Luca D’Ammando Foglio dei Fogli 2010?, 29 novembre 2010
«A causa dell’abnorme rialzo delle temperature e della siccità ritengo consigliabile introdurre un bando temporaneo all’esportazione dalla Russia di cereali e altri prodotti agricoli da questi derivati
«A causa dell’abnorme rialzo delle temperature e della siccità ritengo consigliabile introdurre un bando temporaneo all’esportazione dalla Russia di cereali e altri prodotti agricoli da questi derivati. Valuteremo più avanti come comportarci dopo dicembre». Questo l’annuncio, dato da Vladimir Putin giovedì scorso, che ha fatto schizzare le quotazioni mondiali del grano e ha mandato nel panico il mercato. [1] Lo stop da parte di Mosca è arrivato inaspettato, soprattutto dopo che due giorni prima il viceministro per l’agricoltura Alexander Belyayev aveva rassicurato: «Non introdurremo restrizioni all’export. Oggi come oggi il governo non ne vede la necessità». Sissi Bellomo: «Ed ecco il bando totale – invece di un semplice rialzo delle tariffe doganali, come era avvenuto nel 2007 – e non solo per il frumento, ma anche per mais, orzo, segale e derivati. Temporaneo sì, ma per un periodo lunghissimo: dal 15 agosto fino al 31 dicembre (anche se qualche analista suggerisce che potrebbe essere sospeso in anticipo, magari da ottobre, quando sarà più chiara l’entità del raccolto). Ed è il primo blocco totale da undici anni». [1] Nell’ultima settimana i prezzi del grano sul mercato avevano segnato rialzi eccezionali. Ettore Livini: «Poco importa che le scorte del cereale nei silos americani siano ai massimi degli ultimi 23 anni e che il raccolto mondiale 2010 si avvii al secondo record consecutivo. Hedge fund e investitori professionali – visto il caldo e gli incendi di Mosca – hanno sentito puzza di bruciato e hanno iniziato a far incetta di future: il prezzo per acquistare a termine sul mercato di Chicago un bushel (27,2 kg) di grano tenero è raddoppiato da inizio luglio e cresciuto del 20% questa settimana, toccando il massimo (8,4 dollari) degli ultimi due anni». [2] La Russia è colpita in questi giorni dalla peggiore siccità degli ultimi 130 anni. «Vladimir Stepanov, del ministero russo per le Emergenze, aggiorna il diario di guerra: gli ettari in fiamme sono 180mila, le vittime 52 (dato di sabato 7, ndr). Duecentosettantatre gli incendi spenti solo venerdì, 248 quelli accesi da questa ondata di caldo infernale». [3] Il caldo e le fiamme hanno decimato i raccolti non solo in Russia, ma anche in Ukraina e in Kazakhstan. Marina Forti: «La Russia è uno dei cinque maggiori esportatori di grano; i tre paesi sono tra i primi 10, e sono tra i fornitori chiave ai paesi del nord Africa e Medio Oriente (cioè la più grande regione importatrice al mondo). Ora il governo russo ha dichiarato lo stato d’emergenza in 27 regioni. A fine luglio la siccità aveva distrutto i raccolti su 10 milioni di ettari, un’area all’incirca pari al Portogallo». [4] I trader temono che anche il Kazakhstan possa restringere le esportazioni. «Più difficile è invece che una simile mossa sia adottata dall’Ucraina, un altro paese duramente colpito dalla siccità, che tuttavia è membro dell’organizzazione internazionale per il commercio. Kiev sta comunque aggirando le regole internazionali, rallentando il passaggio di carichi di grano oltrefrontiera con meticolosi – ma legali – controlli della qualità. Tanto zelo in luglio ha ridotto del 64% le esportazioni rispetto a un anno prima». [5] Intanto sul mercato mondiale comincia a girare voce delle prime cancellazioni di carichi dalla Russia per cause di forza maggiore: «Il Bangladesh a quanto pare ha