Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 30/11/2010, 30 novembre 2010
RIDATE IL 5 PER MILLE ALL’ITALIA DEL BENE
«Aiuta l’Italia che aiuta». Era bellissimo lo slogan della campagna del governo per spingere tutti a dare una mano al volontariato. Così bello da rendere insopportabile che lo stesso governo rinneghi quel messaggio e quelle paginate di carezze agli infermi, minestre ai vecchi, caffè caldo ai barboni impossessandosi della cassa del 5 per mille. Quella cassa che gli italiani avevano destinato a chi nell’assistenza, nella ricerca, nella dedizione agli altri tappa proprio i buchi dello Stato. C’è ancora una settimana di tempo, per azzerare la scelta sventurata fatta alla Camera. E lo stesso Giulio Tremonti davanti alle polemiche, alla rivolta online, alla raccolta di firme della rivista
Vita lanciata con un paio di slip («chi ci ha lasciato in mutande?») ha giurato al Fatto che lui non c’entra: «Il 5 per mille è una idea di cui sono orgoglioso e voterò per reintegrarlo. Il fondo attuale, pari a 100 milioni, è iniziale e può, deve, essere integrato. L’importo previsto all’inizio, pari a 400 milioni, è stato eroso da successive diverse scelte parlamentari, come quella di incrementare i fondi per l’editoria o per le televisioni private. Rispetto a tutte le altre scelte preferivo e preferisco in assoluto il 5 per mille».
Sarebbe stato il colmo, se non l’avesse detto. Tempo fa, alla stessa Vita, aveva dichiarato: «Il terzo settore è l’unica speranza per produrre, con costi limitati, ma con effetti moltiplicatori quasi illimitati, la massa crescente di servizi sociali di cui abbiamo (e avremo) sempre più bisogno. Valorizzare concretamente il terzo settore non è quindi un costo per lo Stato, ma un investimento».
Parole d’oro. Confermate da uno studio del Csv (Centro di servizio per il volontariato), che Lino Lacagnina, il presidente milanese, ha riassunto giorni fa su Avvenire: «Soltanto tra Milano e provincia nell’ultima tornata sono arrivati 47 milioni, di questo passo ne arriveranno meno di 12».
Briciole in confronto agli «84 milioni di euro che ogni anno le istituzioni milanesi risparmiano grazie al mondo del volontariato». Che nella sola provincia ambrosiana coinvolge 76.632 persone. Quanto risparmi lo Stato a livello nazionale grazie alle circa 27 mila organizzazioni non profit non si sa esattamente. Ma se anche il contributo del resto del Paese fosse dimezzato rispetto a quello milanese si tratterebbe di quasi 1 miliardo di euro. Una somma 10 volte superiore a quella che la legge amputata destina quest’anno al mondo esaltato con qualche ipocrisia dalla campagna di stampa ministeriale «Aiuta l’Italia che aiuta». Dove si cantavano «Associazioni, gruppi di volontariato, imprese sociali, fondazioni e corpi intermedi» capaci di «produrre e di tessere i fili smarriti della comunità». Per non dire delle sviolinate al «valore aggiunto dell’azione volontaria» cioè «la ricerca del contatto umano, l’orientamento all’altro, la volontà di stabilire relazioni con le persone bisognose...». Cosa sia successo a ridosso di quella campagna l’ha sintetizzato su Famiglia Cristiana il presidente delle Acli Andrea Olivero: «Il 1˚aprile — con uno scherzo di cattivo gusto — sono state soppresse le agevolazioni per le spedizioni postali per il terzo settore, a luglio si è compiuto un "prelievo forzoso" sui patronati, finanziati direttamente dai lavoratori, e oggi con la legge di stabilità si tolgono gran parte dei fondi per le politiche sociali e si riduce il 5 per mille per il terzo settore a poco più di un quarto del suo peso».
Dove vanno (meglio: andavano) i soldi? Stando agli ultimi dati disponibili, a circa 30 mila associazioni appartenenti a quattro grandi categorie: quelle del volontariato sociale (26.596 sigle: da Médecin sans frontières a Emergency, dal Cuamm ai gruppi che si impegnano per i disabili, gli anziani...), quelle dello sport di base (una piccola minoranza: su 42 mila richieste quelle accettate nel 2008 furono 1.152), quelle della ricerca scientifica e quelle della ricerca sanitaria. Anche se talvolta c’è chi è presente in più gruppi, come ad esempio l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. Importo medio 2008: 28,36 euro a contribuente.
Per l’Airc, che nel 2007 ricevette ad esempio 51,7 milioni di euro grazie alla preferenza di poco meno di un milione di italiani (saliti nel 2008 a circa un milione e 200 mila: i dati sembrano vecchi perché lo Stato ci mette una vita a distribuire i soldi) il taglio di tre quarti dei fondi, se la finanziaria passerà così com’è, è una botta durissima. Che rende più difficile, proprio adesso che nella lotta ai tumori si aprono importanti spiragli, mantenere a tutti i costi gli impegni del «Programma speciale di oncologia clinica molecolare». Impegni che, legge o non legge, saranno ribaditi comunque, oggi in un incontro con la stampa: «Siamo di fronte a una reale svolta nella cura del cancro. Si parla di 120 milioni di euro di finanziamento per 5 anni, 48 istituzioni di ricerca e cura e università coinvolte, e quasi mille tra medici e ricercatori al lavoro». Tutti posti messi a rischio dalla traumatica sforbiciata.
Tema: ferma restando l’opportunità di lasciare i finanziamenti ai giornali di partito (quelli veri, dalla Padania al manifesto, dal Secolo d’Ita
lia a Liberazione) in un Paese in cui la distribuzione è falsata dal sostanziale monopolio postale e il mercato della pubblicità dal peso spropositato delle tivù (conflitto di interessi compreso), perché mai la salvezza di quei giornali deve avvenire a danno dell’assistenza volontaria agli anziani o della ricerca sul cancro? Pietro Barbieri, presidente della Fish, la federazione delle associazioni di sostegno all’handicap, ha detto: «Per i disabili è una prospettiva apocalittica».
Che credibilità può avere chi invita i cittadini a destinare una parte delle loro tasse, ad esempio, alla Città della speranza che cura le leucemie infantili (e che è già stata regalata allo Stato dalla generosità dei privati) e poi va a riprendersi quei soldi senza avere il fegato di tagliare da subito e non dal 2013 i rimborsi elettorali ai partiti? Quanto al Cavaliere, vale la pena di ricordargli quanto disse il 12 aprile 2008: «Rendere stabile e senza limiti il meccanismo fiscale del 5 per mille è un impegno per noi naturale». Sic.
Gian Antonio Stella