Notizie tratte da: Piera Condulmer # I caffè torinesi e il risorgimento italiano, 29 novembre 2010
Argomenti di: Piera Condulmer, I caffè torinesi e il risorgimento italianoCaffèquando senza indicazione sono a TorinoAlpi (le), È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]Alta Italia (l’) È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]Bedotti, raduno dei democratici [141] Avvocati [102]Biffo, «Nel 1832 era venuto a Torino l’ingegnere lionese Gautier perr fare esperimenti con il gas, e il primo lo fece al Biffo
Argomenti di: Piera Condulmer, I caffè torinesi e il risorgimento italiano
Caffè
quando senza indicazione sono a Torino
Alpi (le), È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Alta Italia (l’) È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Bedotti, raduno dei democratici [141] Avvocati [102]
Biffo, «Nel 1832 era venuto a Torino l’ingegnere lionese Gautier perr fare esperimenti con il gas, e il primo lo fece al Biffo. La cosa persuase e non persuase» [115] (seguono dettagli sull’introduzione del gas a Torino). [116]. Vi si gioca d’azzardo [109]
Borsa, messo dal Calosso tra gli splendidi [142] È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Calosso, frequentato dal Casalis [142], frequentato da Brofferio che mostra simpatie per Carlo Alberto [139]. In via Doragrossa. Silvio Pellico al fratello Luigi dice che «i garzoni del Calosso fanno per le ore serali una toletta: vestono nero e mettono guanti bianchi: ottima speculazione perché attrae le genti» (1838). Nel 1843 aveva introdotto due grandi novità, il resto asciutto e le tazze con i manici era ora unb vivaio di begli spiriti [115] Giudici e magistrati [102] Frequentato da Brofferio [98]
Cambio, «Nel 1846 le luci a gas entrarono al Cambio, che il Panizza ampliò sfruttando il portico antistante, e decorò in stile Restaurazione. Prese a frequentarlo la contessa d’Agoult, con Massimo d’Azeglio ecc.» [117]
Catlina, offriva musica. Qui il poeta Alberto Arnulfi ( (Fulberto Alarni) scrisse i sonetti Sang bleu e Sor count e conseguense [125]
Commercio, messo dal Calosso tra gli splendidi [142]
Danemark, a Parigi. Il regime di Luigi Filippo crolla sotto i colpi dei giovani artigiani di questo caffè [153]
Delle colonne vedi Nazionale [117]
Diley, in via Po, messo dal Calosso tra gli splendidi [142]. Frequentato dai repubblicani [141]. Imponente nella persona, rutilante la voce, accanito se non valente nel gioco dei tarocchi, il Prati prese ad occupare i portici di via Po e i caffè, specie il Nazionale e il Diley, con la sua massiccia figura [104] Frequentato da Brofferio [98]
Fiorio, «Il Fiorio, che nel 1845 si abbellì tutto e furono chiamati ad adornarlo il Gonin, il Morgari, il Gerbi, il Busca, il Barra e lo scultore Bogliani: divani di velluto rosso, specchiere, gli aristocratici potevano ormai trovarcisi a loro agio. Anche molta buona borghesia. Un pochino rumoroso (dettagli sulla fondazione del Circolo del Whist) [116]. Codini [102] Ilarione Petitti [100] «Qu’est ce qu’on dit au Fiorio» era divenuta la prima frase abituale del re ad ogni rapporto giornaliero dei suoi consiglieri… Gli ambienti di certi caffè costituivano perciò una specie di serbatoio di pubblica opinione della quale un re, che si avviava tacitamente verso le riforme, anzi verso la ristrutturazione sapeva di non poter fare più a meno [94-95]
GalloLondra, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Gianoglio, vi si giocava clandestinamente [110]
Lega, messo dal Calosso tra gli splendidi [142]
Londra, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125] Vi si gioca d’azzardo [109]
Italiano, messo dal Calosso tra gli splendidi [142]
