Varie, 29 novembre 2010
L’articolo di Sgarbi l’ho messo per intero. Troppo bello. Alla fine ne è venuto fuori un libro
L’articolo di Sgarbi l’ho messo per intero. Troppo bello. Alla fine ne è venuto fuori un libro. fb ABSTRACTS «La Resistenza nei valichi alpini e gli orrori dei campi di concentramento. Le gesta da cronista alla Stampa e l’entrata nella Rai della Riscostruzione assieme a Piero Angela, l’unico sopravvissutogli. I primi programmi radiofonici -The Voice of America - per gli Alleati e l’invenzione del telequiz a premi scopiazzati, con genialità, dall’America. Edy Campagnoli e Sabina Ciuffini, Susanna Messaggio e Paola Barale. Le 84 copertine di Sorrisi e canzoni e i 12 Festival di Sanremo. Le sciate sull’Adamello con Papa Giovanni Paolo II° e la spedizione al Polo Nord. La Grappa Bocchino «sempre-più-in-alto» e i prosciutti Ravagnati. Le gaffe leggendarie, dall’uccello della signora Longari a «ma chi sarà questo signor Paolo vi, del quale non ho mai sentito parlare?», - ed era Papa Montini -; e le papere di Parerissima. I film misconosciuti come I miliardari (’56) o il western La vita a volte è molto dura vero Provvidenza? (’72, vi interpretava un tale “Mike Goodmorning”...). Le amanti nascoste e gli stipendi palesi, tipo i 600 milioni elargiti della nascente Fininvest. Gerry Scotti l’erede e Vittorio Sgarbi l’Erode, il solo che lo fece irritare perché voleva immergere interi paesi-dormitorio sotto i lapilli dell’Etna. Eppoi il nuovo crepuscolo: la cacciata da Mediaset, lo sguardo da Buster Keaton sopra lo smoking sdrucito, il pranzo d’addio ad Arcore con un Berlusconi malinconico, la minestra tiepida in cui affondavano i ricordi d’un passato carico di gloria e galloni. Eppoi l’ennesima rinascita: il nuovo RiSkytutto in produzione per Murdoch, le trasfusioni d’amicizia di Fiorello, le comparsate stracciascolti a X Factor e dalla Bignardi, il successo dell’autobiografia scritta col figlio Nicolò» (Francesco Specchia, Libero). Per l’anagrafe Michael Nicholas Salvatore Bongiorno (New York il 26 maggio 1924). Per tutta Italia: Mike. Mito della televisione italiana, re del quiz, principe dei conduttori. Secondo il Guinness dei primati la carriera televisiva più lunga al mondo: «Il primo microfono l’ho preso in mano nel febbraio 1945». Il padre, Philip, italo-americano, era un avvocato, figlio di siciliani; la madre, Enrica Carello, veniva da una famiglia della Torino bene (quelli dei fanali d’auto). Suo padre fu candidato sindaco a New York contro Fiorello La Guardia e Generoso Pope, al tempo in cui, nell’età del “Padrino”, il voto degli italiani emigrati sotto la Statua della Libertà era davvero una risorsa politicamente strategica. Per la storia, il Bongiorno Senior si ritirò dalla contesa quando apparve evidente che La Guardia era imbattibile. Arrivato in Italia (a Torino) molto piccolo (i genitori erano separati) andò al liceo dai padri rosminiani, quello per i più bravi e i più secchioni. Le disavventure che durante la guerra (si mise con i partigiani, faceva la staffetta) stavano per condurlo, da una cella a San Vittore, davanti a un plotone di esecuzione della Gestapo (lo salvarono soltanto i documenti americani, che tuttavia non furono sufficienti per evitargli la deportazione per sette mesi a Mauthausen). «Feci i primi 64 giorni di reclusione chiuso in isolamento: non avevo la possibilità di vedere nessuno e mi portavano un mestolo di minestra al giorno. Trascorsi questi 64 giorni, mi misero in compagnia di un altro e avevo la possibilità di andare in giro per il carcere, facendo le pulizie. A San Vittore era reclusa anche mia madre. Ogni tanto, di nascosto, girando per il carcere la andavo a trovare di nascosto e, per farlo, dovevo passare dall’infermeria, dove c’era Indro Montanelli. Ed è così che siamo diventati amici. Lui era, in un certo senso, fortunato perché gli davano da mangiare del pane bianco e qualche fettina di carne e quando passavo di lì mi dava anche qualche pezzettino del suo pane». Lavorò al Giornale italo-americano della radio e a The Voice of America, la radio della propaganda militare alleata. Nel 1951 fece la radiocronaca per l’Italia del match di pugilato tra Joe Louis e Rocky Marciano. Tornato in Italia, Vittorio Veltroni, padre di Walter, gli cambiò il nome da Mickey a Mike e gli affidò una trasmissione radiofonica, Il motivo in maschera (i concorrenti dovevano riconoscere una popolarissima melodia eseguita con studiate storpiature). Dopo il successo de Il motivo in maschera la Rai gli affidò la conduzione di Lascia o raddoppia?, format comprato in Francia (Quitte ou double?) e ricalcato sull’americano The $ 64,000 Question. In onda dalla Fiera di Milano da sabato 26 novembre 1955, il successo fu tale che gli esercenti dei cinema chiesero di spostare la trasmissione al giovedì. I concorrenti si presentavano in una certa materia di loro scelta e, partendo da un montepremi di 2.500 lire, dovevano ad ogni passaggio decidere se raddoppiare e affrontare la domanda successiva (col rischio però, in caso di risposta sbagliata, di perdere tutto) o ritirarsi e accontentarsi della vincita maturata fino a quel momento. I momenti clou erano due: a quota 640 mila, in cui ci si poteva ritirare con una Fiat 600, e a quota 2.560.000 lire, prima della domanda finale da 5.120.000 lire, massimo raddoppio consentito. Con cinque milioni a quei tempi si poteva comprare un’appartamentino in città o una villetta in campagna. Gli spettatori videro nascere sugli schermi alcuni fondamentali della tv del futuro: il notaio (era Carlo Marchetti, padre di Piergaetano), la cabina con le cuffie (dove il concorrente entra per la domanda finale), la valletta che porta le buste senza dire una parola (Edy Campagnoli, muta per contratto dato che Maria Giovannini, con la quale il programma aveva esordito, aveva detto «Teatro alla Scala» invece che «Teatro alla Fiera» ed era poi scoppiata a piangere. La campagnoli avrebbe poi sposato il portiere Lorenzo Buffon) e soprattutto l’uomo qualunque che portato in video diventa personaggio: Maria Luisa Garoppo (problema del seno esagerato), Gianluigi Mariannini (la stravaganza fatta persona), Marisa Zocchi (doveva comprare le medicine