Varie, 30 novembre 2010
Vocazioni «C’è chi nasce per fare lo sbirro, chi lo scienziato, chi per diventare madre Teresa di Calcutta
Vocazioni «C’è chi nasce per fare lo sbirro, chi lo scienziato, chi per diventare madre Teresa di Calcutta. Io sono nato ladro» (Renato Vallanzasca). Da bambino Nato a Milano il 4 maggio 1950, il cognome è quello della madre Marie, il padre era già sposato con un’altra donna. Il primo arresto, a otto anni, per aver liberato gli animali di un circo. «Ho cominciato da bambino, rubando le figurine Panini. E ho continuato finché non mi hanno ingabbiato. E sono uscito, e ho ricominciato. È stato il mio lavoro, l’unico che sapessi e volessi fare. Io non sono una vittima della società». Cadaveri e rapine Condannato a quattro ergastoli e 260 anni per sette omicidi, tre sequestri di persona e un numero impressionante di rapine a mano armata che le schede d’archivio riassumono così: «Ne ha fatte settanta in 200 giorni». Celebrità Soprannominato il "bel Renè", celebre per le evasioni e per il successo con le donne. Arresti e evasioni Il 14 febbraio 1972 la rapina organizzata dalla sua banda (detta della Comasina) in un supermercato a Milano lo portò in galera. Nello stesso anno nacque il figlio Massimiliano. Il 28 luglio 1976 evase, complice un agente, dall’ospedale dove si era fatto ricoverare procurandosi un’epatite con «iniezioni di urina (la mia) nel sangue e una cura di uova marce», il 23 ottobre dello stesso anno fu accusato di aver ucciso un poliziotto a un posto di blocco nei pressi di Montecatini, il 13 novembre la sua banda, spostatasi ad Andria, uccise l’impiegato di una banca, un medico, un vigile urbano e tre poliziotti, il 13 dicembre sequestrarono Emanuela Trapani, rilasciata il 22 gennaio 1977 dopo il pagamento di un miliardo (Vallanzasca meditò pure di rapire Berlusconi). Nuovo arresto il 15 febbraio 1977. Evaso il 28 aprile 1980 da San Vittore, fu subito ricatturato. Il 20 marzo 1981, durante una rivolta nel carcere di Novara, tagliò la testa a un ragazzo di vent’anni, Massimo Loi. Il 18 luglio 1987 fuggì dalla nave che lo stava portando all’Asinara. Da Genova raggiunse Milano a piedi, il 7 agosto fu catturato a Grado. Nuovo tentativo d’evasione il 31 dicembre 1995, dal carcere di Nuoro. Dal 1999 rinchiuso nel carcere speciale di Voghera. Adesso è recluso a Bollate. Morti che pesano «Molte sono le cose che non rifarei, soprattutto quelle che, direttamente o indirettamente, hanno coinvolto persone che non c’entravano nulla, che non erano lì per morire. Non intendo poliziotti: io non ho mai sparato per primo e per il mio codice sono a posto. Parlo dei morti civili. E sono morti che pesano. Come quel medico ucciso durante una rapina: al processo non riuscivo a guardare in faccia la vedova, anche se non ero stato io materialmente a sparare. Mi sono accorto che il dolore degli altri era uguale al mio. Per la morte dei disgraziati che si sono trovati al posto sbagliato nel momento sbagliato, non do la colpa al caso ma me l’accollo totalmente: quando ho deciso di portare una pistola, sapevo che ci sarebbe stato il momento in cui l’avrei usata» (da un’intervista di Pier Mario Fasanotti e Valeria Gandus). Sparatorie Erano eccitanti, le sparatorie? «Questo lo pensano i fuori di testa o quelli che hanno visto troppi film. Per me un lavoro ben fatto era uno in cui non si sparava. Se succedeva, erano casini, aumentava il rischio di lasciarci la pelle o di farsi beccare. Due prospettive che a me non eccitavano per niente» (a Maurizio Cattelan). Vestiti firmati «Io sono la dimostrazione vivente che chi ruba non fa soldi. Ne ho buttati via tanti, di soldi, questo sì. La latitanza non mi è mai costata granché, anche se facevo una vita costosa: lo champagne, le donne, meglio due che una sola, eh! Ma mi piacevano le case e spendevo molto anche nei vestiti: ne avevo più di una ventina di Litrico, oltre a quelli fatti su misura. La mia passione era il gessato, quello alla Delon e alla Belmondo. [...] Facevo le rapine col vestito firmato, io». Puttano virtuale «Tanti uomini mi hanno fregato, nella vita, ma nessuna donna. Dopo la fuga dalla nave ho contattato 30 persone, ma solo cinque mi hanno aiutato. Tutte donne. Loro hanno