Madera, «con i suoi imponenti 110 giornali, ciascuno nella propria cartella ben allineata lungo la parete; era all’angolo di via dell’Ospedale con via dei Conciatori. Questo accoglieva gli ospiti con l’arte del Morgari, del Busca, del Mojà, del Gerbi, del Borra, e vi si potevano trovare così a loro agio i Borromeo, gli Arconati, i D’Adda, i Martini, i Casati, i Correnti, quando i tristi destini di Milano ve li costrinsero» [143]. L’Italiano-Gazzetta del Popolo, anticlericale, sostenitore dei diritti della classe operaia, ma non violento, con Bottero e Govean, nacque al caffè Madera auspice Michele Lessona con Borella, Leoni, Mazza e altri, sotto la sorveglianza dei poliziotti tanto attenta da lasciar tranquillamente derubare il caffè della sua celebrata argenteria [129]. Elenco degli affreschi e degli ornamenti introdotti dal Carlo Lucco, dal Gerbi, dal Morgari, dal Busca. Alcuni titoli del dipinti: Gabriella di Vergy che confida all’arpa i suoi sospiri pel lontano crociato; Elodia che infiora la tomba del Solitario; Il suicidio di Sofonisba; La vestale Sostilia condannata; Caio Mario che disarma il soldato, che lo deve uccidere, col suono della sua voce; le otto donzelle medievali e altrettanti cavalieri con armature a sostenere gli specchi [125]. Il cameriere Cirillo Grosso, autore del Diario intimo di un cameriere: «dice che Il Madera è proprio il caffè degli uomini distinti e di mente e che come il Fiorio ha una clientela di nobili e ufficiali: “Viene anche A. Castaldi con la sua lunga zazzera e il cavalletto, Desiderato Chiaves, Guido Giacosa, giovani d’ideali liberali e assai seri”. Il 21 gennaio 1844 “mentre passavo lo strofinaccio sul suo tavolino [di P.C. Boggio] gli ho rivolto la parola dicendogli: Eccellenza, cosa vuol dire libertà, indipendenza? Lui ha tratto di tasca un libro e me lo ha regalato. Il libro ha un titolo che non capisco troppo bene: “Primato morale e civile degli italiani”, l’ha scritto il signor Vincenzo Gioberti, che ancora pochi anni fa veniva al Madera e che dovette poi rifugiarsi oltre Alpe per sfuggire alla Polizia”» [106]
Meridiana, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Moka, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Nazionale, (già Delle Colonne e Vassallo) messo dal Calosso tra gli splendidi [142]. È qui che alle 18 dell’8 febbraio 1848 arriva Roberto d’Azeglio con una copia dello Statuto appena stampata [138] Irruzione della polizia per sequestrare copie del Fischietto per volontà del Tosi. Il questore Micone dice che non erano poliziotti suoi [129]. Chiamano il nano americano Tom Pounce [125, vedi caffè Sardegna]. «L’antico Caffè delle Colonne, rinato come Vassallo, aveva ripreso vita con il ritorno degli esiliati, anche se gli anni e gli eventi li avevano resi più maturi; ma ora avevano preso l’abitudine di trovarsi colà anche gli ufficiali del recente Corpo dei Bersaglieri. Il 1847 era un anno che stava chiudendosi denso di eventi e di fermenti. Era sulla porta del suo locale il signor Vassallo una sera dell’ottobre, e con lui i clienti occorsi a vedere cosa succedeva, dato il rumoreggiare di folla che avanzava; si seppe che era l’esplosione della gioia popolare per le riforme concesse o promesse da Carlo Alberto […] La folla tumultuava per l’entusiasmo, e gli studenti con alcuni professori nell’euforia del momento avevano formato cortei, per incitare il re a completare l’opera sua con indire la guerra all’Austria […] Una parte del corteo passo di fronte al Vassallo, il neo professore di Fisica, Zest, batte sulla spalla del proprietario una mano e gli dice: «Domani il tuo locale lo chiamerai Nazionale». L’indomani la nuova insegna figurava già sulla porta del caffè di via Po, e con quel nome si eternò. All’interno il proprietario mise altrettanto entusiasmo nel trasformarlo sotto la regia del Panizza, ed anche i cittadini vi concorsero in modo che fosse degno dell’insegna nazionale «Sembra un fantastico palagio (sta scritto nel Mondo illustrato, a firma di L. Cicconi, del 27/12/1847); sculture del Baglioni offrenti tazze, sul fondo si spiega un’iride attraversata da un’aerea figurina che sventola i vessilli nazionali. Nella volta le Grazie del Morgari, nell’altra sala soffitto del Gonin con le Arti» […] «Il Ridotto: nel quale si diletica il palato con grata bevanda, l’oro distese il suo fulgido integumento nelle scannellature delle