alla mamma malata), Paola Bolognani (esperta di calcio), l’eroe del controfagotto Lando Degoli (l’esperto di musica che aveva tradotto in dialetto carpigiano la Divina Commedia) ecc. Il programma provocò anche il primo dibattito su quella che più tardi sarà chiamata tv-trash: contro, Luciano Bianciardi, Camilla Cederna, Umberto Eco; a favore, Mario Apollonio, Achille Campanile, Orio Vergani, Beniamino Placido. «I nostri presentatori della televisione avevano successo, e ne hanno ancora, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti o tare nazionali. Mike Bongiorno ne riassumeva più di tutti, ed ecco perché lo possiamo stimare il più mediocre di tutti, quindi il più bravo» (Luciano Bianciardi nel 1959 sull’Avanti!). L’uomo era diventato talmente popolare che Umberto Eco, nel gennaio 1961, gli dedicò un saggio intitolato Fenomenologia di Mike Bongiorno: «Non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. In compenso dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa». Bongiorno: «Non ho mai rinnegato la mia mediocrità. Me ne sono sempre fatto vanto perché per me la mediocrità è uno stato di grazia. Tutti pensano, Eco in primis, che io sia un ignorante. Vi sbagliate: mediocrità non è necessariamente sinonimo di ignoranza, piuttosto è parola che ben si sposa con umiltà e modestia. Con ciò non voglio dire di essere un mediocre “eccellente”». «La tagliente battuta sulla “mediocrità assoluta” di Mike, unita alla concessione di un “fascino immediato e spontaneo” fa letteralmente piangere il presentatore» (Alberto Piccinini, il manifesto). Bongiorno cercò di vendicarsi in seguito sostenendo che Eco, da giovane funzionario Rai, aveva scritto domande per Lascia o raddoppia?: «Mi meraviglia molto che Eco oggi neghi. Comunque lo posso confermare. Io andavo in Rai tutti i sabati per preparare la trasmissione e poi al giovedì pomeriggio. Allora mi davano le domande da fare la sera. Io ero nel mio ufficio e si presentava questo giovanotto che portava con sé una busta, contenente delle domande, che consegnava al Direttore di Lascia o raddoppia?». «Vorrei incontrarlo (a Eco, ndr) uno di questi giorni, perché non ci siamo mai parlati da allora e sentire che cosa pensa del fatto che lui ha scritto dei grandi romanzi che hanno fatto successo mondiale, ma che oggi si parla ancora della Fenomenologia di Mike Bongiorno: io penso che gli dia un po’ fastidio. Goffredo Fofi aveva presentato la domanda di partecipazione a Lascia e raddoppia?. Voleva giocarsela sul cinema tedesco. Principali trasmissioni successive (tutte basate sui quiz): Campanile sera (1960, con Enzo Tortora, Renato Tagliani, Enza Sampò), La fiera dei sogni (1963), Ieri e oggi (1967), Rischiatutto (1970, dove lanciò Sabina Ciuffini). «Proto-valletta dei tempi d’oro, Sabina, tempi da venti milioni di spettatori a punta al Rischiatutto. Seguono saggi colti su come Sabina, dotata di certa personalità, simboleggiò qualcosa nel cambiamento dell’Italia al femminile: valletta sì, minigonne sì, ma teneva testa al burbero capo-padrone e alle sue battute allusive» (Antonio Dipollina). Ciuffini: «Mi diceva: “Sabina, con un microfono in mano davanti a tanta gente non devi mai avere paura. L’unica paura che devi avere è se il microfono non funziona”». «La costruzione perfetta di un personaggio-chiave nel quiz più popolare, il Rischiatutto. Lodovico Peregrini, il Signor No, autore fedelissimo e ferreo, diventa famosissimo per respingere i reclami dei concorrenti. Ovviamente è tutto studiato a puntino, Mike gioca la parte di quello che ci prova a favore del concorrente, tra grandi strizzate d’occhio (Antonio Dipollina). Tra i famosi concorrenti di Rischiatutto, il parapsicologico Inardi (si inventarono anche la puntata anti-lettura del pensiero), il toscano Fabbricatore (il quale un giorno che arrivò in studio col braccio ingessato fu accusato di nascondere una ricetrasmittente), e naturlamente la signora Longari. Il verdetto finale sulla battuta «ahi ahi ahi signora Longari mi è caduta sull’uccello» è che non fu mai pronunciata. Messa in giro da Renzo Arbore, visse e prosperò come leggenda metropolitana fino ad arrivare ai giorni nostri. Una leggenda, la più celebre di molte celebri gaffes, troppo bella per essere vera. «Ahi ahi ahi signora Longari, mi è caduta sull’uccello!». Mai detto. Consultare le registrazioni per credere. Eppure è diventata linguaggio comune. «Quella frase la sento ripetere in continuazione, sulla spiaggia, per la strada, dai ragazzini, da tutti. Anche soltanto: ahi ahi ahi signora Longari! Ormai non mi fa né caldo né freddo, anche perché uso il mio cognome da ragazza, che è Toro». Oggi la signora Longari - o meglio, Giuliana Toro - prova un’amarezza infinita: «Penso che Mike avrebbe dovuto risparmiarsi. Ha lavorato fino all’ultimo. Possiamo dire che è morto sul lavoro». Ha saputo la notizia nel primissimo pomeriggio dal sito di Repubblica; in mattinata, era stata contattata da Sky per un’intervista sulla ripresa di Rischiatutto. «Difficile ripetere un successo come quello, ricreare una trasmissione di quella freschezza». Era il 1970, fra aprile e giugno. «Il programma era partito così così. Poi, non voglio dire per merito mio, s’impennò e arrivò a punte di 25 milioni di spettatori». Esperta di storia romana, la signora Longari, 27 anni, mantenne il titolo di campionessa per 11 puntate consecutive, guadagnando 13 milioni. «Persi per stanchezza, su una domanda generalista». In nessuna puntata c’è traccia di quella frase. Lo sa bene la Longari che lavora alle Teche Rai; le è persino capitato di fare ricerche di repertorio su se stessa. «Se anche Mike avesse pronunciato quelle parole le avrebbero tagliate. Mai per nessun motivo la Rai di quegli anni avrebbe mandato in onda un doppio senso così volgare. Noi registravamo il giorno prima della messa in onda e c’era tutto il tempo per tagliare. Quel che mi ha sempre stupito è come Mike per lunghi anni non abbia smentito di avere detto quella frase. Evidentemente lui per primo alimentava il filone delle gaffes». Soltanto molto tempo dopo ammise che effettivamente non aveva mai pronunciato quelle parole. «Sarà stato il 2004. Eravamo ospiti di un programma della Zanicchi su Retequattro. Io osservai che quella frase è talmente radicata da essere citata nella storia della televisione. C’è scritto addirittura che io dovevo rispondere a una domanda sull’Uccello di fuoco di Stravinski. Pura invenzione! Il bello è che la leggenda metropolitana su quella gaffes nacque molto dopo, negli anni 80, e Mike lasciò dire. Certo che ho continuato a frequentarlo. Era un’altra persona rispetto ai tempi del Rischiatutto: irriconoscibile. Umano, dolcissimo, autoironico. Addirittura intimista, uno che si commuoveva con facilità. Un altro» (Laura Laurenzi). «La signora Longari con la storia dell’uccello, non c’entra niente. La frase era rivolta a un’altra concorrente; non fu una gaffe spontanea, Mike a volte era come un bambino... Scoprì che la concorrente avrebbe risposto a domande di ornitologia. Mi guardò: “Se sbaglia uccello, facciamo la battuta?”