e il quadro cambia radicalmente. In Lombardia le domande sono state appena 216 mentre il 60 per cento dei 1546 comuni che ha deciso di affrontare la faccenda ha introdotto misure restrittive rispetto alla norma governativa. A Milano su circa 12 mila pratiche edilizie aperte, meno di 100 sono collegate al piano casa. In Toscana, Emilia ed Umbria, le regioni rosse hanno interpretato la norma del governo in senso restrittivo per evitare rischi di cementificazione e di conseguenza le richieste di accesso al piano sono casi rari. Nel Sud la proposta governativa si è scontrata con una bassa propensione delle famiglie a dare fondo ai risparmi in un momento nero come questo.
Di fronte a cifre di adesione da zero virgola, il giudizio degli addetti ai lavori è unanime e impietoso. Alfredo Martini che per il Cresme (Centro di ricerche dell’edilizia) ha fatto il giro d’Italia organizzando 16 riunioni in altrettante regioni con più di 5 mila partecipanti: “È stata un’operazione mediatica contrassegnata da una scarsa conoscenza delle normative”. Massimo Ghilori, direttore mercato privato dell’associazione costruttori (Ance): “Una grande delusione”. Alessandra Graziani, architetto del centro studi Fillea, il sindacato di settore Cgil: “Hanno affrontato con faciloneria una faccenda complessa ed è finita male”.