appena dovuto rinunciare per questo motivo a 65mila tonnellate di frumento. Altre 200mila che gli erano state promesse dall’India verranno sostituite con riso: l’ha deciso il governo di New Delhi, evidentemente preoccupato che il paese possa sperimentare carenze, nonostante l’enorme quantità di scorte strategiche accumulate dopo la crisi del 2008: quasi 34 milioni di tonnellate nel caso del grano e più di 24 milioni nel caso del riso». [5] Nel 2008 la scarsità di materie prime, e in particolare di cereali, aveva generato sommosse popolari in oltre trenta paesi: «A due anni di distanza, il rischio è che ancora una volta, in Africa e in America Latina, siano i paesi non iscrivibili nel novero emergenti, anzi sommersi dalla povertà, a portare tutto il peso dell’ultimo allarme alimentare». [6] La maggioranza degli economisti cerca di tranquillizzare gli animi: gli aumenti sul mercato internazionale delle derrate alimentari impiegano almeno sei mesi a trasmettersi sui mercati locali. «Resta il fatto che “questo è il più veloce rincaro del prezzo del grano visto dal 1972-73” dichiara al Financial Times Gary Sharkey, capo del settore approvigionamenti di Premier Food, gruppo britannico del settore alimentare. “E l’industria – conclude – non potrà certo ignorare un rincaro del 50% nella sua materia prima”». [4] Ma cosa succederà in concreto in Italia? Ettore Livini: «Di sicuro è ben difficile che manchi il grano. L’import dalla Russia copre solo il 4% del nostro fabbisogno (il Belpaese importa il 55% di grano tenero e il 40% di quello duro). Di più: i magazzini tricolori traboccano di scorte: i prezzi bassissimi degli ultimi due anni – “sotto i 200 euro a tonnellata le nostre aziende lavorano in perdita” dice Paolo Abballe, responsabile cereali di Coldiretti – hanno convinto molti produttori a non vendere il raccolto 2009. Morale: oggi i consorzi hanno in casa un milione di tonnellate di grano duro (il 20% dei consumi annuali) e 600mila di grano tenero (il 10%)». [2] L’esempio di Mario Guidi, imprenditore agricolo (700 ettari nella provincia di Ferrara investiti prevalentemente a cereali) e membro di giunta della Confagricoltura. Ha deciso di bloccare le vendite di grano tenero. «L’impennata dei prezzi e le prospettive di ulteriori rialzi infatti spingono l’agricoltore a stare alla finestra: “Ma chiariamo bene – afferma Guidi – le quotazioni di oggi consentono solo di riportare in equilibrio costi di produzione e prezzi. Con 16 euro al quintale a cui veniva venduto il tenero prima della fiammata provocata dal blocco dell’export della Russia, le nostre aziende erano a serio rischio chiusura. Se speculazione c’è, quella è a livello mondiale, ma a noi non può essere imputato nulla”». [7] Da inizio luglio sono raddoppiati i futures sul grano, a dimostrazione che il vero rischio in questa faccenda è rappresentato dagli speculatori. Federico Vecchioni, presidente di Confagricoltura: «Lo conferma in modo indiretto il fatto che sul grano duro, che non ha un mercato dei futures, si registrano solo dei lievi rialzi. La crisi russa sta favorendo chi specula con i derivati sui mercati a termine. Si tratta di una situazione paradossale che non ha nessun rapporto con l’andamento dell’economia reale». [8] (a cura di Luca D’Ammando) Note: [1] Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 6/8; [2] Ettore Livini, la Repubblica 7/8; [3] Antonella Scott, Il Sole 24 Ore 7/8; [4] Marina Forti, il manifesto 4/8; [5] Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 7/8; [6] Pierre Briancon, La Stampa 7/8; [7] Annamaria Capparelli, Il Sole 24 Ore 7/8; [8] g. lon., la Repubblica 7/8.