. Mi misi a ridere: “Non farci licenziare tutti, per favore”. C’era il famoso funzionario di servizio. Ma Mike era naturale, candido, mai volgare» (Paolo Limiti). «Nel caso, come pare, manchino testimonianze tv risolutive, o si abbia il sospetto di tagli galeotti, occorrerebbe controllare di riflesso l’espressione successiva sul volto dell’altra grande valletta dei suoi telequiz, ossia un altro emblema del monopolio politico e televisivo, la venerata Sabina Ciuffini. È una testimonianza, comunque, che mostra come una verità televisiva seppure inventata, diventa sempre più vera del vero. Il trionfo del verosimile sul reale. E la prova provata che la popolarità di Rischiatutto aveva una sua forza quasi dantesca, ossia la possibilità di modellare lessico e memoria dei contemporanei e dei posteri» (Edmondo Berselli). A Rischiatutto, prima di ogni diretta televisiva, portava i concorrenti al bar e offriva loro da bere: «Mi raccomando, bevete bevande analcoliche. Bisogna essere belli svegli e pronti a intervenire. E poi, mangiate dopo la trasmissione. Non vorrei che vi venisse da fare il ruttino». Chiusa la trasmissione Rischiatutto (andata in onda dal 5 febbraio 1970 al 25 maggio ’74, trenta milioni di telespettatori nella puntata finale) Mike, che era il titolare dei diritti, li cedette a reti straniere (in Germania, Svizzera, Olanda, Austria). «Per i soli diritti mi pagavano il doppio di quello che io percepivo ogni giovedì quando andavo in onda». «Io abitavo di fronte all’antenna della Rai e, quando mi alzavo tutte la mattine, la guardavo e dicevo “A te devo la mia carriera”». L’ingaggio di Bongiorno da parte di Silvio Berlusconi: «Nel 1977 mi telefona a casa uno sconosciuto. Mi fa: lei ha lavorato in America, conosce la televisione commerciale, mi potrebbe aiutare a sviluppare un modello analogo in Italia. Gli dissi: incontriamoci, ne parliamo, ma sappia che io faccio 25 milioni di telespettatori con il mio programma. Chi è ’sto Berlusconi, chiesi in giro. Un palazzinaro che non capisce niente di televisione, mi risposero». Il 9 ottobre del 1977 fu invitato a pranzo da Berlusconi al Club 44, a Milano. All’offerta di lasciare la Rai, rispose dicendo che stava partendo per una vacanza in Messico e doveva parlarne con la moglie Daniela Zuccoli (Milano 13 maggio 1950). Berlusconi fece trovare alla moglie un mazzo di fiori in ogni albergo messicano in cui passava la coppia e chiamò Mike tutte le sere. Lo persuase a dargli almeno una mano di nascosto sui palinsesti: «Al mattino alle 10 ci trovavamo: lui in maniche di camicia. Un panino e una Coca-cola e via a buttare giù idee, palinsesti, progetti. Si andava avanti fino a sera». Nel 1982, l’offerta che non poteva rifiutare: 600 milioni di lire l’anno contro le 900 mila lire che la Rai gli dava per ogni puntata di Flash (ovvero 26 milioni l’anno). Berlusconi lo portò dai clienti che avrebbero dovuto comprare gli spazi pubblicitari su Telemilano. Mike, proveniente dalla Rai, era popolarissimo e stimatissimo. Inoltre conosceva bene gli Stati Uniti e sapeva cos’era una tv commerciale, fatto che lo rendeva assai persuasivo con gli inserzionisti: «Una mattina incontrammo il fior fiore dell’imprenditoria italiana, assieme ai dirigenti delle più importanti agenzie di pubblicità. Saranno state 300 persone. Io e Berlusconi parlammo in piedi su due cassette di acqua minerale». «Io ho iniziato a lavorare in questo mondo negli Stati Uniti dove, in dieci anni, ho imparato tutto sulla radio e sulla televisione, che era ancora agli inizi. Ho imparato, soprattutto, il linguaggio della pubblicità che per me era diventato pane quotidiano perché già allora, in America, tutte le trasmissioni erano sponsorizzate. Avevo gli spaghetti, avevo tutta una serie di prodotti che ancora oggi ci sono in Italia. Arrivato in Italia, dove c’era solo la Rai e dove non si poteva parlare e fare pubblicità, mi sono trovato un po’ spaesato. Un giorno ricevo una telefonata da un signore. “Pronto, chi è?” dissi. E dall’altra parte del telefono “Sono Silvio Berlusconi”. Naturalmente mi domandai chi fosse questo Silvio Berlusconi. E lui: “Guardi, io sono uno che vorrebbe fare la televisione commerciale. Siccome so che lei è stato in America, forse potrebbe darmi una mano”. Gli dissi, naturalmente, che ero disposto. E fra me pensavo: finalmente qualcuno ci ha pensato». «Siccome non sapevo chi fosse Silvio Berlusconi, perché lui era agli inizi, mi informai in giro. Mi dissero che era un costruttore. Fu così che una sera fissammo un appuntamento per cena in un ristorante a Milano. Giuro che, dopo un quarto d’ora, fra me e me dicevo: quest’uomo ha un linguaggio tale ed è così capace a convincerti delle sue teorie che ti obbliga a fare quello che lui vuole. Quest’uomo potrebbe diventare Presidente. E vidi lungo, perché in effetti sarebbe divenuto Presidente del Consiglio». «Mi conquistò subito. Però io lavoravo in Rai ed era un lavoro sicuro. Allora gli dissi: senta (del “lei”, perché solo in un secondo momento abbiamo cominciato a darci del “tu”), vediamo un momento, quando siamo veramente sicuri, io sono pronto. Quando questo momento venne, Berlusconi mi ricontattò e mi disse: “Allora Mike, noi siamo pronti”. Era il 1977 e per tre anni, pensate, io e lui abbiamo lavorato in segreto, preparando tutto: nessuno ne sapeva niente. Quando fu il momento, mi disse: “Senti, adesso dobbiamo scoprirci e fare la televisione come la intendi tu e come la voglio io”. Gli risposi: “Va bene, però io faccio un salto nel buio. Quanto mi dài?”