colonne… e gialleggia, s’accende, sprazza lampi secondo il riverbero delle lumiere […] Il Vassallo perla dei caffettieri si sentì buon italiano anch’esso, nominò la sua ridente Alambra Caffè Nazionale». Se il re era ammalato si esibiva il boillettino medico ad uno specchio del caffè [117-118]. «Ma bisogna dire che certi caffè avevano intuito l’importanza che i loro locali potevano assumere; nel 1842 «le nobiliari sale del caffè Vassallo che prospettano sulla piazza San Carlo acclamata dalla fama (scrive il cav. Baratta sul Muso scientifico e letterario), inebriano per la loro eleganza. Appaiono opere marmoree nell’ingresso in cui apparisce il casto e leggiadro concetto dei Leoni. L’ingegnoso meccanismo della porta in cui anziché aprirsi ignobilmente sui cardini, spare dal guardo occultandosi in una laterale fessura… Uno specchio con lussureggiante cornice di fronte all’ingresso fa sì che gli inscii credano la sala prolungata…». Luigi Rocca nell’Eridano parla del «salone rettangolare d’entrata, che sembra ovale per le 12 colonne sistemate ad arte, con capitelli ionici ma senza plinto, la cui architrave con dovizia d’ornamenti, è temperata dalla soave artistica economica, e annuncia degnamente il convegno di un pubblico opulento e gentile. La volta è tutta artistica fragranza: Giove ricevente il nettare di Ebe, del Gerbi, quattro centauri del Morgari»; il Bruneri ha scolpito le quattro arti che furono molto criticate; nel salone dipinti di armi e battaglie, in quanto piazza d’Armi e i suoi portici furono, la prima infermeria dei feriti del 1706 e sulla piazza si ergeva l’altare dove Sebastiano Valfrè celebrava continue messe, incurante dei cannoni e delle granate, durante il famoso assedio. I forestieri dicono che non hanno mai visto un caffè più bello copn sue cinque sale, un estaminet, un biliardo. Il Baratta completa la descrizione con quella del “laboratorio indispensabile in tal genere di officina, con quegli ignobili utensili ed arredi ma utili e necessari, disposti in modo che passasse inosservato”. Quando poi il “gasso scintilla (questo caffè fu il primo a introdurlo nel 1832) da quattro nobilissimi lampadari, crea una sterminata reggia fantastica» [113-114]. Prati al Nazionale in 104 (vedi Diley)
Neuer, a Vienna. La rivoluzione del 13 marzo 1848 sarebbe partita da qui [153].
Parigi, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Piemonte Frequentato da Plana, Avogadro, Cantù, Cibrario, Casalis ecc. (tra il 1825 e il 1830) [81]
Progresso, «elegantissimo con quella gran sala tutta foderata di seta» [143] Repubblicani, mazziniani [102] «Si spande la voce che il conte Birago sta facendo una delle sue stramberie: costruisce qualcosa che vuol essere una casa in mezzo ai prati di Vanchiglia, fuori mano, solitaria; roba di chi ha soldi da buttar via, si dice nei circoli e nei caffè. Vi lavorano tante facce e mani di operai che non sembrano tutti del mestiere; che strane facce di fondamenta preparano per quell’edificio! Per fortuna la lontananza dal centro abitato ostacolo i curiosi. Finalmente qualcosa di edificato emerge, è una casa a tre piani un po’ triangolare: ma chi andrà ad abitarvi laggiù? Per colmo di pazzia vi si apre un caffè, e molto elegante, con tavolini di marmo bianchi e lunghi divani di velluto rosso alle pareti, luci moderate, molti giornali. Espone anche un’insegna: Caffè del Progresso. Sembra che non vi vada mai nessuno. Chi tuttavia fosse rimasto là presso un poco a lungo, avrebbe visto attraversare i prati la sera ombre furtive, e sollecite entrare nbel riquadro della luce della porta e scomparirvi. Però se l’osservatore fosse anch’egli entrato subito nel locale, lo avrebbe trovato deserto, con il solo sonnolente cameriere. Silenzio e mistero. Per la Polizia nessun motivo d’intervento, e se questa avesse voluto anche ispezionare le cantine, avrebbe trovato delle gran botti di vino e null’altro. La cantina però non era che una parte di quelle strane fondamenta che presentavano due piani sotterranei; cioè stanze di cui una era una belle sala circolare, bene arredata a caffè di lusso, con pareti rivestite di damasco, poltroncine ecc. Mascherate da specchi si aprivano agli estremi due porticine che immettevano nel mistero dei cunicoli che andavano a piazza Castello da una parte e ai Murazzi del Po dall’altra. Caffè del Progresso per gli amanti della solitudine, al piano stradale, covo di carbonari nel sottosuolo, dove le botti erano ingegnosi nascondigli in caso d’allarme, e i cunicoli servivano per la fuga in casi gravi» [86-87]
