MARCO BELPOLITI, La Stampa 30/11/2010, pagina 41, 30 novembre 2010
Parola d’ordine applicazione - Una delle parole magiche del contemporaneo è application. Nel linguaggio informatico è sinonimo di programma; si dice infatti di qualsiasi tipo di software che regola un’attività specifica, come la videoscrittura, il calcolo, la gestione dati, i giochi
Parola d’ordine applicazione - Una delle parole magiche del contemporaneo è application. Nel linguaggio informatico è sinonimo di programma; si dice infatti di qualsiasi tipo di software che regola un’attività specifica, come la videoscrittura, il calcolo, la gestione dati, i giochi. Con l’avvento dell’iPhone e dell’iPad il termine è diventato consueto: scarico l’applicazione. All’inizio degli Anni Ottanta nel panorama informatico apparvero le prime applicazioni «client-server». Per far funzionare un sistema di videoscrittura, occorreva un’application, per il suo aggiornamento occorreva installare una nuova versione, con tempi e costi vari sia per il produttore sia per i clienti. Poi sono comparse le web-application, che semplificavano ancora; quindi è stata la volta delle webapps, dove transitano flussi di dati direttamente ad altre applicazioni continuamente accessibili mediante un web browser. Detto altrimenti: si possono installare «applicazioni» in modo veloce sul proprio computer, o tablet, continuamente aggiornando, senza ricorrere a supporti fisici come dischetti, cd-rom o altro. Nella lingua inglese la parola application ha vari significati, oltre a quello informatico. Significa: assiduità, diligenza; domanda, richiesta, istanza; richiesta di sottoscrizione di azioni; imputazione; inoltre l’application blank è il modulo d’assunzione di un impiegato. In italiano «applicare» indica l’atto di «mettere una cosa sopra l’altra» (lo usa Savonarola); e ancora: attribuire, dare, assegnare. Viene dal latino «piegare», e indica l’azione di «accostare». L’applicazione è un adattamento o una concentrazione della mente. C’è anche la parola «applicato», che individua un impiegato di grado inferiore (termine ottocentesco quasi scomparso nella burocrazia statale); Torricelli, poi, usava applicazione per definire «una scienza volta a fini pratici» (1647). Come si vede l’application, che ci facilita la vita sulle nostre macchine portatili come sui visori elettronici, sui cellulari come sui tablet, possiede molte facce, ma tutte dedite a un attività che possiede qualcosa di sussidiario, di servizievole. Con l’avvento del mondo immateriale, previsto negli Anni Ottanta dal filosofo Jean-François Lyotard (la sua celebre mostra al Centre Pompidou, Les Immateriaux è del 1985), l’elemento servile tende a prevalere sempre più. La domanda dunque è: siamo noi gli applicati delle macchine, oppure sono le macchine che si applicano a noi?