. Allora lui, che aveva sempre con sé un block notes, inizia a fare un po’ di calcoli. Premetto che la Rai, all’epoca pagava pochissimo». Io avevo una trasmissione che faceva 24-25 milioni di ascoltatori a puntata. Il mio cachet era di 600-700mila lire a puntata e facevo sì e no venti puntate in un anno. Non ero l’unico, anche i miei colleghi erano nella stessa situazione. Quindi guadagnavamo poco, nonostante l’enorme popolarità. Quella sera al ristorante, mentre Berlusconi faceva i conti, pensavo: boh, magari mi darà il doppio. Alla fine di tutti questi calcoli mi guarda e mi dice: “Ti bastano 600 milioni?”. Al che io lo guardo e, abituato ai compensi Rai, gli rispondo “Seicento milioni? Ma per quanti anni?”. E lui “No, per un anno”. “Ma come? Seicento milioni per un anno? Non è possibile”. “Sì, perché arriverà la pubblicità e tu e tutti gli altri che verranno a lavorare con noi prenderanno quegli stipendi”». Berlusconi glielo chiese due volte di candidarsi al Senato con lui: «Avrei accettato, però poi si è scoperto che, se fossi diventato senatore non potevo più fare la televisione Be’, lo stipendio di senatori è un ottimo stipendio. Però, certamente, sa… io tengo famiglia». Nel 1994, durante una puntata della Ruota della fortuna: «Ci sono di nuovo le elezioni, come vola il tempo, e stavolta si presenta anche Berlusconi, uno di cui vi potete fidare perché con me ha sempre mantenuto le promesse» (serio). «È stato davvero il filosofo del berlusconismo? E qui torniamo al punto di partenza: l’Italia di provincia, quella vera, formata a immagine e somiglianza della tv. Nell’immediato dopoguerra fu lui, torinese d’America naturalizzato milanese, la faccia del Nord benestante che milioni di massaie e contadini analfabeti impararono a conoscere e a sognare. Di quel popolo Mike parlava così: «È gente buona, semplice, sono ingenui come bambini. Li conquisti con due parole, una speranza e un sorriso». Lo ripeteva a tutti. I fenomeni della sinistra se ne infischiavano, Silvio prendeva appunti» (Massimo Gramellini). «Ma un giudizio sereno non può che assegnare a Mike il ruolo di unico e vero ideologo del berlusconismo: inteso non come movimento politico, ma come fenomeno di massa, ebbene sì, culturale. Il contatto con la gente comune, la centralità della televisione, il linguaggio semplice ma non sgrammaticato, le gaffe, l’amore per il denaro e l’allergia per i salotti del potere. Tutto in lui faceva sì che la sua gente, guardandolo, dicesse: sicuramente non è uno di loro e forse è addirittura uno di noi. Uno che fa domande a cui non saprebbe mai rispondere. Come i grandi filosofi, appunto» (Massimo Gramellini). «Solo io ho fatto 36 riforme e governato 1.412 giorni di fila!» (Berlusconi) «Solo io ho vinto 16 Telegatti e presentato 11 Sanremo!» (Bongiorno). Polaroid d’antan (seppiata): studio televisivo, Berlusconi in smoking, in posa con sorriso largo. Accanto Mike in giacca nera e cravatta regimental, in mano il foglio con la scaletta. Sono alti uguale. Dietro una macchina (presumibilmente in palio per il premio finale). Sotto la dedica: «...siamo la coppia più bella del mondo! Tuo Silvio». Unico cruccio: la mancata nomina a senatore a vita. «Silvio Berlu¬sconi lo voleva senatore a vita. Si prodigò per riuscirci, Mike lo meritava. Ma fu la sinistra ad opporsi, gli Eugenio Scalfa¬ri, quell’area culturale e politi¬ca che con Umberto Eco l’ave¬va già preso in giro, dileggian¬do un interprete del sentimen¬to popolare che volevano far passare per un ignorante. Invece Bongiorno era un uomo colto, un vero intendito¬re di musica classica. E con sal¬de convinzioni... Sì, con salde convinzioni politiche» (Fedele Confalonieri). La voce su cui si sono esercitati tutti gli imitatori del mondo, forse la più facile da fare. Il corpo che nei decenni è sempre entrato nella stessa taglia 48. «In un’intervista Mike Bongiorno raccontò che la mattina non usciva di casa prima di essere ritornato Mike. Cioè con i capelli a posto, pettinati all’indietro, leggermente phonati, la faccia bella, sorridente e abbronzata, di uno che sulle piste da sci, a spasso con la moglie per Milano o in tivù il sabato sera è sempre identico» (Annalena Benini). Umberto Scapagni¬ni giurava (giura) che esiste «un metodo per calcolare la differenza tra l’età anagrafica e l’età biologica, tra i dati teorici e l’ef¬fettiva attività mentale, fisica, sessuale» e che Ber¬lusconi aveva in effetti «12 anni di meno» anche se «il record appartiene a Mike Bongiorno: meno 17». «Negli anni della mia partecipazione alla costruzione della tv commerciale in Italia, Steve Carlin (ndr, autore statunitense di programmi televisivi, tra cui Love me, love me not, in Italia M’ama, non m’ama), una star dell’intrattenimento americano, venne a lavorare da noi a Rete4 per adattare in Italia i primi format americani. Rammento ancora oggi come Steve fosse entusiasta di Mike. Perché anche se non esiste un Dna americano, in quanto l’America è un miscuglio di etnie, il modo di pensare di Mike è tipicamente americano. È ottimista. Qui diventa interessante parlare della contrapposizione relativa ai modelli di borghesia, da una parte quella europea e dall’altra quella statunitense. Il borghese del Vecchio continente è incarnato nei Buddenbrook di Thomas Mann, racconto di una classe inquieta e in declino. L’uomo nuovo americano ha invece una visione ottimistica e semplice, come Babbitt, l’uomo medio raccontato da Sinclair Lewis. E qui sta la grande forza di Mike Bongiorno, un uomo che perfino nello slogan di una vita, “Allegria!”, ha incarnato il suo rapporto con il mondo. La mancanza di senso critico, in senso europeo, autodistruttivo, gli dà leggerezza e generosità. E’ un uomo non rancoroso, non invidioso, mai malevolo verso gli altri. Anche quando la vita lo costringe a scelte dure in lui non c’è mai risentimento» (Carlo Freccero). Programmi principali realizzati per Fininvest/Mediaset: Bis (1981-1990, lanciò Susanna Messaggio), Superflash (1982-1985) e Pentathlon (1985-1987), Telemike (1987-1992), Tris (1990-1991), La ruota della fortuna (1989-2003, lanciò Paola Barale), Genius (2003-2005), Il Migliore (2006-2007). «Narra la leggenda che a Mediaset titubavano sul varo del Tg che doveva fare concorrenza al Tg1. Lui, in una riunione, impose che si andasse alle 20, in concorrenza frontale. Aveva piuttosto ragione» (Dipollina). Maura Livoli passata alla storia della tv per essere stata scoperta a leggere dei foglietti. Era in gara per TeleMike nel 1990, una volta beccata cercò di nasconderli nel reggiseno, Mike le fece una raman¬zina, la squalificò e lei svenne: «Mi di¬spiace molto per la sua morte. Dopo 19 anni, lo perdono per un episodio in cui comunque non venne rispettata una persona che stava male. Avevo una coli¬ca renale, non me la sentivo di rientra¬re in studio e mi diedero degli psicofar¬maci calmanti. Mentre aspettavo scris¬si degli appunti... non ero lucida». Conferenza stampa di Telemike, 1991, penultima edizione. C’è l’assalto dei fotografi. Mike urla: «Vorrei sapere chi è quello stupido che ha scritto che quest’anno guadagnerò cinque miliardi di lire. La gente a casa che cosa penserà?». Poi, rivolto a un giornalista, sottovoce: «Anche perché con la pubblicità porterò a casa qualcosa di più...». Diceva di continuo: «Ricordati che noi dipendiamo dai direttori di rete». Quando a un suo quiz un concorrente continuava a vincere, Mike verificava che la sua popolarità fosse in crescita. Se intuiva che la gente era stufa, chiedeva agli esperti di preparare domande difficilissime. C’è qualcuno dei concorrenti che ha fatto strada fuori dalla tv. Matteo Ren¬zi, oggi sindaco di Firenze, nel 1994, a 19 anni, partecipò a 5 puntate della Ruota della fortuna. Durante la sua carriera ha distribuito premi per più di 70 miliardi di lire (60 in Mediaset, 10 in Rai). Per gli affari aveva un fiuto particolare. Nel 1967 costituì la sua casa di produzione: la Filmike Enterprises che ancora oggi, nonostante la crisi del mercato, genera utili. Nell’eredità spiccano anche 15 milioni di euro di obbligazioni della Banca mondiale e della Bei (Banca europea per gli investimenti). Si tratta di titoli attualmente in pancia alla Promomedia, spa capogruppo di Bongiorno. Nella Filmike Enterprises c’è sistemata tutta la famiglia: la moglie Daniela Zuccoli, nel ruolo di presidente, e i figli Michele, Nicolò e Leonardo, tutti con la carica di consigliere. Le performance societarie che emergono dall’ultimo bilancio approvato: fatturato a 2.577.125 euro (in aumento rispetto ai 2.124.655 dell’anno precedente) e utile a 813.752 euro (anche qui superiore ai 307.607 dell’esercizio 2007). Il patrimonio netto è di 2 milioni e 383 mila euro. Promomedia partecipa al 49% anche nella Luxfly, un’altra srl, che ha come core business il trasporto aereo (principalmente con aeromobili in leasing). Il bilancio 2008 riporta in 920 mila euro il valore complessivo lordo dei beni locati. In crescita il fatturato: 2.148.986 euro (rispetto a 1.907.284 euro dell’anno precedente), mentre la società ha fatto registrare un rosso di 26.367 euro. Negli anni Ottanta faceva qualcosa come 500 milioni di lire l’anno solo per le telepromozioni. «Io presi molto seriamente la cosa, e prima di girare le televendite, mi facevo mandare i prodotti e ne verificavo la qualità. Lo sanno bene i miei figli, che sono cresciuti con il frigorifero pieno dei prodotti dei miei sponsor, che toccava anche a loro testare! Poi visitavo la fabbrica. Spesso partivo con l’elicottero di Berlusconi per andare a trovare gli sponsor potenziali. Seguivo i processi produttivi, mi sinceravo delle condizioni di igiene e di quelle lavorative, e se tutto era a posto accettavo l’incarico». Grappa Bocchino. «Con loro, esclamando la famosa frase: “Concludendo, amici, Grappa Bocchino sigillo Nero…” sono andato avanti dal 1974 al 1980. Vissi durante le riprese numerose avventure che mi causarono incidenti fisici e addirittura corsi il rischio di perdere la vita». Knorr. «I suoi dadi sono così buoni che forse oltre a un buon brodo si possono fare anche dei cocktail!» (i barman cominciarono a inventare ricette a base di dadi e i dirigenti della Knorr, per gratitudine, quando nacque il terzo figlio di Mike, comprarono intere pagine sui quotidiani, con la scritta, anonima: «Benarrivato Leonardo!»). Carne in scatola. «Era così buona che consigliavo alle mamme di darla anche ai neonati». Salumiere. «Lo sponsor che forse mi deve più di tutti è Rovagnati. Quello del Gran Biscotto per intenderci. Grazie alla bontà del suo prodotto e alla mia entusiastica collaborazione riuscì addirittura a costruire un nuovo stabilimento. Parlavo dei suoi prodotti con tale trasporto che meritai l’appellativo di “salumiere dell’etere”!». «Un conto è la grappa degli anni Settanta, un altro è il prosciutto (Rovagnati) degli anni Novanta. Mike è passato alla tv commerciale, la grappa esisteva già, il prosciutto in questione nasce come prodotto e marchio popolare insieme a Mike: che ne fa una missione» (Dipollina). Durante una puntata della Ruota della fortuna una concorrente vinse una pelliccia (Annabella di Pavia, naturalmente), ma la rifiutò perché obiettrice di coscienza. Mike si stupì, ma non contestò la scelta. La sua valletta però, Antonella Elia, convinta animalista, esultò pubblicamente. Terminata la registrazione, Mike si infuriò fino a chiedere il licenziamento della Elia perché aveva fatto fare brutta figura allo sponsor. A Miriana Trevisan che mostrava una generosa scollatura nel corso di una televendita, disse testualmente: «La gente non deve sbirciare lì dentro, ma guardare i materassi della Eminflex». «Una volta mi ha invitato a pranzo nella sua villa sul lago Maggiore: mi sembrava di essere entrato in una favo¬la, ogni portata era il bonus di una tele¬vendita» (Aldo Grasso). «Cercavo casa a Milano e mia moglie ne parlò con Da¬niela, la moglie di Mike. Ci affittò un suo appartamento due piani sotto il lo¬ro. Ci incontravamo spesso, lui mi ag¬giornava sempre quando apriva qual¬che negozio nuovo... “Hai visto Fabio come siamo fortunati, hanno aperto un nuovo supermarket qui vicino”» (Fabio Fazio). «L’Italia l’avrà fatta Garibaldi, ma