DOMENICO QUIRICO, La Stampa 30/11/2010, pagina 43, 30 novembre 2010
Picasso e l’elettricista un tesoro in giallo - Pablo Picasso è rimasto sempre un bambino prodigio: prodigio nella sua arte straordinaria, e bambino per l’impazienza da ragazzino insofferente a qualsiasi sistema e la curiosità di due occhi freschi e nuovi
Picasso e l’elettricista un tesoro in giallo - Pablo Picasso è rimasto sempre un bambino prodigio: prodigio nella sua arte straordinaria, e bambino per l’impazienza da ragazzino insofferente a qualsiasi sistema e la curiosità di due occhi freschi e nuovi. Chi altro nella sua vivace sfacciataggine, dal sacco senza fondo delle sue sorprese inventive, avrebbe potuto, 37 anni dopo la morte, ormai consolidato in tutte le enciclopedie, meta preferita dei ladri golosi di bellurie costose, tirar fuori 271 nuovi capolavori, completamente sconosciuti? E per di più conservati da un settuagenario elettricista che, dice, li avrebbe ricevuti in regalo dall’artista a cui faceva lavoretti nel villone sulla Costa Azzurra, «la Californie», e nel castello di Vauvenargues? Ora, poiché l’autenticità di questo museo sconosciuto pare incontestabile, bisognerà riscrivere moltitudini di libri di storia dell’arte, aggiornare le biografie improvvisamente invecchiate. E mettere in azione gli studi legali più astuti di Francia, come hanno già fatto gli indignatissimi eredi riuniti nella «Picasso administration» che tiene a balia con fedeltà indefettibile il redditizio monopolio. Si è aperto uno squarcio monumentale, di almeno 60 milioni di euro. La prima volta che Claude Picasso, figlio del pittore e amministratore di questo ben di Dio, ha cominciato a entrare in subbuglio era il 14 gennaio: quando ha ricevuto una lettera da Mouans-Sartoux (Alpi Marittime) in cui un certo, sconosciuto Pierre Le Guennec richiedeva di autenticare una serie di opere di Picasso in suo possesso. Accludeva 26 fotografie dei supposti inediti. Foto bruttine, e che non rinviavano a nulla di catalogato nella sterminata galleria del titanico artista. Da quel momento sull’esterrefatto e sospettoso Claude si è abbattuta una bufera: perché il misterioso signor Le Guennec non si è fermato più. Altre lettere, altre richieste e soprattutto altre fotografie, a decine, di acquerelli litografie guazzi collage studi ritratti caricature crocifissioni. Non tritumi di atelier, il non finito, il tirato via, che anche quello comunque vale milioni: capolavori. Dal Sud della Francia spuntava il più grande collezionista del mondo. Con la motivazione che non erano possibili autenticazioni sulla base di semplici foto l’autore delle lettere fu convocato a Parigi, nella chiccosa sede della Picasso administration in rue Volney. Quando, il 9 settembre, Claude aprì la porta si trovò davanti una coppia di arzilli vecchietti, aria da pensionati non di lusso, appena ingalluzziti dalla abbronzatura dei miti inverni della Costa Azzurra. Da una valigia estrassero, con aria indifferente, il tesoro. Per ore Claude e i suoi esperti hanno sgranato gli occhi su 175 capolavori che nessuno aveva mai visto e che non figurano nell’inventario della successione. Prima di andarsene i due nuovi «eredi» lasciarono un’altra cinquantina di fotografie. Sono, tutte, opere del periodo più fecondo e creativo, quello che va dall’inizio del secolo al 1932. Ci sono, ad esempio, nove collage cubisti, parte dei «proverbi in pittura» di cui parlò Tzara, per la maggior parte distrutti nell’inondazione dell’atelier di Montrouge. E poi una serie di ritratti della prima moglie, Olga, un acquarello del periodo blu, paesaggi, rari per lui. Le spiegazioni dell’elettricista furono semplici, come semplice, spesso ma non sempre, dovrebbe essere la verità. Pierre Le Guennec sostiene di aver lavorato per Picasso negli ultimi tre anni della sua vita in varie residenze del lussuoso nomadismo dell’artista installando ad esempio i sistemi di allarme. Tutti i capolavori sarebbero un dono del pittore e della moglie Jacqueline, che sepolta ormai come è, accanto al marito, nel castello di Vauvenargues, non può né confermare né smentire. I sospetti di Claude sono attizzati anche dai quarant’anni di segreto conservati dalla coppia. È ben deciso a non far posto a questi due nuovi e sciapi colleghi in miliardi. «Mio padre conservava tutto: anche lo spago dei pacchi - ha confidato a Libération -. Diceva che tutto, un giorno o l’altro, poteva servire per un quadro. Non si sarebbe mai separato da un blocco intero della sua opera. Non avrebbe regalato in questa quantità. Era generoso, certo, ma firmava e dedicava tutti i suoi doni, tanto più che sapeva che molti li avrebbero rivenduti». Così ha subito presentato denuncia per ricettazione: perché, ovviamente, questo patrimonio «non sia disperso». Risultato: il pensionato che giura di essere innocente ma conserva una promettente e intrigante riservatezza, è stato arrestato e tutta l’«eredità» sequestrata dall’Ufficio centrale di lotta contro il traffico delle opere d’arte. Il giallo (se c’è) comunque è solo all’inizio. Chissà per chi avrebbe fatto il tifo l’eterno bambino Picasso.