Varie 2010, 30 novembre 2010
PROCESSO DELL’UTRI
Il processo a Marcello Dell’Utri è cominciato nel 1997. La sentenza di stamattina (29 giugno 2010) è arrivata 16 anni dopo l’apertura delle indagini, a 12 dall’inizio del processo di primo grado, a quattro da quello d’appello. Fino a ora ci sono state 256 udienze, sono stati sentiti 270 testimoni, quaranta dei quali collaboratori di giustizia.
In primo grado, l’11 dicembre 2004, il senatore del Pdl era stato riconosciuto colpevole - insieme al presunto mafioso di Malaspina, Gaetano Cinà - del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. La condanna, emessa dal tribunale di Palermo dopo 13 giorni di Camera di consiglio, era stata a nove anni di reclusione, libertà vigilata per due e risarcimento di 70mila euro alle parti civili, Comune e Provincia di Palermo. Per Dell’Utri i pubblici ministeri Antonio Ingroia e Domenico Gozzo avevano chiesto 11 anni di reclusione, due in meno per Cinà (poi condannato a sette anni di carcere). Dopo la sentenza Berlusconi aveva detto di essere pronto «a mettere la mano sul fuoco» sull’innocenza dell’amico e che il tribunale di Palermo che aveva emesso la sentenza era «politicizzato». Dell’Utri si è sempre dichiarato innocente e vittima di una macchinazione.
Nell’appello, cominciato il 30 giugno 2006, Dell’Utri ha cambiato squadra difensiva, confermando soltanto l’avvocato Giuseppe Di Peri. Oltre a Di Peri, il suo collegio è formato da Antonino Mormino (già deputato di Forza Italia), Pietro Federico e Alessandro Sammarco (in passato difensore di Cesare Previti).
Per il senatore, il procuratore generale Antonino Gatto, amico di Paolo Borsellino («il mio pensiero è sempre rivolto a lui e al suo modo di lavorare», ha detto più volte), ha chiesto la condanna a undici anni parlando di un suo «concreto, volontario, consapevole, specifico e prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa Nostra» e della sua mediazione, grazie alla quale alla mafia fu data «l’opportunità di entrare in contatto con importanti ambienti dell’economia e della finanza».
Nell’aprile scorso il senatore aveva commentato la richiesta dicendo: «Faccio l’imputato da 15 anni, è diventato quasi uno stato dell’essere e sono stanco. Arriverà il momento in cui finirà tutto e mi chiederò: “Ora che faccio”? Mi sono insomma abituato a fare l’imputato, è diventata una cosa strutturale». Oltre alla condanna per Dell’Utri Gatto ha chiesto ai giudici di dichiarare l’estinzione del reato per Gaetano Cinnà, unico altro imputato del processo, morto nel 2006. Il comune di Palermo si è costituito parte civile.
Prima che la corte entrasse in camera di consiglio nell’aula bunker del carcere palermitano Pagliarelli, attrezzata con una foresteria per permettere ai giudici di riposarsi, Gatto, vestito e scarpe marroni, baffi curati, aveva detto ai magistrati: «Dovete prendere una decisione storica, non solo dal punto di vista giudiziario, ma per il nostro Paese. Voi potete contribuire alla costruzione di un gradino, salito il quale, forse, si potranno percorrere altri scalini che potranno far accertare le responsabilità che hanno insanguinato il nostro Paese. Oppure potete distruggere questo gradino».
I GIUDICI DEL COLLEGIO
I tre magistrati del collegio che giudica il senatore Dell’Utri sono Claudio Dell’Acqua, presidente, Salvatore Barresi e Sergio La Commare, giudici a latere. Barresi, in primo grado, aveva fatto parte del tribunale che aveva assolto l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti dall’accusa di mafiosità. Dell’Acqua è al suo ultimo processo a Palermo, dal primo luglio prenderà servizio al tribunale di Caltanissetta.
Una settimana fa i tre avevano letto una dichiarazione in udienza, «Siamo indifferenti alle pressioni mediatiche e rispondiamo solo di fronte alla legge e alla nostra coscienza», per rivendicare la loro indipendenza. Qualche giorno prima indiscrezioni giornalistiche avevano gettato ombre su Claudio Dell’Acqua, al centro di polemiche per l’assunzione del figlio quarantenne a segretario generale del Comune di Palermo e per il lavoro svolto dall’altro figlio in una società ritenuta vicina a Cosa Nostra. Qualche ombra anche su Salvatore Barresi, della cui casa Massimo Ciancimino si era detto assiduo frequentatore in passato. Il collegio, irritualmente, aveva deciso di rispondere con quelle parole.
LE TAPPE DEL PROCESSO
Il processo a Marcello Dell’Utri comincia nel 1997. L’invito a comparire davanti ai giudici gli arriva il 20 giugno 1996, il dibattimento inizia il 5 novembre dell’anno dopo. Il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi aveva fatto le prime dichiarazioni su Dell’Utri già il 18 novembre del 1994, portando all’apertura del fascicolo contenitore numero 6031/94 in cui sono confluiti moltissimi atti processuali.