sentimenti, sono più vere. Io mi sento molto donna. Mi mandavano fotografie pazzesche: con me vivevano fantasie inconfessabili al partner o al marito. Per loro ero una specie di “puttano virtuale”. Ad alcune di loro dicevo: certe cose falle con tuo marito. No, rispondevano, le farei solo con te». Nozze 1 Il 14 luglio 1979 sposò nel carcere di Rebibbia Giuliana Brusa (matrimonio mai consumato, nel 1990 il divorzio). Nozze 2 Antonella D’Agostino, 60 anni, amica d’infanzia e attuale moglie di Vallanzasca (si sono sposati a Milano il 5 maggio 2008, il giorno dopo lui è tornato in cella) ha raccontato che le nozze con la Brusa furono celebrate «ad hoc per l’opinione pubblica»: «All’epoca si parlava di una rivalità tra lui e Francis Turatello. Renato mi raccontò che era stato proprio quest’ultimo a a suggerirgli il modo per dimostrare al mondo che non erano nemici. Come? Facendogli fare da testimone alle sue nozze». Antonella Antonella D’Agostino e Renato Vallanzasca, che abitavano a Milano nel quartiere Giambellino, si incontrarono la prima volta quando avevano 10 anni: «Era un ragazzino vivace ma anche buono, generoso, sempre pronto a difendere il più debole. Ci siamo subito voluti bene. Io, come lui, ero una bella ragazzina. Se qualcuno provava a darmi fastidio, intimava minaccioso: "Lasciala stare, è mia sorella”». Da allora rimasero amici, anche quando lui prese a darsi alle pistole e alle rapine: «Ogni tanto veniva a trovarmi al lavoro, spesso ci scrivevamo usando sua madre, Marie, come postino». Poi Vallanzasca finì in galera, e da lì le scriveva lettere indirizzate alla «sorellina mia bellissima». All’epoca lui, di lettere, ne riceveva migliaia, «che trasudavano sesso e sentimento, da donne follemente innamorate di lui, donne che si erano fatte tatuare sul seno la sua immagine. Anche io gli scrivevo, è vero, ma ero sua sorella. Le altre cosa vogliono? Così un giorno glielo scrissi e lui mi domandò: Non sarà che sei gelosa? Non riuscivo a togliermi di mente quelle parole: come potevo essere gelosa di mio fratello? E poi gelosia vuol dire amore. Ero davvero innamorata di lui?». Infine lo ammise, a se stessa e a lui: lo amava. «Da quel momento, le lettere non furono più indirizzate alla "sorellina bellissima” ma alla "moglie adorata”. Il primo bacio se lo diedero il primo maggio del 2005: «Come ogni domenica ero da mamma Marie. Suona il citofono: "Sono il comandante di Voghera”. Dio mio il carcere, in quel periodo Renato stava male... è morto, penso. Scendo nell’androne di corsa, mi trovo davanti un muro di agenti. Sto per urlare quando sento la voce di Renato: "Amore mio, sono qui”. Sento armeggiare con i ferri, non vogliono farmelo vedere in manette. Poi la folla si apre, mi viene incontro a braccia aperte, mi bacia: "Vita mia, sapessi quanto ti amo». Grazia Nel 2007 Vallanzasca ha presentato una domanda di grazia respinta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, aveva dato parere contrario). Aveva ammesso: «Perché dovrebbe essermi concessa la Grazia? Sinceramente non lo so. Pensandoci e ripensandoci mi sovvengono molte più ragioni per non concedermela, visti i tanti disastri da me commessi». Un giornalista gli chiese: «Quindi, lei la grazia non se la darebbe?». Vallanzasca rispose: «Nemmeno lontanamente». E spiegò che la chiedeva solo per fare un piacere alla mamma. Blog Alla fine del 2007 ha aperto sul web un suo blog. Cura del corpo Caporedattore di Salute InGrata, un mensile realizzato dai detenuti, in un articolo del numero di luglio sostiene che tenersi in forma è più facile per chi è ”dentro”: «In galera c’è una maggiore cura del proprio corpo. Sono molti di più i carcerati che fanno attività fisica che i liberi cittadini». Ha poi aggiunto di aver perso già 10 chili andando in bicicletta e di volerne perdere altri cinque in un mese. Pelletteria Dall’8 marzo 2010 nel carcere di Bollate passa solo la notte, durante il giorno invece va a lavorare nel laboratorio milanese di Ecolab, una cooperativa che fabbrica pelletteria a basso costo quasi tutta formata da ex detenuti. L’ha fondata una decina d’anni fa sua moglie Antonella D’Agostino, che ha detto ai giornalisti: «Renato s’è rassegnato alla semilibertà e al lavoro solo per farmi