Romano, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono. D’estate metteva fuori il palchetto per l’orchestra [125]
Rondò, in fondo a via Po, dove si incontravano gli artisti capeggiati dall’avvocato Luigi Rocca. Discussioni che sfociavano in politica, concetto di arte molto esteso dato che accoglieva «per esempio Pier Alessandro Paravia, il professore d’Università, che teneva a casa sua l’Accademia del sabato, con Ugelli Ruscalla, Moletti ecc. questi il 9 marzo 1847 progettarono una Società artistica e letteraria, di cui presentarono la supplica al re per l’approvazione, bene mettendo in evidenza i fini culturali e non politici» (senza risultato) «Nel 1849 il progetto fu ripreso dal pittore Biscarra che si collegò col Rocca per formulare lo statuto per il circolo degli artisti». Erano troppi e allora decisero di prendere tre sale del Caffè del Progresso (vedi), ma poi un gruppo di scissionisti tornò al Rondò [143-144] È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]. Vi si gioca d’azzardo [109]
Rotonda, «eleganza scenografica nei giardini dei Ripari» [142]. Costruito a sue spese dall’architetto Panizza in piazza Cavour, divenne subito alla moda [125]
San Carlo, messo dal Calosso tra gli splendidi [142] splendido «per sculture, ori, pitture e lumiere, che danno per la bocca e per le corna di satiri benigni, vivissima la benefica e splendida luce del gas [115]
San Filippo detto “il caffè del silenzio” (anni Venti), «lì uno con una buona tazza di cioccolato pagata ben centesimi 25, nel silenzio generale dei gravi testoni chini sui giornali, poteva anche far testamento senza perdere il filo» [82].
Sardegna, qui si adunavano i vecchi attori teatrali e gli amatori del vero barolo, là dove nel 1847 giunse il nano meraviglioso Tom Pounce del Conncecticut, al grido di Viva l’Italia con altre dimostrazioni di simpatie, tanto che poi lo vollero anche al Nazionale [125]
Statuto, «curato dall’architetto Leoni nell’arredamento», messo dal Calosso tra gli splendidi [142]
Svizzero, È tra quelli che tra il ’45 e il ’48 o aprirono o si ampliarono [125]
Tortoni, a Parigi. 23-24 febbraio 1848, i tavoli servono per fare le barricate. [153]
Vassallo vedi Nazionale
Altri fatti relativi ai caffè in genere
«Nei caffè il popolo, con la modica spesa di 4,5 centesimi, poteva prendersi il piacere di sedere accanto al primo ministro» [148].
«Su quei divani di velluto rosso, davanti a quei tavolini di marmo bianco più o meno venato, in quell’onda di veli delle silfidi e delle eroine effigiate sulle pareti o sui soffitti, nella rutilanza degli ori…» [147]
Bersezio, ne “I miei tempi”, ha scritto che nella povertà generale dei negozi, solo i caffè eccellevano. De Amicis: «L’architettura poveramente severa s’accontentava di pesante solennità, di simmetria e rifuggiva dai cartocci, dai mascheroni, dagli astralagi, dalle quisquiglie. Facevan eccezione a questa modestia i caffè» 142]
Il Casalis (vedi Calosso) dice che i caffè sono 98, 30 i liquoristi e 40 i soli venditori di birra e li dice «tutti magnificamente arredati, messi a oro, marmi, specchi, pitture, e cotanta loro eleganza vien fatta meglio spiccare nella notte dal gas che a profusione li illumina» [142]
Vi sono alcuni caffè nei quali «sì notevole è il concorso dei lettori, che la stanza in essi deputata alla lettura, può a ben diritto chiamarsi un gabinetto letterario, e ciò rende ragione del perché a Torino di gabinetti letterari non ve ne abbia che uno solo (via D’Angennes – Casa Benevello)» [142].
