Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 29/11/2010, 29 novembre 2010
I DISCORSI POLITICI CHE CAMBIARONO IL MONDO
Sto leggendo una versione aggiornata del libro «Speeches that changed the world», discorsi che cambiarono il mondo. Sono discorsi generalmente di grande ispirazione che furono fatti in momenti tragici per l’umanità. Ci sono tante nazionalità rappresentate dagli americani i, francesi, i russi, gli indiani, i sudafricani, i giapponesi, ecc. ecc. Non c’è un solo discorso importante di un italiano. Vuole menzionare i nomi di alcuni oratori italiani che ispirarono con le loro parole a combattere per un mondo migliore?
Franca Arena, Sidney
Cara Signora, Esiste una raccolta di cinquanta discorsi politici italiani, a cura di Gabriele Pedullà, che usci r à quanto prima presso Rizzoli sotto il titolo «Parole al potere». Posso dirle soltanto che il libro dovrebbe contenere sia discorsi di uomini politici sia discorsi politici di intellettuali come Giosuè Carducci, Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia. Se il libro che lei sta leggendo non contiene discorsi italiani, la spiegazione, probabilmente, è linguistica. Quando non conosce l’italiano, il curatore del libro non è in grado d’informarsi e documentarsi. In caso contrario, il libro avrebbe potuto comprendere discorsi di Cavour, Mazzini, Crispi, Giolitti e, se il criterio è quello di avere contribuito a cambiare il mondo, persino qualche brano della maratona oratoria con cui Mussolini presentò al Parlamento nel 1929 i Patti Lateranensi: un evento che sancì la definitiva rinuncia del papato al potere temporale.
Alla sua domanda — esistono discorsi italiani per un mondo migliore? — rispondo che il più interessante, a mio avviso, è quello che Giolitti intendeva fare nel 1918, prima della fine della Grande guerra. Dopo avere cercato di evitare l’ingresso dell’Italia nel conflitto, il vecchio statista piemontese si era astenuto, per amor di patria, dall’intervenire nel dibattito pubblico italiano. Ma in un periodo imprecisato fra gennaio e giugno, mentre l’andamento della guerra sembrava escludere ormai la vittoria della Germania, meditò di prendere posizione e cominciò a scrivere alcune note. Partiva dalla premessa che gli orrori della guerra avevano modificato radicalmente la situazione internazionale e relegato in secondo piano i fini politici che le potenze si erano proposti all’inizio del conflitto. L’obiettivo, ormai, non doveva essere quello di più vincere la guerra, ma di «creare uno stato di cose che renda impossibile un’altra guerra» e «escluda la gara agli armamenti». L’Europa aveva di fronte a sé due prospettive: combattere fino alla distruzione della potenza tedesca o creare un diverso ordine internazionale fondato sulla «società delle nazioni».
Giolitti era convinto che la guerra a oltranza e una pace punitiva avrebbero creato le premesse di nuove guerre economiche e militari, esaurito le nazioni europee finanziariamente ed economicamente, privato l’Europa del suo posto politico nel mondo. Contro il militarismo e la minaccia di guerre future occorreva «far prevalere le correnti popolari» e chiamare i popoli a giudici dei loro governi. Per mettersi su questa strada i governi dell’Intesa dovevano rinunciare ai loro fini nazionali e limitarsi ad affermare tre principi: la libertà dei popoli di scegliere il loro governo, la libertà dei mari, l’arbitrato sostituito alla guerra.
Forse Giolitti riponeva troppe speranze nel buon senso dei popoli ma il discorso, se non avesse rinunciato a pronunciarlo, sarebbe stato profetico e rivoluzionario.
Sergio Romano