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 2010  novembre 30 Martedì calendario

L’ULTIMA CHE TI FO: AMBROGIO SANTO COMUNISTA

Camillo Langone

Dario Fo ha le traveggole e vede comunisti dappertutto, peggio di Berlusconi. Specialmente nella storia artistica ed ecclesiastica: Giotto, (...)

(...) Michelangelo, sant’Ambrogio... Secondo lui erano tutti comunisti, o almeno di sinistra, contestatori, amici dei poveri, nemici dei potenti, mostruosi incroci fra Robin Hood e Marco Travaglio. È facile passare dall’essere divertenti all’essere ridicoli e il vecchio istrione nei suoi ultimi spettacoli e con le sue ultime dichiarazioni ci riesce benissimo. In passato aveva dipinto Giotto e Michelangelo come piccoli Che Guevara e ora, intervistato da Repubblica nell’incombere della prima di “Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano” (Piccolo Teatro Strehler, 6 ottobre), ha proclamato che il dottore della Chiesa era un comunista.

Con quel Nobel può dire ciò che vuole? Nemmeno per idea. Un’idiozia è un’idiozia è un’idiozia, anche se chi la pronuncia ha il petto carico di medaglie (ammesso e non concesso che il Nobel, negato a D’Annunzio, Hemingway, Proust e concesso a Fo, sia una medaglia e non una patacca). Urge una ripassata di storia ma niente paura, quando dico storia intendo storia in pillole.
Prefetto del pretorio

Il compagno Ambrogio era un aristocratico romano, e fin qui niente di anomalo, la storia dei partiti comunisti è piena di conti e principi che arrossirono per continuare a vivere fra camerieri in guanti bianchi. Ma prima di diventare vescovo il compagno Ambrogio era prefetto del pretorio: definire comunista un ufficiale di quell’epoca e di quel rango, capace di difendere lo status quo imperiale governando con pugno di ferro le province, è peggio che definire anarchico il generale Radetzky o il comandante della Brigata paracadutisti Folgore.

Vabbe’, qualcuno potrebbe pensare che Ambrogio si trasformò in sincero democratico quando venne nominato vescovo. Potrebbero pensarlo, certo, ma penserebbe male. Ambrogio, colui che per Dario Fo sarebbe un compagno, un Bersani, anzi un Bertinotti o forse un Berlinguer, vallo a capire, era invece la versione maschile di Daniela Santanchè. Per accorgersene basta non perdersi in giullarate e leggere qualche libro, a esempio le Vite dei Papi dello storico di Oxford (fra l’altro nemmeno cattolico, bensì anglicano) John N.D. Kelly e Santi d’Italia di Alfredo Cattabiani.

Ambrogio, come la nostra amata Daniela, che se non ci fosse bisognerebbe inventarla, combatteva diuturnamente contro gli infedeli: i musulmani del tempo erano gli eretici ariani e verso di loro il Santo non si mostrò per nulla accogliente. Altro che il suadente Tettamanzi: «Venite venite che vi darem moschee e nel frattempo oratori e quant’altro vi abbisogni per incrementare il vostro culto...». Non a caso Ambrogio veniva anticamente raffigurato con un libro, il Vangelo, in una mano, e nell’altro una frusta. Gli ariani a Milano volevano un tempio tutto loro e lui organizzò un’occupazione a oltranza delle basiliche per impedirglielo. Fu un successo clamoroso: gli eretici dovettero fare marcia indietro e in seguito convertirsi.

Ma chissà che libri ha letto Dario Fo. Forse si è fatto passare le informazioni dal figlio Jacopo. Io sono restio a tirare in ballo i familiari, ma stavolta che ci posso fare, è stato Jacopo a tirarsi in ballo da solo pubblicizzando sul suo blog il ritorno sulle scene di padre e madre (sì, Franca Rame non può mancare quando c’è da combattere contro gli intollerabili soprusi dell’Impero romano). Secondo Jacopo, autore di testi storici quali Lo zen e l’arte di scopare, Ambrogio «fu un vescovo veramente rivoluzionario».
Teodosio penitente

Può anche darsi, basta mettersi d’accordo sul significato della parola. In effetti il nostro eroe del IV secolo rivoluzionò i costumi religiosi dell’Impero: prima erano multiculti, grazie a lui divennero compattamente cristiani. E se qualcuno sgarrava, perfino se questo qualcuno era l’imperatore Teodosio, doveva fare mesi di penitenza e chiedere pubblicamente perdono. Come esempio di libera Chiesa in libero Stato non c’è male, peccato che gli spettatori che il 6 ottobre affolleranno il Piccolo Teatro Strehler non lo conoscano. Loro credono alla storia secondo Fo, insomma alle barzellette, e penseranno di vedere il Santo «come la Chiesa non ce l’ha mai voluto mostrare, avendo censurato molti lati del suo carattere».

