Varie 18 agosto 2010, 18 agosto 2010
«Sono un ipocondriaco gioioso, ho un sacco di malattie, se guarissi da tutte forse ne morirei». La sua presunta pazzia: «Una leggenda nata da un dossier che il Sid confezionò su di me su commissione
«Sono un ipocondriaco gioioso, ho un sacco di malattie, se guarissi da tutte forse ne morirei». La sua presunta pazzia: «Una leggenda nata da un dossier che il Sid confezionò su di me su commissione... Questa faccenda della mia pazzia l’hanno messa in giro i miei colleghi di partito, e mi diverte molto» (a Concita De Gregorio nel 2003). «Al Quirinale ci andavo e ci restavo a dormire per qualche giorno, solo quando dovevo ricevere gli ospiti stranieri o quando la famiglia era via per le vacanze. Era triste stare lì. Il Quirinale è uno dei palazzi più depressivi di Roma. Credo che su di esso gravi ancora la maledizione che don Bosco lanciò contro i piemontesi che da lì cacciarono il Papa» (a Flora Lepore, Chi 15/10/2003). Il rapimento e l’uccisione di Moro, che gli imbiancarono improvvisamente i capelli e gli aggravarono la vitiligine di cui era sempre stato preda. «Cossiga chiaramente non è un nome, è un soprannome, che vuole dire: venuto dalla Corsica. Intorno a questo fatto ci sono due versioni, la versione nobile e quella meno nobile. La versione nobile è che due fratelli, uno sacerdote e l’altro che sarebbe il nostro capostipite, siano scappati dalla Corsica dopo il fallimento di una rivolta contro i francesi. I due antenati, una volta in Sardegna, nascosero il loro nome, temendo che i francesi potessero ugualmente trovarli e impiccarli come ribelli. Così, rimasti senza nome, da allora furono chiamati semplicemente Cossiga, cioè quelli della Corsica. L’altra versione, invece, segue una grande tradizione di banditismo corso, per cui il mio trisnonno o quadrisnonno, bandito, sarebbe scappato dalla giustizia riparando in Sardegna. Io ho sempre sostenuto questa seconda tesi come la più veritiera» (ad Antonello Capurso nel 2006). «I sardi si dividono in due categorie: i muti e i falsoloquaci» (a Pasquale Chessa, Panorama 9/12/2004). La famiglia: «Una delle famiglie repubblicane del giro nobile e borghese di Sassari, molto austera e severa, al punto che non si usava neanche il bacio della buona notte... credo che io e mia sorella non ci siamo mai neanche abbracciati...» (ad Antonello Capurso nel 2006). «A scuola ho bruciato le tappe. Andavo bene un po’ in tutto. Solo in condotta non ebbi mai più di 6. Una volta fui anche espulso dalla scuola, per aver mangiato in classe, durante la lezione, pane e frittata» (ad Antonello Capurso nel 2006). Prese la maturità nel 1944, a 16 anni, «studiando moltissimo, anche a causa di un grave incidente che mi aveva immobilizzato». Stava andando in bicicletta, si distrasse al passaggio di una ragazza che lo interessava, andò a sbattere e si ruppe una gamba. La ragazza, cugina di Berlinguer, fu la sua prima fidanzata, ma non la prima di cui si era innamorato, Laura Siglienti Berlinguer, figlia di Stefano, ministro delle Finanze del primo governo Bonomi. «Poi c’è stata la terza ragazza della mia vita: bellissima, bruna, dura, intelligente e ricca. E anche presidente delle universitarie cattoliche. Però era molto più grande di me, aveva 25 anni. Le cose andarono così: io, già professore incaricato all’università, ero diventato anche il più giovane consigliere d’amministrazione della Banca d’Italia. Quindi, non avendo tempo, non le avevo mai fatto la corte. Ma un giorno, me lo ricordo come fosse adesso, le telefono e le dico: “Ti devo parlare”. “Va bene”, dice lei. E io: “È una bellissima giornata, passo a prenderti alle tre e ci facciamo una passeggiata a San Pietro”. Quella di San Pietro era la passeggiata degli innamorati... e una volta arrivati io mi dichiaro: “Senti, mia cara, ho deciso di sposarti”. Risposta: “E io no... ma tu sai il bene che ti voglio, quindi puoi capire quanto sia addolorata nel darti questo dispiacere”. Per consolarmi mi prese, cosa