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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

La lezione anti-giudici del professor France (+documento) - «Il vero imbarazzo è che a rendere giustizia debbano essere i giudi­ci »

La lezione anti-giudici del professor France (+documento) - «Il vero imbarazzo è che a rendere giustizia debbano essere i giudi­ci ». Può sembrare scritta oggi, ma questa frase è di Anatole Fran­ce che nell’ottobre del 1893 pubblicò una raccolta di articoli apparsi su L’Écho de Pa­ris . Il libro uscì la prima volta in Italia nel 1921 per l’editore milanese Rinaldo Cad­d­eo con il titolo I detti dell’abate Jérôme Coi­gnard , volume ormai quasi introvabile. Per­ché France è uno di quegli incredibili casi letterari rimossi dall’editoria: malgrado l’importanza delle sue opere e il Premio No­bel ( 1921), in Francia, a eccezione dei quat­tro volumi della Pléiade, i suoi testi sono pressoché dimenticati.Per non parlare del­­l’Italia. Adorato da Proust, detestato da Gi­de ( «uno scrittore senza inquietudine»), ci ha regalato alcune tra le pagine più vive e moderne della letteratura francese. Come dimostrano anche Le opinioni dell’abate Jérôme Coignard , finalmente riproposte dopo quasi un secolo dalle Edizioni Sparta­co ( a cura di Filippo Benfante, con una pre­faz­ione che anche da sola varrebbe il prez­zo di copertina, 13 euro). Qui non troviamo lo scrittore melenso e compiacente (accu­se mossegli dai Surrealisti), ma un France inedito: ironico e contro le ideologie spac­ciate per realtà. La sua penna, attraverso le conversazioni tra l’abate e il suo discepolo Jacques Girarrosto, si scaglia soprattutto contro la Giustizia umana. Nell’ultimo ca­pitolo, che pubblichiamo in anteprima in questa pagina, analizza la strana macchina burocratica che spinge spesso i giudici lon­tani dalla ragione. Un tema di assoluta mo­dernità. Un’analisi lucidissima che testimo­nia come France sia scrittore da rivalutare e ripubblicare. Iniziando magari proprio da questo «breviario scettico per resistere ad ogni forma di potere» che troverete nel­le librerie dal 9 dicembre. *** Tengono alla larga la difesa come se fosse un’importuna di Anatole France Il mio buon maestro guardò con aria mesta l’acqua che scorreva, a immagine di questo mondo in cui tutto passa e nulla cambia. Rimase un poco assorto, poi riprese a vo­ce più bassa: «Solo questo, figlio mio, mi provoca un imbarazzo insor­montabile, che debbano essere i giudici a rendere giustizia. È chiaro che essi hanno interesse a dichiarare colpevole colui che per primo hanno sospettato. Li spinge a ciò lo spirito di corpo, così potente presso di loro; per la stessa ragione si vede che, du­rante la loro procedura, tengo­no alla larga la difesa come fosse un’importuna, e le danno mo­do­di accedervi solo quando l’ac­cusa si ha imbracciato le sue ar­mi e si è agghindata per assume­re, a forza d’artifici, le sembian­ze di una bella Minerva. Per la natura stessa della loro profes­sione, tendono a vedere un col­pevole in ogni accusato, e a certi popoli europei il loro zelo sem­bra così spaventoso che essi li fanno assistere, nei grandi pro­cessi, da una decina di cittadini estratti a sorte. Il che dimostra che il caso, nella sua cecità, ga­rantisce meglio la vita e la libertà degli accusati di quanto non pos­sa fare l’illuminata coscienza dei giudici. È vero che questi ma­­gistrati borghesi, sorteggiati co­me alla lotteria, sono tenuti fuo­ri dalla causa in questione, di cui vedono solo le manifestazioni esteriori. È vero anche che, igno­rando le leggi, sono chiamati non ad applicarle, ma a decide­re­con una sola parola se c’è luo­go di applicarle. Si dice che que­ste specie di assise talvolta han­no esiti assurdi, ma che i popoli che le hanno inventate vi sono attaccati come a una sorta di pre­ziosissima garanzia. Lo credo bene. E capisco che si accettino delle sentenze rese in questo modo: possono essere incompe­tenti o crudeli, ma almeno le lo­ro assurdità e barbarie non so­no, per così dire, imputabili a nessuno. L’iniquità sembra tol­lerabile quando è abbastanza