La Procura di Palermo apre un’inchiesta su Marcello Dell’Utri il 2 gennaio 1996 in seguito alle dichiarazioni del pentito Tullio Cannella. Da un costruttore legato alla mafia il collaboratore aveva appreso che i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano (oggi entrambi all’ergastolo, il primo a Udine, il secondo a Milano), capimafia del quartiere palermitano Brancaccio, avevano avuto rapporti con il manager Fininvest. A Catania, nell’ambito del processo “Orsa Maggiore” ai presunti affiliati alla cosca del boss Nitto Santapaola, il pentito catanese Maurizio Avola dichiara di aver saputo dal mafioso Salvatore Tuccio che Dell’Utri incontrò il boss Aldo Ercolano, del clan Santapaola, per chiederne la protezione in cambio di una quota della Standa.
Il 20 giugno 1996 Dell’Utri è chiamato a comparire in Procura per rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa. Diversi pentiti lo accusano di avere avuto rapporti con mafiosi, tra i quali il pluriomicida Vittorio Mangano (morto nel 2000, ndr), proposto da Dell’Utri nel 1974 come stalliere nella villa di Berlusconi ad Arcore, e poi assunto. I pm gli contestano anche una dichiarazione del pentito Antonino Calderone, secondo cui nel 1976 avrebbe messo a disposizione una casa a Milano per un incontro di mafiosi. Dell’Utri nega che la Fininvest abbia pagato mafiosi e di aver conosciuto Stefano Bontate e gli altri esponenti di Cosa Nostra di cui parla Calderone, ammette di conoscere Gaetano Cinà, coimputato nel processo, da una vita. Secondo i pentiti Salvatore Cancemi e Calogero Ganci, Dell’Utri avrebbe versato annualmente 200 milioni di lire a Cosa Nostra.
Nell’agosto 1996 si viene a sapere del progetto di rapimento, a metà degli anni Settanta, del primogenito di Silvio Berlusconi, Piersilvio, progettato da alcuni mafiosi catanesi. Nell’autunno del 1974 i mafiosi palermitani Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà e Francesco Di Carlo sarebbero stati ricevuti negli uffici della Edilnord in cui Dell’Utri lavorava. All’incontro avrebbe partecipato anche Berlusconi, che voleva garanzie per l’incolumità sua e della sua famiglia. Secondo Di Carlo, oggi collaboratore di giustizia, Bontante (assassinato a Palermo nel 1981) in quell’occasione avrebbe detto a Berlusconi: «Dottore, lei da questo momento può smettere di preoccuparsi. Garantisco io. Lei ha già al suo fianco Marcello Dell’Utri e io le manderò qualcuno che le eviterà qualsiasi problema con quei siciliani». Poco dopo Bontate avrebbe mandato a villa San Martino un suo uomo, Vittorio Mangano, ufficialmente assunto come dirigente dell’azienda agricola e della società ippica di Berlusconi.
Il 22 ottobre 1996 la procura di Palermo con l’allora capo Giancarlo Caselli rinvia a giudizio Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo inizia un anno dopo, il 5 novembre 1997, davanti alla seconda sezione penale del Tribunale di Palermo. Oltre a Dell’Utri è imputato Gaetano Cinà, accusato di aver fatto da tramite tra Dell’Utri e gli ambienti di Cosa Nostra. Il Comune e la Provincia si costituiscono parte civile. Cinà non si presenta mai in aula.
Il 9 marzo 1999 il Gip di Palermo invia alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera la richiesta di arresto per Dell’Utri, accusato di avere tentato di inquinare le prove del processo con l’aiuto dei collaboratori di giustizia Giuseppe Chiofalo, di Messina, e Cosimo Cirfeta, pugliese. I due avrebbero dovuto cercare di convincere altri pentiti a smentire quelli che accusavano l’esponente di Forza Italia. Un mese dopo (13 aprile 1999) la camera nega l’autorizzazione.
Nel novembre 2004 dopo 25 udienze i legali di Dell’Utri chiedono l’assoluzione con formula piena del loro assistito. Gli avvocati che rappresentano il Comune e la Provincia di Palermo chiedono un risarcimento di cinque milioni di euro. Nel giorno dell’ultima udienza prima della camera di consiglio Dell’Utri parla davanti ai giudici per 90 minuti, rivendica la sua innocenza, dice di aver considerato il processo come «una malattia» da cui curarsi e guarire e conclude dicendo: «Credo che sarò assolto perché non vedo elementi per una condanna».