Altri fatti
«A Torino sono sempre esistiti diversi giornali, ma tra il ’47 e il ’48 ne pullularono a getto continuo e a forte caratterizzazione politica. Bisogna tuttavia osservare che il giornalismo risorgimentale non era una professione specifica, era bensì un’attività ad laterem dell’avvocato, del medico, del romanziere, oppure attività di ripiego per professionisti mancati; non avendo perciò essi una preparazione adeguata, mancava quell’elemento di autocontrollo che li avrebbe salvati da certi personalismi di posizioni politiche. Tra essi la Gazzetta del Popolo, erede dell’Italiano, tra il cavouriano Risorgimento e il valeriano Concordia, avrebbe voluto assumere la veste di sacerdozio civile, secondo le orme del Turina, contro i codici austriacanti; legato alla monarchia con affettuoso rispetto, ma sostenitore dei diritti delle classi operaie, esso appoggia l’istituzione delle Associazioni di mutuo soccorso, mentre la Gazzetta piemontese lotta contro le anticaglie di corte e si avvicina alla opposizione del Brofferio con atteggiamento romantico alla Dumas». [146]
Pinelli sulle turbolenze di Genova (fine 1847, a Petitti): «le indiscrete, esagerate pretese dei genovesi democratici, turbano gli onesti e i moderati che non vogliono che il randello rivoluzionario e comunista debba prevalere. Queste pretese sentono a milla miglia lontano il fetore mazziniano e della Giovine Italia». Contrario alla guerra del piccolo Piemonte contro la grande Austria. Contrario al cambiamento della bandiera «vero controsenso logico, in quanto quella tricolore, sorta nel 1796 e mantenuta fino al 1814 e rispuntata tra il 1820 e il 1821, “fu di schiavi italiani, non liberi, mentre quella crociata di Savoia fu più volte vittoriosa e sempre onorata» [140-141].
Costanza d’Azeglio (sd, ma 1848): «In effetti però non è meraviglioso che una rivoluzione così completa si sia potuta operare senza bisogno di arrestare una sola persona?»
Costanza d’Azeglio (id): «Malgrado la severità della polizia qualcuno dei nostri proclami riesce sempre a passare. Il proclama arrivò dunque prontamente. La prima copia che potè essere fatta passare arrivò dov’era attesa dall’assemblea riunita per conoscere le ultime notizie. Essa fu letta ad alta voce, e quando si vide di che cosa si trattava, tutti simultaneamente si tolsero il cappello; non si poteva pronunciare una parola; tutti erano presi alla gola» [139-140]
«In quesi giorni (1847-1848) qualche signora fa ancora di più: cerca di imporre la moda di vestire all’italiana, anche se di una italianità alquanto cervellotica: zimarra di velluto, sciarpe ricamate, coccarde, piume di struzzo su cappelli a larga tesa, al collo medaglie con l’effigie del Papa e di Carlo Alberto».
Costanza (al figlio): «Torino dal 6 all’8 febbraio 1848… ieri dunque la popolazione si mostrava un poco inquieta. Il Governatore, sempre pauroso, temeva chissà che cosa… Tutte le truppe erano consegnate, si distribuivano le cartucce, i cavalli venivano sellati. Vennero a prevenire tuo padre, che anche lui trovava la manifestazione inopportuna e ancor più le misure di repressione. Esso riunì subito le sue lancie spezzate, percorse tutti i caffè, persuase tutti a ritirarsi senza un grido. Ma rimase cinque ore sulla piazza con un freddo di 9 gradi sotto zero» [136]
Sotto i portici di via Po il 13 settembre 1847 compare un affisso con scritto: «Viva l’Italia e morte agli Alemanni»; a Pinerolo biglietti con “Abbasso la censura, viva la libertà di stampa, viva la virtù civile» [131].