in­coerente da sembrare involon­taria. «Il piccolo usciere di poco fa, che ha un così alto senso della giustizia,mi sospettava d’essere del partito dei ladri e degli assas­sini. Al contrario, deploro a tal punto il furto e l’assassinio che non posso sopportarne nemme­no la versione messa in regola dalle leggi, e mi è penoso vedere che i giudici non hanno trovato di meglio, per punire i ladroni e gli omicidi, che imitarli. Infatti, in tutta buona fede, Girarrosto, figlio mio, cosa sono l’ammen­da e la pena di morte, se non il furto e l’assassinio perpetrati con augusta precisione? E non vedete che la nostra giustizia, con tutta la sua superbia, tende a quella vergogna che è sanzio­nare un male con un male, una miseria con una miseria, e rad­doppia, in nome d’equilibrio e simmetria, i delitti e i crimini? Si può profondere in questa impre­sa u­na sorta di probità e di disin­teresse. Ci si può mostrare tali che un de L’Hospital o al contra­rio tali che un Jeffryes, e per quanto mi riguarda conosco un magistrato che è una persona abbastanza onorevole. Ma, risa­lendo ai principî, ho voluto mo­­strare il vero carattere di un’isti­tuzione che l’orgoglio dei giudi­ci e il terrore dei popoli hanno fatto a gara per rivestire di una maestà solo usurpata; ho voluto mostrare l’originaria meschini­tà di questi codici che si voglio­no re­ndere augusti ma che in re­altà sono solo un bizzarro cumu­lo di espedienti. «Ahimè, le leggi sono umane: è un’oscura e miserabile origi­ne. Nella maggior parte dei casi furono le circostanze a farle na­scere. L’ignoranza, la supersti­zione, l’orgoglio del principe, l’interesse del legislatore, il ca­priccio, la fantasia: ecco le fonti di questi grandi corpi giuridici che diventano venerabili quan­do cominciano a non essere più comprensibili. L’oscurità che li avvolge, resa ancor più impene­trabile dai glossatori, conferisce loro la maestà degli antichi ora­coli. Sento dire di continuo e leg­go ogni giorno nelle gazzette che ora facciamo delle leggi di circostanza e d’occasione. È il giudizio dei miopi, che non ve­dono che si tratta della continua­zione di un uso immemorabile e che sempre, in ogni epoca, le leggi sono scaturite da qualche caso. Ci si lamenta anche del­l’oscurità e delle contraddizioni in cui incappano senza sosta i nostri legislatori contempora­nei. E non si nota che i loro pre­decessori erano altrettanto con­torti e ingarbugliati. «In effetti, Girarrosto, figlio mio, le leggi sono buone o catti­ve non tanto di per se stesse ma piuttosto per il modo in cui si ap­plicano: una certa disposizione iniqua non fa alcun male se il giu­dice non la mette mai in atto. I costumi hanno forza maggiore delle leggi. La civiltà delle abitu­dini, la tolleranza degli spiriti so­no gli unici rimedi che si possa­no ragionevolmente portare al­la barbarie legale. Infatti correg­gere­le leggi con altre leggi signifi­ca imboccare una via lenta e in­certa. Solo i secoli disfanno l’opera dei secoli. C’è poco da sperare che un giorno un Numa Pompilio francese incontri nel­la foresta di Compiègne o sotto le rocce di Fontainebleau un’al­tra ninfa Egeria che gli detti leggi savie [...]. «Girarrosto, figlio mio, mi ve­d­ete tutt’a un tratto incerto e im­barazzato, balbettante e stupi­do alla sola idea di correggere ciò che trovo detestabile. Non crediate che sia ritegno di spiri­to: niente stupisce l’audacia del mio pensiero. Ma state ben at­tento, figlio mio, a ciò che vi sto per dire. Le verità scoperte dal­l’intelligenza rimangono sterili. Il cuore è l’unico capace di fe­condare i sogni. Infonde la vita in tutto ciò che ama. È per mez­zo del sentimento che i semi del bene sono sparsi nel mondo. La ragione non ha così tanta virtù. E vi confesso che finora sono sta­to troppo ra­gionevole nella criti­ca delle leggi e dei costumi. Così anche questa critica cadrà sen­za frutti e seccherà come un al­bero bruciato da una gelata d’aprile. Per servire gli uomini, bisogna sbarazzarsi di tutta la ra­gione, come d’una zavorra in­gombrante, e involarsi sulle ali dell’entusiasmo. Se si ragiona, non ci si librerà mai».