L’11 dicembre 2004 il Tribunale di Palermo, presieduto da Leonardo Guarnotta (giudici a latere Gabriella Di Marco e Giuseppe Sgadari) dichiara «Dell’Utri Marcello e Cinà Gaetano colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati e ritenuta la continuazione tra gli stessi, condanna Dell’Utri Marcello alla pena di anni 9 di reclusione e Cinà Gaetano alla pena di anni 7 di reclusione. Entrambi gli imputati sono interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, nonché in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena». E quando la sentenza sarà espiata, Dell’Utri e Cinà saranno sottoposti alla «misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni due». È il provvedimento che i giudici applicano ai condannati per mafia che risultano particolarmente pericolosi.
L’APPELLO
Il processo d’appello a Dell’Utri è cominciato il 30 giugno 2006. Il procuratore generale di Palermo, Antonino Gatto, voleva fossero acquisite come prove anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002. Interrogato più volte, Ciancimino junior ha raccontato d’aver saputo dal padre che «Provenzano consegnò Riina ai carabinieri in cambio dell’impunità» e che, dopo l’arresto dell’ex sindaco del capoluogo, il 19 dicembre 1992, «fu Dell’Utri a subentrare nella trattativa tra lo Stato e la mafia». Per la corte, però, dall’esame del contenuto dei suoi interrogatori è emerso un quadro «confuso e oltremodo contraddittorio» così che Ciancimino jr non è stato ammesso come teste. Il processo è stato poi prolungato quasi di un anno per ascoltare il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, cui recentemente non è stato concesso il programma di protezione perché le sue dichiarazioni sono arrivate oltre il limite dei 180 giorni previsto dalla legge.
Spatuzza, ora studente di Teologia, condannato a vari ergastoli tra cui quello per l’omicidio del parroco palermitano padre Pino Puglisi, ha parlato della presunta trattativa tra mafia e Stato avvenuta tra la prima metà degli anni ’90 e il 2003-2004 i cui referenti politici sarebbero stati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Di quella trattativa Spatuzza sarebbe venuto a conoscenza tramite il boss Giuseppe Graviano la prima volta nel ’93, mentre progettavano una strage di carabinieri a Roma (poi fallita). La seconda nel ’94, quando Graviano gli disse che grazie a Berlusconi e Dell’Utri «abbiamo ottenuto quello che volevamo» («Graviano mi disse che avevamo ottenuto quello che avevamo chiesto grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti questa storia, che non erano come quei quattro "crasti" socialisti che avevano preso i voti dell’88 e ’89 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vengono fatti i nomi di due soggetti: di Berlusconi, Graviano mi disse che era quello del Canale 5»). L’11 dicembre 2009 il boss Filippo Graviano, in videoconferenza con l’aula di Palermo, ha però smentito le tesi di Spatuzza, sostenendo di non aver mai avuto rapporti di alcun tipo con Dell’Utri. Suo fratello, Giuseppe, ha invece detto di non rispondere alle domande dell’accusa lamentando problemi di salute dovuti al 41 bis.
CHI È MARCELLO DELL’UTRI
Palermitano, 69 anni, Marcello Dell’Utri prima studia in collegio dai Salesiani, poi frequenta i Gesuiti. Maturità classica, laurea in Giurisprudenza, è sposato (sua moglie, Miranda Ratti, nel maggio 2006 è stata condannata per diffamazione nei confronti di alcuni magistrati in servizio presso la procura di Palermo: disse che erano «omuncoli bisognosi di una perizia psichiatrica». La condanna è stata confermata dalla Cassazione nel luglio 2007) e ha quattro figli, Marco, Chiara, Margherita e Marina.
Dirigente d’azienda, diventa presto il braccio destro siciliano di Silvio Berlusconi, di cinque anni più grande, conosciuto negli anni Sessanta all’Università Statale di Milano. Negli anni Dell’Utri è prima presidente di Publitalia ’80, la concessionaria della pubblicità della Fininvest, poi consigliere delegato di Mediaset.
Nel 1993 fonda con Berlusconi Forza Italia e lascia la carica di presidente di Publitalia. Nel 1996 è eletto alla Camera nel 2006 e nel 2008 al Senato con Forza Italia/Popolo della Libertà. Non si dedica alla politica per passione: «Io sono politico per legittima difesa – ha spiegato in una recente intervista - A me della politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto».
Condannato a due anni e tre mesi di reclusione per false fatture e frode fiscale nell’ambito della gestione di Publitalia ’80, la sentenza è passata in giudicato. Nell’aprile 2008 la Cassazione ha annullato la condanna a due anni (primo e secondo grado) per la tentata estorsione, nel 1992, ai danni di Vincenzo Garraffa, ex presidente della Pallacanestro Trapani, poi senatore repubblicano.
Bibliofilo, da vent’anni è animatore della mostra del Libro antico, dal 2003 presiede il Teatro Lirico di Milano. Durante il processo per concorso esterno in associazione mafiosa, raccontò nel 2004 uno dei suoi avvocati, Enzo Trantino, leggeva i classici della letteratura, «era rapito dagli Ossi di seppia (di Eugenio Montale, ndr)». Dal 2007 sostiene di aver trovato i diari di Benito Mussolini, gli storici sostengono sia un falso anche piuttosto grossolano.