Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 30/11/2010, 30 novembre 2010
ROMA. LA FORTUNA DELLE ROVINE
Chi varca l’ingresso di Palazzo Sciarra, aperto per la prima volta al pubblico, può dare via libera all’immaginazione e mettersi nei panni del viaggiatore che in pieno Settecento arriva a Roma da un qualsiasi Paese europeo per immergersi in una città dove fervono gli scavi archeologici, le botteghe degli artisti che si ispirano ai reperti greci e romani o ne fanno copie, le scuole di restauro, il via vai dei mercanti, i primi musei come i Capitolini e il Pio Clementino, che valorizzano le raccolte di antichità cominciando a orientare il gusto degli studiosi e dei collezionisti. Il viaggio nel tempo è offerto dalla mostra «Roma e l’Antico. Realtà e visione nel ’700» ideata dalla Fondazione Roma per inaugurare il suo nuovo spazio espositivo su via del Corso.
«Grazie a questa iniziativa — precisa Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione — alcuni capolavori fuoriusciti dall’Italia nel Settecento, per arricchire le collezioni delle antichità più prestigiose dell’epoca, rientrano per la prima volta dall’estero». Ed ecco, tra le sculture antiche, l’Erma di Pericle, che fu ritrovata nel 1779 a Tivoli e subito trasportata in Vaticano, dove fu esposta al Museo Pio Clementino. Per l’occasione il poeta Vincenzo Monti compose dei versi con i quali metteva a confronto le virtù del celebre politico ateniese con quelle di papa Pio VI, le glorie della Roma contemporanea con quelle di Atene classica, per concludere che la città pontificia ben meritava la palma della vittoria nella valorizzazione delle belle arti. Dal Prado di Madrid rientrano la Musa in marmo bianco (copia romana del primo secolo dopo Cristo da un modello tardo ellenistico attribuito a Filisco di Rodi) e la testa di Serapide, entrambe appartenute alla collezione di Cristina di Svezia poi venduta a Filippo V. Il re di Spagna, che aveva sposato in seconde nozze Isabella Farnese, riuscì ad aggiudicarsi la raccolta, ambita anche dagli zar, per la Granja di San Ildefonso, dimora privata che aveva cominciato a costruire nei pressi di Segovia e dove sognava di ritirarsi. Lì arrivarono, tra il 1725 e il 1726, le centosettantadue casse contenenti sculture, colonne di marmo e piedistalli di legno, viaggiando via mare da Civitavecchia e Genova fino ad Alicante e poi con un carro fino alla Granja.
Dal Kunstsammlungen proviene l’Athena Lemnia, che il principe elettore di Sassonia Federico Augusto acquistò nel 1728 dalla collezione del cardinale Alessandro Albani. Il Louvre ha prestato la splendida Minerva d’Orsay in onice dorato, di età adrianea, comprata nel 1777 dal conte francese Pierre Gaspard Marie Grimod d’Orsay. Un restauratore dell’epoca aveva aggiunto al torso originale la testa, le braccia e i piedi in marmo bianco e l’egida in agata. Una pratica, questa delle integrazioni, che era tipica dei restauri del Settecento. I lavori venivano infatti affidati a celebri scultori che spesso reinventavano addirittura i soggetti delle statue. Come avvenne per la statua di Pothos, scavata nel 1785 e restaurata da Giovanni Pierantoni come Apollo Citaredo, aggiungendo al torso un testa della Galleria Giustiniani, oltre a braccia e gambe nuove.
Un altro esempio rimarchevole è offerto dal Vaso colossale di Giovanni Battista Piranesi, proveniente dall’Ermitage di San Pietroburgo. Il cratere, alto più di un metro, venne realizzato assemblando la balaustra di un antico pozzo romano con altri frammenti risalenti a secoli diversi e con il coperchio creato da Piranesi stesso. Sempre dall’Ermitage arriva l’Amore alato, commissionato ad Antonio Canova dal principe Nikolaj Yusupov, consulente del granduca Pavel Petrovic (futuro zar Paolo I), che tra il 1781 e il 1782 aveva soggiornato a Roma sotto lo pseudonimo di conte del Nord. La passione dei russi per le antichità romane era cominciata all’inizio del secolo con Pietro il Grande. Prima di allora infatti la scultura tridimensionale non era conosciuta, a causa del veto della Chiesa ortodossa. Il giovane zar non solo mise insieme una importante collezione di sculture destinata a decorare i palazzi e i parchi imperiali, ma commissionò a Roma una serie di copie delle più celebri statue grecoromane per la nuova Accademia di belle arti di Pietroburgo, allo scopo di educare, come venne scritto, «le persone russe».
Altrettanto notevoli sono infine, nel percorso espositivo che presenta 140 opere, i dipinti. A cominciare dall’esemplare nudo accademico di Ettore, realizzato a Roma da Jacques Louis David e conservato a Montpellier. E poi i quadri di Raphael Mengs, Gaspar van Wittel, Giovanni Paolo Panini, Pompeo Batoni, Angelica Kauffmann, che all’Antico guardarono per trarre ispirazione.
Lauretta Colonnelli