un favore». Bicicletta Ho sentito che, dopo tanti anni, hai avuto il permesso di passare qualche ora fuori di prigione, in quella che voi condannati chiamate “libertà". Come l’hai trovata, questa libertà? Deludente? Spiazzante? «È vero, dopo aver trascorso più di 2/3 dei miei 60 anni dietro le sbarre, sto tornando a riassaporare qualche briciolo di libertà. Ma non saprei rispondere, non ho avuto nessuna sensazione particolare, né negativa né positiva... si tratta decisamente di frammenti». Il mondo è cambiato. Tu pure. «Mi hanno persino fregato la bici mentre andavo a lavorare. Più cambiato di così» (Vallanzasca a Maurizio Cattelan). Gli angeli del male Lunedì scorso, gelo alla Mostra del Cinema di Venezia per il film fuori concorso Vallanzasca - Gli angeli del male (al termine della proiezione, in una sala stampa piena a metà, non si sono sentiti né applausi né fischi). La pellicola, prodotta dalla Cosmoproduction di Elide Melli in associazione con la Fox, regia di Michele Placido, con Kim Rossi Stuart nel ruolo del bandito milanese, racconta la storia di Vallanzasca dai primi furti coi compagni di scuola fino agli anni delle rapine, dei delitti e dei processi. Già durante la lavorazione c’erano state polemiche, in particolare l’associazione Vittime del Dovere, che riunisce i familiari dei poliziotti uccisi dalla banda Vallanzasca, aveva chiesto al sindaco Moratti di ritirare il patrocinio al film e al Ministero di non finanziare il progetto. E lo scorso settembre aveva scritto una lettera al Corriere della Sera, definendo inammissibile «riscrivere la storia e una memoria collettiva dei fatti che riguardano spietati assassini attraverso le loro logiche». Contributi La produzione Vallanzasca - Gli angeli del male ha ricevuto dallo Stato un milione e duecentomila euro di contributo (su un budget di sette milioni). Co-produce la Twentieth Century Fox, che non veniva a investire in Italia da 31 anni. Lato oscuro 1 «Non nascondo che la storia di Vallanzasca apra delle ferite ancora scoperte: è la storia di un bandito che ha fatto molti morti e ognuno di quei morti merita rispetto. Ma non è la storia di un terrorista, è il racconto della vita di un ragazzo votato al crimine fin dalla più giovane età e che prima di compiere 26 anni aveva già commesso molte rapine e fatto diversi morti fra civili e poliziotti. Non mi interessa affatto esaltarne la figura o istituire un’aura romantica attorno a un criminale, voglio piuttosto cercare di far emergere il lato oscuro di un ragazzo che non è stato capace di gestire senza spargimenti di sangue il proprio fascino per il male. Una persona che però, al contrario di molti veri terroristi, si è sempre preso la responsabilità di ogni azione compiuta dalla sua banda e che sta tuttora scontando la sua condanna all’ergastolo» (Michele Placido). Lato oscuro 2 I parenti delle vittime hanno protestato per il film. Ha parlato con loro? «Non sono certo io che posso dire loro qualcosa. Il mio lavoro è un altro. Lungi da me l’idea di fare un film apologetico. Placido ha già detto che non si possono raccontare solo storie di santi, non si possono fare film solo su Padre Pio. Aggiungo un parere personale: non ha senso accanirsi su un uomo che ha pagato con quarant’anni di galera, come credo nessun altro in questo Paese. Un uomo che non si è mai tirato indietro, che ha affrontato la giusta pena [...] Questo non è un film pro Vallanzasca. Racconta la vita surreale di un uomo che ha accumulato strumenti per analizzare profondamente se stesso. La frase-chiave arriva verso la fine, quando Vallanzasca dice: “Io non sono cattivo. Ho un lato oscuro molto pronunciato”» (Kim Rossi Stuart a Aldo Cazzullo). Cattivi Signor Vallanzasca, è possibile che al mondo ci sia gente più cattiva di te? Ne hai conosciuti? «No, non credo che esista un solo essere più cattivo di me – vuoi che mi sia lasciato sfuggire un primato del genere? Nessuno si è lontanamente avvicinato, anche se c’è chi ci ha provato, e non erano nemmeno tutti criminali, anzi, la maggioranza erano giornalisti...». Dimmi qualcosa di cattivo. «Mmmh, a furia di parlare mi è venuto un grande appetito... mi ci vorrebbe proprio un infante al forno» (Vallanzasca a Maurizio Cattelan).