gli italiani, se permettete, li ha fatti lui, che di italiano non aveva neppure il nome» (Massimo Gramellini). L’Accademia della Crusca dice che Mike ha insegnato a parlare l’italiano a un milione e 400mila persone. Grande riconoscimento nel 2006 da Francesco Sabatini, presidente dell’Accademia della Crusca: «Mike, lei ha insegnato l’italiano agli italiani. La sua scelta stilistica, piacesse o no a noi professori, era quel che ci voleva per diffondere la nostra lingua». Il 13 dicembre 2007 gli fu conferita la Laurea Honoris Causa in Televisione, cinema e produzione multimediale all’Università di Lingue e Comunicazione Iulm di Milano: «È la realizzazione di qualcosa di molto importante nella mia vita. Quando tornai negli Stati Uniti e ventenne ri-incontrai mio padre speravo che lui mi avrebbe iscritto all’Università, alla Princeton dove lui stesso aveva studiato. Invece no, una grande delusione, anzi un forte scontro. Mio padre disse: trovati un lavoro, sei intelligente, farai strada». «Nella nostra casa, troneggiava una delle primissime televisioni, mio padre, una persona semplice, un commerciante, accoglieva Lascia o raddoppia? con entusiasmo: “Bene! C’è sempre da imparare”, diceva, e pretendeva che anch’io guardassi la trasmissione nel buio della sala illuminata dalla faccia di Mike. Mia madre, invece, era una maestra: a quei tempi i maestri non si arrampicavano sui tetti dei provveditorati per chiedere di insegnare. Erano figure sociali molto rispettate e, anche se ai margini, entravano nella cerchia delle élite culturali. Mia madre, poi, appartenendo a una importante famiglia ebrea, si sentiva ancor di più investita del ruolo, non richiesto soprattutto da mio padre, di vestale della cultura. Il risultato era che appena entrava in sala Mike con la sua allegria, mia madre andava in un’altra stanza a leggere. Naturalmente, poi, non avrebbe mancato di rimproverare mio padre per la brutta china che, per colpa sua, avrei preso guardando “certi” programmi televisivi» (Stefano Zecchi). «Era un intellettuale, ma non di quelli inutili» (Renato Brunetta). «In oltre cinquant’anni di carriera non ho mai avuto un pezzo di carta scritto. Al massimo mi faccio degli appunti per le cose importanti che devo dire ma poi vado all’arrembaggio. In più ho sviluppato una tecnica particolare per cui, mentre parlo, sto già pensando a quello che dovrò dire dopo. È come se avessi due cervelli che camminano in parallelo per cui succede che, a un certo punto, non mi rendo conto, con il secondo cervello, che con il primo sto dicendo delle gran cavolate» (a Maurizio Belpietro, Libero). «Ecco perché faccio anche delle gaffes: parto e poi mi accorgo che sto dicendo delle cavolate, ma vado avanti». Per Piero Chiambretti non era un gaffeur: «Quelli autentici fanno gaffe tutto il giorno. Lui no. Quando abbiamo lavorato insieme, per il Sanremo del 1997, lui con me ne fece una sola in un mese e mezzo. Confuse sua moglie con la suocera. Disse a suo figlio: “Toh, è passata la nonna”. Ma era la mamma». Leggendo una domanda su Papa Pio X disse: «Pio ics». Letta una domanda su Papa Paolo VI: «Ma chi sarà questo signor Paolovi, del quale non ho mai sentito parlare?». Incoraggiando una concorrente a buttare giù una pallina: «Signorina, se me lo tira giù vince 83 milioni... questa palla vale 83 milioni». «E lei, cosa fa nella vita? Ah, fa il postino, e come mai conosce tante cose difficili?». A un ragazzetto molto preparato sulla storia, durante uno dei suoi ultimi quiz televisivi, Genius, Mike dà il suo incoraggiamento: «Tuo nonno ti avrà raccontato tante cose e sicuramente ti starà guardando». E quello: «Veramente non ho nonni, sono morti». E Mike: «Allora ti starà guardando dal cielo!». A un concorrente con la voce bassa chiese: è raffreddato? E quello: no, sono stato operato alle corde vocali. Mike: vedrà, dopo l’operazione torna la voce. E quello: eh, ma mi hanno operato vent’anni fa. «Come tutti i grandi comici, ha dato il meglio di sé quando recitava senza copione, quasi senza regia. Come molti grandi comici, è diventato poi maniera di se stesso» (Luigi Manconi, l’Unità). «Io sono un personaggio del mondo reale. Mi comporto come si comporterebbe l’uomo della strada al mio posto. Se un concorrente è grasso o magro o buffo mi scappa la battuta e alla gente questo piace. “Toh” pensano “avrei detto la stessa cosa anch’io”. Non c’è niente di studiato nel mio comportamento. Sono quello che sono, con tutte le mie manchevolezze». Grande praticante di tutti gli sport. S’era rovinato un menisco giocando a calcetto, aveva una borsite cronica a causa del tennis, una capsula sinoviale in meno per aver sperimentato il bob, due chiodi piantati nel femore che si è fratturato sugli sci. Nel 2001, a 77 anni suonati, raggiunse il Polo Nord su due slitte trainate da 14 cani in una spedizione commemorativa dell’impresa del Duca degli Abruzzi. Negli anni giovanili, la passionaccia sportiva era stata invece giornalistica, con Mike ragazzo di bottega a Tuttosport. Così s’invaghì della Juventus. A chi lo elogiava descrivendo le sue immersioni da sub eccezionale rispondeva: «Per carità sono solo un sub normale». «Ho sette vite come i gatti. Ho rischiato la fucilazione e di morire nel campo di concentramento. Poi anche quella volta che giravo lo spot sul Cervino. Chissà, forse per questo mi piacciono le sfide, mi piace vedere come ne uscirò». Episodio raccontato centinaia di volte, sempre con qualche particolare diverso. Lo portano sul Cervino per lo spot della grappa, l’elicottero se ne va, arriva una bufera di neve, lui è solo, per reggersi abbraccia la grande croce di legno. Poi arriva la salvezza. Esperto di altletica leggera, «unica materia con cui avrebbe potuto presentarsi come concorrente» (Massimo Gramellini). «Caro Pietro, sei stato il primo mito della mia vita. Quando ero ragazzi¬no ti aspettavo davanti ai cancelli dello stadio di Torino e ti accompagnavo fino al tram» (nel necrologio per la morte del leggendario Pietro Rava). Era presidente della Cigair, club degli amanti del sigaro. Chiambretti: «Ci vedevamo a casa sua davanti a scatole di sigari enormi. Gli piacevano molto». «Mi vanto di essere cattolico. Senza una salda