Giornali: Concordia (Valerio) e Opinione (Durando) a gennaio 1848, L’Italiano-Gazzetta del Popolo, anticlericale, sostenitore dei diritti della classe operaia, ma non violento, con Bottero e Govean, nacque al caffè Madera auspice Michele Lessona con Borella, Leoni, Mazza e altri, sotto la sorveglianza dei poliziotti tanto attenta da lasciar tranquillamente derubare il caffè della sua celebrata argenteria [129]
Il fischietto di Vineis, col caricaturista Pedrone. Direzione tutta di “fra” (tra cui un fra Vespina e una suor Filippina).
Lista di immigrati in 123-124.
Sugli immigrati: «Che Italia! J’ Italian c’a stago a ca sua, car ‘l nost bel pcit Piemont! Noi chi stasio così ben sensa tuti coi fratei d’autr let!...» [124]
Il 3 novembre era annunciata la prima Unione di sapore italiano: la Lega doganale con la Toscana e lo Stato della Chiesa [124]
«Da quel momento (Lega doganale) il Re ha in pugno tutta la nazione… Abbiamo anche gli imbronciati, i paurosi soprattutto nella nostra casta, bisogna confessarlo,. Ed essi rendono in questo momnento l’alta società molto sgradevole… ma questo partito è minimo… intanto la nazione si sveglia, essa cammina insensibilmente verso un altro ordine di cose. Non ci si accorge di camminare, poi tutto a un tratto ci si accorge che si è cambiato di posto e se si è andasti avanti lentamente, si è perché si è dovuta rimorchiare la macchina che ci doveva portare» [122]
Canzone di Carbone su Re Tentenna (ottobre del 47) in 119.
Michele di Cavour «antico topo dei granai del Piemonte» (Brofferio) 119
La ritorsione di Vienna sulla faccenda del sale (1846): lire 21,50 per quintale metrico sporco, lasciando inalterate le tariffe per gli altri stati, anzi dimezzando quelle napoletano.
Il “Courier de la mode” con l’ultimo verbo di Parigi, che imponeva di nuovo le gonne molto ampie con crinolina, con volanti e, novità assoluta, la mantiglia di pizzo» (prima del 1847) [114]
«Il liberalismo avanza nell’opinione pubblica, il re resiste alla cricca retriva e austriacante. Roberto d’Azeglio informa il figlio a Bruxelles che i caffè si popolano di molti giornali scritti «in un ordine di idee più largo e più conforme alla nostra epoca e alla condizione politica dell’Italia» [212]
Non si è notato dal 1844 in poi che il re si fa rispuntare i baffi? Ora non c’è più la buonanima di Carlo Felice a farglieli radere [112]
Massimo d’Azeglio, l’imbianchin, come lo chiamavano a Torino [111]
La Polizia riceve anche le lamentele della Compagnia di Assicurazione contro gli incendi fondata nel 1833 (la futura Toro) per la troppa libera circolazione dei pirofori o zolfanelli solforici, venduti a troppo basso prezzo e che perciò possono andare in mano di chiunque, anche d’inconsci e disonesti, i quali producono tanti incendi di cui la compagnia non può sopportare l’onere [110]
«Intanto in tutti i caffè si discute sulla illuminazione pubblica e la sua necessaria trasformazione, da quella dei 481 lampioni ad olio o a petrolio, la cui accensione tanto si prestava alla caricatura, a quella del “gasso”. I negozianti di olio inferocivano contro la diavoleria del gas a idrogeno che avrebbe falcidiato i loro guadagni» [110]
Le Speranze d’Italia del Balbo uscì a Parigi presso l’editore Didot essendo d’accordo Carlo Alberto [109]
Lettera di Solaro della Margarita al conte Lazzari contro Il Primato del Gioberti [108]
Ritratto di Costantino Nigra (b/n) in 107.
Boggio, piccolino e rotondetto [106]
Indignazione del cameriere Grosso perché un tizio, parlando con una signora, teneva un sigaro in bocca [104]
Vittorio Emanuele II per compiacere la moglie in attesa del primogenito si era travestito per accompagnarla a vedere i negozi di piazza Castello, sgranocchiandosi bel bello tutti e due, i pasticcini comperato da Bass.
Sgomento quando si saprà che Carlo Alberto ha reso visibile al pubblico la propria galleria di quadri [101]
Libri da cercare
Memorie della contessa d’Agoult [148]
Casalis, descrizione di Torino
Federico Sclopis, Memorie storiche [134]
Riprendi da pagina 80