Viviana Mazza, Corriere della Sera 30/11/2010; Maria Serena Natale, ib., 30 novembre 2010
2 articoli - PIRATA ETICO O CRIMINALE? I SEGRETI DI JULIAN — Stavolta il «direttore di Wikileaks» non si è presentato in carne e ossa per difendere la diffusione degli ultimi file riservati, come fece invece a Washington ad aprile, o a Londra a luglio e ad ottobre
2 articoli - PIRATA ETICO O CRIMINALE? I SEGRETI DI JULIAN — Stavolta il «direttore di Wikileaks» non si è presentato in carne e ossa per difendere la diffusione degli ultimi file riservati, come fece invece a Washington ad aprile, o a Londra a luglio e ad ottobre. Solo un breve collegamento video, da luogo ignoto, per parlare ai giornalisti ad Amman, in Giordania. L’aria si fa irrespirabile intorno a Julian Assange, l’australiano 39enne dai capelli bianchi, gli occhi freddi e la voce baritonale che nel 2006 ha fondato Wikileaks. Mentre si moltiplicano i politici che vogliono vederlo sotto processo — e il ministro della Giustizia Usa, Eric Holder, annuncia l’avvio di indagini penali — potrebbe rischiare pure di perdere il passaporto. Il ministro della Giustizia australiana Robert McClelland ieri non l’ha escluso. Assange è un nomade. Non resta mai più di sei settimane nello stesso posto. Vaga con lo zaino pieno di cellulari, tessere telefoniche, hard drive e calzini. Si dimentica di mangiare, dorme poco, secondo un ritratto del New Yorker. Gli ultimi 8 mesi sono stati frenetici. A marzo in Islanda ha preparato con lo staff il video che mostra la strage Usa di civili in Iraq, in America l’ha presentato, poi è andato in Svezia, uno dei paesi dove ci sono i server di Wikileaks, ma i rapporti con due donne hanno portato ad un mandato d’arresto contro di lui per stupro e molestie (lui dice che il sesso era consensuale). Poi Berlino, Londra... Il 4 novembre alla tv elvetica diceva che avrebbe chiesto asilo in Svizzera. E intanto il mondo si chiede: «hacker etico» o criminale? Per i fan, è un paladino della verità. Per i critici, avido di pubblicità, è pronto a diffondere dati che mettono a rischio molte vite. Non avendo censurato i nomi contenuti nei file riservati su Iraq e Afghanistan diffusi a luglio e a ottobre, è stato criticato per aver messo a rischio, tra gli altri, i collaboratori locali degli Usa. Prima di quest’ultimo scoop, denominato «Cablegate», però, ha inviato un’email al dipartimento di Stato Usa offrendo di cancellare i nomi di eventuali persone a rischio. Washington ha risposto che non negozia con lui, che ha replicato: «I rischi sono un pretesto. Volete nascondere prove di abusi dei diritti umani e altri crimini». Per Assange la vera battaglia non è tra destra e sinistra, tra fede e ragione, ma tra l’individuo e le istituzioni, che per definizione corrompono lo spirito umano. Ieri notte in un’intervista a sorpresa a Forbes ha annunciato che il suo prossimo obiettivo «è una grande banca americana». Quale non l’ha detto. «In uno di quei settori che sono estremamente ben pagati — ha però aggiunto — come Goldman Sachs». Al suo fianco, 40 volontari fidati e altri 800 che mantengono i server in luoghi sconosciuti, secondo il New York Times. I soldi? Secondo il Wall Street Journal, nei primi 8 mesi del 2010 Wikileaks ha raccolto 1 milione di dollari, dopo un appello lanciato a dicembre quando il sito aveva chiuso per mancanza di fondi. PayPal ha chiesto spiegazioni per l’improvvisa ondata di denaro. Il sito ha spiegato: «Non ricicliamo mica denaro sporco, sono donazioni». Non mancano le critiche per i «fondi oscuri», in gran parte ricevuti presso la fondazione Wau Holland protetta dalla legge tedesca. E poi «siamo registrati come biblioteca in Australia, fondazione in Francia, giornale in Svezia», ha spiegato Assange. Ma il suo vero problema, secondo alcuni giornali, è che alcuni volontari lo stanno abbandonando definendolo «dispotico». In estate ha sospeso il numero due, Daniel Domscheit-Berg che lamenta che Assange ormai è ossessionato dalla battaglia contro gli Usa. La chat e l’invio di materiali al sito sono adesso sospesi per la mancanza di staff, ipotizza qualcuno. Assange s’infuria se interrogato su questi argomenti: ha accusato il New York Times di comportarsi da tabloid e a Larry King della Cnn ha detto che dovrebbe «vergognarsi» a fare domande «sensazionalistiche» mentre i file sull’Iraq «provano la morte di 109.000 persone». Viviana Mazza «ECCO COSA RISCHIA E QUALI PAESI POSSONO PROCESSARLO» - In molti vorrebbero incastrarlo per la fuga di notizie del secolo ma finora l’unica accusa formulata contro Julian Assange è quella per stupro e molestie sessuali che il 18 novembre ha spinto la magistratura svedese a spiccare un mandato d’arresto internazionale. Cuno Tarfusser, giudice italiano alla Corte penale internazionale dell’Aja, quali potrebbero essere le basi giuridiche per un’azione penale? «Un primo punto da chiarire è la competenza degli Stati. Non siamo nel campo del diritto penale internazionale che si fonda su valori universalmente riconosciuti. Va stabilito quale norma penale sia stata violata e in quale Paese». Gli Stati Uniti sono la prima parte lesa. «Dove ritengo siano state violate norme su sicurezza nazionale e segretezza. Sarà compito degli americani procedere e cercare sinergie investigative con gli altri Paesi colpiti». Complicato in un’azione di hackeraggio tanto ramificata... «Gli svedesi potrebbero sequestrare i server che contengono indicazioni su accesso ai dati e flusso delle informazioni. Potrebbe poi agire Canberra, Assange è cittadino australiano». E ha scelto la Svezia come base operativa per l’ampia tutela alla libertà di stampa e di espressione. «Che però c’entra poco. Chi viola il segreto al quale è tenuto non è una fonte protetta ma complice di reato». In quali circostanze potrebbe muoversi l’Italia? «Se emergesse che il reato è stato in parte commesso nel nostro Paese, se nella rivelazione dei dati fossero coinvolti cittadini italiani o si scoprisse che documenti riservati sono stati acquisiti violando un server su territorio italiano». Quali debolezze emergono da tutta la vicenda? «L’impressione è che le normative fatichino a stare al passo con la tecnologia. E di sicuro vanno rivisti tempi e modalità delle comunicazioni diplomatiche. In contesti tecnologici sempre più raffinati è difficile immaginare un livello di segretezza inviolabile, non mi meraviglierebbe un ritorno a forme di comunicazione più tradizionali». Maria Serena Natale