bellissima, sottobraccio e ci recammo in chiesa a dire il rosario» (a Capurso nel 2006). Sposò infine nel 1960 Giuseppa Sigurani, «sarda del Goceano, dottore in farmacia, bionda con gli occhi azzurri, bellissima, altera, di grande e forte carattere, molto colta» (Bruno Vespa in L’amore e il potere), che non mise mai pide al Quirinale e di cui non circolano fotografie. Si separarono nel 1993, un anno dopo la scadenza del mandato presidenziale e divorziarono dopo cinque anni. Al termine di sette anni di istruttoria compiuta da una commissione istituita da Giovanni Paolo II, il matrimonio fu poi annullato dal Tribunale della Rota con l’avallo di Benedetto XVI. Le preghiere: «Tre volte al giorno, con il libro di preghiere - lodi, vespri e compieta - altrimenti mi distraggo» (a Barbara Romano nel 2008). L’asprezza di carattere di “Geppa”. «Il giorno in cui Cossiga venne eletto presidente della Repubblica, tornando a casa trovò tutte le luci spente come segno di totale indifferenza se non di irritazione verso quella nomina» (Lorenzo Fuccaro). «Il mio terapeuta mi ha detto una cosa: che la sensibilità in materia sentimentale è inversamente proporzionale al quoziente di intelligenza e di acculturazione» (nel libro scritto con Sabelli Fioretti L’uomo che non c’è). La zingara Anna, che davanti al ristorante Al Bolognese, in piazza del Popolo a Roma, legge[va] il futuro ai clienti. Cossiga passava e le dava 10 euro senza neanche farsi leggere la mano (Giulia Cerasoli su Chi nel 2006). La sua passione a tavola erano le prugne cotte. Due figli, nati dal matrimonio con la Sigurani: Anna Maria (1961, laurea in Lettere antiche, dieci anni di lavoro tra Londra e New York) e Giuseppe (1963, ingegnere aeronautico, lunga esperienza all’Aerospatiale a Tolosa, oggi sottosegretario alla Difesa). «Io ho due figli legittimi, ma non si sa come siano nati. Per partenogenesi, forse...» (a B. Romano nel 2008). Durante la campagna elettorale 2001, davanti ai fotografi che lo seguivano in un giro al mercato del quartiere Trionfale a Roma, si fermò a un banco di pescivendoli e lasciò il suo autografo sul dorso di una sogliola. Nal 1984 fu lui a sancire la regola che impone la cravatta agli uomini per entrare in Senato. La volta che si fece servire un whisky durante una conferenza stampa. E quando lo chiese a Moro, che gli aveva offerto da bere nel suo studio privato a Roma, in via Savoia. Ma Moro di whisky non ne aveva. Glielo fece trovare invece, con una bottiglia comprata apposta per lui, quando s’incontrarono nuovamente in quello stesso studio. La sera prima del rapimento dello statista dc. «La Nato è finita: serve solo agli Usa per camuffare le loro azioni militari» (ottobre 2001) «Quando mi dicono che sono stato un uomo di governo e di Stato, mi faccio una risata. I veri uomini di Stato in Italia sono stati Cavour, Giolitti, Mussolini e De Gasperi» (a B. Romano nel 2008). «Se Berlusconi è il nuovo De Gasperi, io sono il nuovo Carlo Magno» (nel 1998). «E D’Alema? “Amico mio, le citerò una lezione di vita presa da due film. Nel primo, cioè Lawrence d’Arabia, lui lo prende in quel posto e ci resta male. Nel secondo, Ultimo tango a Parigi, lei lo prende nello stesso posto ma ci resta bene”. Vuol dire che comunque D’Alema... “Mi saluti la famiglia”» (Gian Antonio Stella nel 1999). Ancora su D’Alema: «Se non si è in più di sei, è un uomo spiritosissimo. Lui è il miglior figo del bigoncio» (ottobre 2007). Occhetto, «uno zombie con i baffi» (gennaio 1992). De Mita nel febbraio 2008: «Io non parlo di Cossiga dal 1990. Non so nemmeno se è vivo». Cossiga: «Ex On. De Mita, sono vivo, sono vivo! E io conto e nessuno mi ha mai preso a calci nel c...! Mentre Lei non conta un c...!». Alle ultime elezioni votò Pd al Senato e la lista Ferrara alla Camera. «La apprezzo e La stimo, le dico questo anche se fra di noi quello che ci potrà essere sarà solo amicizia» (a Vladimir Luxuria, in un biglietto, nel 2006) «Agnelli e Fazio sono i garanti del governo Berlusconi