fede in Gesù e nella religione, non avrei mai e poi mai potuto superare i momenti bui della mia vita». (Nel 2008 ha votato Obama.) «L’abbassamento dell’asticella del buongusto e la definitiva trasformazione dei quiz di cultura in giochi e lotterie (anche quelli, con la Ruota della Fortuna, li ha comunque battezzati lui) lo fecero invecchiare di colpo. Non era più il suo mondo. Mike, così serio, professionale, anche cattivo e non solo con i concorrenti (ricorderete il Tapiro sfasciato sul pavimento e le liti in diretta con Loretta Goggi e Vittorio Sgarbi) aveva però un debole per i personaggi ossessivi di Lascia o Raddoppia? e del Rischiatutto. Gente monomaniaca, ma il cui messaggio al pubblico era che i soldi bisognava guadagnarseli con la schiena curva sui manuali di storia e di ornitologia (ahi ahi ahi signora Longari), anziché accendendo risposte multiple o ricorrendo agli aiutini» (Massimo Gramellini). «Tutti legano la mia storia televisiva a Maurizio Costanzo. Ed è vero che prima, con meno clamoroso conflitto nel 1987, poi con memorabili liti nel 1989, io presi il volo e raggiunsi una straordinaria popolarità nelle serate del teatro Parioli. Ma erano ospitate, come si dice. E io imparai che in televisione vince sempre il banco, come al casinò; ma, eccezionalmente, qualche fortunato sbanca. E porta a casa cifre straordinarie. Così capitò a me: per destino e per scelta, io non accettai di rimanere chiuso nella parte che Costanzo mi voleva attribuire, come a ognuno dei suoi ospiti. Dopo quelle apparizioni, cominciò una vera e propria carriera televisiva. Le prime volte, ancora nell’89, al Gioco dei nove condotto da Vianello. Poi, per una intera stagione, nel 1990-91 con Raffaella Carrà alla Rai; e infine nel 1991-92 con una partecipazione fissa a Telemike nel 1991-92 a Canale 5. Il mio compito era introdurre un elemento di contraddizione nell’armonia di Mike Bongiorno, nella sua pax televisiva (in medio stat Mike, dice giustamente Aldo Grasso), io avrei dovuto rappresentare una posizione estrema, polemica, in una rubrica la cui funzione era stabilire un contrasto, almeno di linguaggio. Il polemico rispetto al moderato, l’irritante rispetto al conciliante, il dotto rispetto al semplice. Interessante osservare che tutto questo avveniva nel momento di passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Lo scarto era generazionale ma anche culturale e politico. Il padre e il figlio, ma anche l’uomo d’ordine e il ribelle. Era difficile immaginare due personalità più diverse ed è anche evidente che il quadro di riferimento di Mike Bongiorno è quello dominato dalla Chiesa e dalla Democrazia cristiana, la prima Repubblica di Andreotti, di Emilio Colombo. Anche fisicamente Mike ricordava Andreotti, come il più giovane Pippo Baudo De Mita. Io non ero soltanto un ribelle per natura, ma la mia attività politica sarebbe maturata, nei comportamenti e nel linguaggio, nella seconda Repubblica. Così quello che avvenne, in quella memorabile primavera del 1992, fu l’imprevedibile ma inevitabile scontro dei due mondi. Nell’idea di chi mi aveva chiamato, forse lo stesso Mike, le due sfere sarebbero dovute restare incomunicanti: il programma era una cosa, il mio intervento era una rubrica su costume, letteratura e vita contemporanea, incastonata e senza alcuna relazione con l’andamento del quiz. Ma quella sera i due spazi si sovrapposero, entrarono l’uno nell’altro e il padre e il figlio si confrontarono senza esclusione di colpi. Bisogna aggiungere che nella frenesia degli eventi in quell’anno 1991-92 maturò la mia esperienza politica e fui eletto deputato. Durante la trasmissione di Mike Bongiorno il nuovo personaggio televisivo era diventato un uomo politico. Il mio primo atto pubblico fu una spedizione sull’Etna in eruzione. Come molti ancora ricordano (sono passati 17 anni), al rientro da Zafferana Etnea dichiarai, di fronte al clima idiota di euforia e di finta tragedia, che avrei desiderato che l’Etna distruggesse le brutte costruzioni frutto di speculazione, in gran parte abusive e, come poi si appurò, seconde e terze case, anche di mafiosi. Fui frainteso. Il paradosso, e soprattutto, il desiderio di restituire alla natura la sua bellezza, venne interpretato come una forma di razzismo verso le povere vittime (che non ci furono). Fui maltrattato dal povero Andrea Barbato nella sua Cartolina , per il mio inqualificabile atteggiamento, tanto più che era la prima dichiarazione da parlamentare; e, quando rientrai nello studio di Telemike fui sottoposto a un processo anche da Mike Bongiorno. Questo il retroscena. Ma, nonostante i tanti anni, tutti hanno visto quel memorabile litigio e ancora si divertono a un battibecco senza limite (durò 13 minuti). Non potendolo cancellare del tutto (eravamo in differita, c’erano i giornalisti in studio) Mike ridusse lo scazzo a 3 minuti, sufficienti a capire il tenore e la temperatura dello scontro. Soltanto qualche anno dopo Antonio Ricci di Striscia la Notizia recuperò la registrazione integrale. Ed essa è diventata uno dei momenti più noti della televisione e anche della storia lunga, metodica, ordinata di Mike Bongiorno. Oggi la riguarderò con commozione, ma fino ieri l’ho pensata con divertimento e ammirazione: perché, nello scontro, Mike non solo mi tiene testa, ma non cede di un millimetro, è pronto a mettere in discussione tutta la sua “allegria” e ironica bonomia per ribattere colpo su colpo alle mie invettive. Ma c’era qualcosa di più: uno scontro generazionale e una diversa concezione del linguaggio televisivo. Mike il padre e io il figlio. Il padre fa una ramanzina, cerca di ricondurre il figlio alla ragione. Quello non ci sta e il padre alza il tono, ribadisce i suoi concetti, perde anche lui il controllo; ma, soprattutto, non lascia perdere. Ne esce, a parte le mie intemperanze precedenti, sempre osservate dall’esterno da Costanzo, il primo reality della televisione. Mike si dimentica di essere Mike, si lascia andare. Forse pensa che tanto non siamo in diretta, non presume che il nostro litigio integrale verrà poi trasmesso. Ed è meraviglioso vederlo così fuori dalla sua misura, dalla sua forma. Prima di quel momento Mike era stato il