In effetti la cristianità postconciliare a certi episodi ambrosiani ha messo la sordina e si guarda bene dall’enfatizzare l’indiscutibile antigiudaismo che promana dai testi e dalle azioni dell’insigne vescovo. Nel 388 i cristiani bruciarono una sinagoga, l’imperatore chiese loro di ricostruirla e Ambrogio si oppose strenuamente: «Che cosa pretendono questi increduli? Si convertano, piuttosto!». Dario Fo chiude la bocca alla moglie, nella foto pubblicata su Repubblica a corredo dell’intervista. Ovviamente c’è un errore, non è stata pubblicata la foto giusta: quella in cui Franca Rame chiude la bocca al marito per impedirgli di pronunciare scempiaggini.
Camillo Langone



«SANT’AMBROGIO, UN VERO COMUNISTA»

Dario Fo: Vangelo alla mano, difese i deboli e condannò i latifondisti

MILANO — Forse non è un ca­so che entrambi siano nati a Tre­viri. Aurelio Ambrogio, futuro vescovo, santo e patrono di Mila­no nel 334, Karl Marx, futuro teo­rico del materialismo storico nel 1818. «Vero, ma quella frase de­stinata a cambiare la storia l’ha detta per primo Ambrogio», assi­cura Dario Fo. Quale frase? «Che solo il furto ha fatto nascere la proprietà privata. Quindici seco­li prima di Prudhon e Marx, Am­brogio usava le stesse parole per condannare il possesso delle co­se. Un vero comunista ante litte­ram, o meglio un vero cristia­no ».
Tanto da far decidere a Fo, do­po essersi fatto beffe di papi e monsignori, di indossare lui stesso la clamide di quel vesco­vo anomalo, che se non fosse per le tante citazioni storiche sembrerebbe uno dei personag­gi paradossali inventati dal No­bel.
«Invece è tutto vero», garanti­sce Dario, dal 6 ottobre con Fran­ca Rame al Piccolo Teatro in San­t’Ambrogio e l’invenzione di Mi­lano .
«Quella di Ambrogio è una storia straordinaria — prosegue —. Tanto per cominciare, non solo non era prete, né battezza­to. Nato in una famiglia ricca, è un agnostico con una gran car­riera davanti. Colto, ottimo orga­nizzatore, esperto di questioni amministrative, viene mandato a Milano come consularis major . Dove, nonostante il cri­stianesimo sia ormai religione di Stato, continua a resistere una forte comunità ariana. Mor­to il vescovo ariano Aussenzio, la nomina del successore rischia lo scontro religioso. Un ariano o un cristiano? Grande oratore, sti­mato per la sua onestà, Ambro­gio è invitato a far da arbitro in una pubblica assemblea a San Lorenzo. E lo fa così bene che al­la fine tutti lo acclamano: voglia­mo te come vescovo!».
Ambrogio proprio non se lo aspettava. Tanto più, continua Fo, che lui si trovava benissimo tra mille agi e onori. «Datemi tre giorni», chiede Ambrogio per prender tempo.
«Come mossa estrema orga­nizza a casa sua un’orgiasceneg­giata e invita gli amici più liberti­ni... Fanno un tale baccano da far arrivare i gendarmi. Gran scandalo. E Ambrogio si dichia­ra subito colpevole. Dice alla gente: vedete? Vi sbagliate. Nes­suno è più indegno di me».
Perfetto, gli ribattono, «sei proprio quello che cercavamo. Un uomo che riconosce i suoi peccati, non un ipocrita: vieni a fare il vescovo».
Nel giro di una settimana, Am­brogio viene battezzato, ordina­to diacono, sacerdote, vescovo. È il 374, il 7 dicembre. Data desti­nata a diventare la festa di Mila­no. Il primo miracolo lo compie subito: la sua trasformazione.
«Prende così sul serio il ruolo da devolvere al popolo tutti i suoi beni. E, Vangelo alla mano, si fa avvocato difensore dei debo­li, degli sfruttati. Violente le sue parole contro i ’possessores’, i latifondisti del tempo. La terra non è vostra ma di chi la coltiva, sostiene invitando alla comunio­ne dei beni, ad aprire i granai della giustizia. I ricchi gridano al sacrilegio, se non lo fanno fuori è perché ha dietro un consenso spaventoso».
«Quando muore, a 64 anni, tutta Milano accorre a rendergli omaggio. Invece di essere sepol­to in una bara di legno aperta, come aveva chiesto, viene mes­so in un catafalco dorato. Ma ec­co che sulla piazza scende im­provvisa una fitta nevicata nono­stante sia primavera. Non si ve­de più nulla. Il feretro cade, la salma finisce a terra. La portano a braccia, il volo al cielo come vo­leva lui. Ambrogio non lo si pote­va contraddire neanche da mor­to ».
Una curiosità: Dario Fo e Fran­ca Rame si sono sposati il 24 giu­gno 1954, nella basilica di San­t’Ambrogio.
Giuseppina Manin