presso l’opinione pubblica? “No. I garanti, o mallevadori, rispondono se gli impegni non sono onorati. Agnelli-Fiat, invece, è un testimonial. Come Megan Gale per Omnitel, i testimonial ricevono un compenso, ma non rispondono se i cellulari non funzionano”» (Massimo Mucchetti nel 2001). «Come le è venuto in mente l’idea di regalare a Donna Franca Ciampi il libro sul caso Lewinski? “L’ho fatto perché lei è una donna spiritosa. Carlo ti ama e ti è sempre stato fedele, le ho detto. Ti mando questo libro perché tu conosci quali insidie può trovarsi ad affrontare un capo dello stato. Stai in guardia Franca”» (Denise Pardo nel 2001). «Dopo Ciampi, è Prodi la persona che meno capisce di politica, ma è uno degli uomini più furbi che io conosca. Allevato come me in sacrestia, dice le bugie meglio di Berlusconi» (ottobre 2003). «Nei conflitti non bisogna mai mettere l’avversario spalle al muro, nelle condizioni di arrendersi o combattere fino alla fine. In politica ogni soperchieria nei confronti del più debole dev’essere ammantata di carinerie, concessioni, addirittura regalie» (a Renato Farina nel 2004). A proposito di Rifondazione comunista: «Come Romano Prodi li prende per il c... è semplicemente sublime» (novembre 2007). «Ogni giorno scelgo il giornale dal quale attingere le notizie, cambiando tra Corriere della Sera, Repubblica, Messaggero e Stampa. Poi, di notte, leggo Il Foglio e L’Osservatore Romano». «Due sono i libri che mi porto sempre dietro: Il libro degli amici, di Hugo Von Hoffmanstal, e Pascal, che considero il massimo possibile». Non gli piaceva L’isola dei famosi: «Vedere quelle povere persone che si danno da fare per conquistare una porzione di cibo e di notorietà mi suscita un sentimento di pietà cristiana. Meglio Discovery Channel. Non posso più neppure guardare Beautiful, orami le mie attrici preferite sono tutte invecchiate. Passano gli anni e aumenta il girovita» (ad Alfonso Signorini nel 2004). «Caro Mister Gates, ho fatto installare il suo nuovo sistema operativo “Windows XP” e due giorni dopo è entrato in tilt»: fax spedito alla Microsoft alla fine del 2001. Microsoft rispose, reinstallò il sistema e si scusò. Aveva sette pc portatili, dodici linee telefoniche («Guardi: batteria centrale, batteria del presidente del Consiglio, un numero della rete di Palazzo Chigi, uno della rete del Viminale, uno del comando generale dell’Arma dei Carabinieri, uno della Guardia di Finanza...»), dodici cellulari («nessuno dei quali acquistato. Ciascuno con la sua suoneria: l’inno dell’Unione Sovietica, l’Internazinoale, “Deutschland, Deutschland”, l’inno della Marina britannica...») (a Barbara Romano nel 2008). Telefonini e computer, fissi e portatili, gli arrivavano prima che nei negozi, dagli Usa o dalla Cina. Con i pc, tutti con i software più aggiornati, navigava diverse ore al giorno su internet. Iofcg era il suo codice da radioamatore. La passione per la radio era nata dopo un brutto incidente stradale: «Sono uscito fuori strada a 200 chilometri orari. Di notte non dormivo e ho iniziato a fare l’ascoltatore. Poi ho voluto fare il radioamatore attivo». Gli capitava di collegarsi col re spagnolo Juan Carlos e con Hussein di Giordania, anch’essi radioamatori. Nel suo salotto campeggiava un grande Pinocchio in legno. Sugli scaffali soldatini a cavallo in porcellana, un Babbo Natale vestito di bianco (l. lau., Repubblica 9/1/2004). Nelle bacheche lungo i corridoi la collezione dei soldatini di piombo. Altra collezione: cavallucci a dondolo. Una parete intera della biblioteca dedicata a testi esoterici: la sezione Massoneria subito dopo quella Templari (De Gregorio, Repubblica 10/10/2003). «Questo apparecchio potrebbe essere intercettato»: da una targhetta sui telefoni di casa e dell’ufficio, anche quando di intercettazioni non parlava quasi nessuno. Al Senato sedeva nello scranno col numero 007. «Non lasciare pistole incustodite»: da un’altra targhetta su un tavolino all’ingresso di casa (Filippo Ceccarelli).