punto d’arrivo dell’unità d’Italia, un personaggio risorgimentale. Con lui, americano, la lingua italiana era arrivata in tutte le case, sostituendo i dialetti. I principi etici, i valori, l’idea di famiglia, in una corrispondenza con la maggioranza silenziosa democristiana e con i timorati principi della Chiesa cattolica avevano in lui un interprete naturale, l’equivalente televisivo di ciò che era in politica Andreotti, nel cinema Alberto Sordi, nel giornalismo Enzo Biagi. Difficile mettere insieme personalità più lontane. Ma io, come ogni buon figlio, avevo affetto per il padre, pur ribellandomi alle sue idee e non condividendo il suo armonioso perbenismo. Con l’incidente di Zafferana Etnea il contrasto deflagrò con gli effetti sorprendenti di restituire Mike a una realtà che lui stesso non aveva mai pensato di esibire. Naturalmente la settimana dopo tutto era superato, la lite aveva avuto qualche strascico giornalistico, ma non aveva alterato i nostri rapporti umani, né la mia stima per l’impegno professionale di Mike, né il mio affetto per lui. Io ero il ribelle, cattivo, irriverente. La consolazione sarebbe stata per lui trovare un altro figlio intelligente, vivace, a cui affidare il suo patrimonio essendone anche vivificato nella prosecuzione del suo impegno televisivo. Quel figlio buono è Fiorello, al quale Mike ha affidato i suoi segreti e con il quale ha verificato sintonie e affinità. Così, negli ultimi anni, senza incazzarsi, apparve ringiovanito e travestito, come non era mai stato, in una evoluzione del suo personaggio che lo rendeva molto diverso dallo stereotipo studiato da Umberto Eco. Un Mike Bongiorno spiritoso, autoironico, variegato, e anche un attore, pronto a trasformarsi in leggenda fino a non poter più essere chiuso nel cliché del conduttore di telequiz. E forse la conclusione della sua esperienza a Mediaset era l’inevitabile conseguenza di questo mutamento di status. Il figlio buono aveva aperto altre strade al padre, curioso e sorpreso. E andando a Sky era come se Mike fosse andato ad abitare nella casa del figlio, felice della nuova avventura. Non è riuscito a divertirsi, ma ha dimostrato di non essere mai diventato vecchio, di non avere perso mai la vita. È ancora con noi» (Vittorio Sgarbi). «La sua maniera tetragona, imperturbabile, di seguire il filo logico delle cose, e solamente quello, lo rese amatissimo perfino da chi (non solo gli intellettuali) amava sorridere di lui, trovando irresistibile la sua psicologia molto basica, per niente smaliziata. Nella meraviglia con la quale presentava i concorrenti laureati (“Pensate!”) si rifletteva l’arretratezza culturale dell’Italia di mezzo secolo fa, ma anche un rispetto delle gerarchie, delle forme, perfino delle apparenze che è stato totalmente stravolto, per mano della stessa televisione, negli ultimi vent’anni. Non è dato sapere se Mike si fosse accorto davvero di quanto profondo, traumatico e irrimediabile fosse stato il cambiamento: dai tempi di “Pensate, è laureata” a quelli di “Lo sa dove deve mettersela, la sua laurea?”. Forse fingeva di non essersene accorto, forse davvero era troppo impegnato a ricongegnare per l’ennesima volta un telequiz. Fatto sta che, a 85 anni, l’infinito ritorno dentro lo schema del “suo” telequiz, e della “sua” televisione, aveva assunto una certa qual magnifica follia. Vecchio, curvo, utilizzato da Sky per spot non sempre indulgenti con la sua età, aveva oramai l’aspetto e lo sguardo del vegliardo incontrollabile, quello che non deve rendere conto a nessuno perché cammina di fianco ai Campi Elisi» (Michele Serra). «La televisione? Io vedo solo i telegiornali, gli eventi sportivi e i documentari sulla natura. Credo che ormai la tv abbia dato quello che poteva dare». Ha condotto undici Festival di Sanremo (di più solo Pippo Baudo). Tra questi, il XVII (1969), durante il quale si tolse la vita Luigi Tenco. L’ultima volta nel 1997, con Valeria Marini. «Dunque, cinque canzoni ieri, cinque canzoni oggi, fa appunto dodici». Negli ultimi anni coppia fissa con Fiorello, che lo imitava a Vivaradio2 e poi finirono insieme in una serie di spot Infostrada. Dopo il ritorno in Rai nel 2007 (clamorosa conduzione delle serate di Miss Italia, dove viene attaccato in diretta da Loretta Goggi, indispettita per aver fatto troppa anticamera prima di entrare in scena), la scorsa primavera gira il promo del programma di Fiorello, appena arrivato a Sky. Pochi mesi dopo, anche Mike firma per la tv a pagamento: stava preparando il nuovo quiz RiSKYtutto. «All’ipotesi di passaggio alla pay-tv Fiorello venne convocato da Berlusconi, lui no. Se ne lagnò sotto Natale ospite di Fabio Fazio. Anche qui, a modo suo. Stava tentando l’impresa sbalorditiva di affrontare da protagonista anche la terza stagione della tv, con mezza Italia che ancora non si raccapezzava a capire le prime due» (Dipollina). Vignetta di Vauro su il manifesto del 9 settembre 2009: Un angelo corre tra le nuvole: “Mike Mike è arrivata la telefonata di Berlusconi”. “Digli che non ci sono... più”». «Grazie Mike per averci rincoglioniti fin da piccoli» (Jena su La Stampa). «C’è sempre stato l’atroce dubbio: è davvero così? Sulla leggenda d’una sua presunta pirlaggine Mike ci campava dal ’46. Nessuno è mai riuscito ad abbatterlo perchè nessuno ha mai capito se c’era o ci facesse» (Francesco Specchia). «Non c’è. Mike è venuto dalla Seconda Guerra Mondiale, è stato in galera con Montanelli, ha creato la tv. Lui non ha eredi. Solo sostituti, tutt’al più» (Chiambretti). «Mike - come diceva Schiller - era più grande della sua fama. E la sua fama era larga come il curriculum d’una nazione» (Francesco Specchia). «Mike come vorrebbe morire?», gli aveva chiesto recentemente un giornalista e lui: «Gridando: allegriaaa». «Allegria» (parola ripetuta continuamente all’indirizzo dei suoi figli dai compagni di scuola). «Si vergognavano di me». «Amici ascoltatori», avrebbe detto, come alla radio anche se era in tv. Invece è morto in corso d’opera, martedì scorso, facendo le valigie in un albergo di Montecarlo, mentre sui canali Sky scorrevano gli annunci del suo prossimo programma. «Morire sì, non essere aggredito dalla morte» (Vincenzo Cardarelli).