Guido Olimpio, Corriere della Sera 29/11/2010, 29 novembre 2010
QUEI CATTIVI VOTI SENZA CENSURE AI LEADER MONDIALI — I 251.287
documenti diffusi ieri da Wikileaks sono un calcio alla Realpolitik. E spazzano via tante ipocrisie. «Loro mentono a noi e noi mentiamo a loro», spiega candido il premier del Qatar riferendosi agli iraniani. I file sono «democratici», nel senso che quasi tutti sono coinvolti. Con i sauditi che continuano a finanziare i terroristi e chiedono agli Usa di colpire l’Iran per «tagliare la testa del serpente». Con la corruzione del potere afghano. Con i commenti sul comportamento poco regale dei principi britannici. Con il clamoroso spionaggio statunitense a danno dell’Onu. Con i riferimenti ai vincoli speciali Russia-Italia e alla figura del nostro capo del governo.
Nella serata di ieri, diversi mass media — New York Times, Guardian, El País, Der Spiegel, Le Monde — che hanno ricevuto in anticipo i files da Wikileaks, hanno aperto «gli argini» al fiume delle rivelazioni. Cablo riservati — e in parte segreti — che coprono un periodo ampio, dal 1966 al 2010. Una marea che potrebbe davvero cambiare, in certe regioni, la mappa politica. E costringere molti a dare spiegazioni.
Il leader fatuo
L’incaricato d’affari statunitense a Roma scrive: il premier Berlusconi è «vanitoso, inutile e incapace». Poi in un secondo report si sostiene che il capo del governo «è debole fisicamente e politicamente». Un leader che tira tardi in «feste selvagge» notturne e ciò significa che non ha tempo per riposare.
Gli americani seguono con interesse la stretta amicizia del premier russo Putin con Berlusconi. Un rapporto cementato da ricchi contratti sull’energia e «regali costosi», grazie anche al ruolo di un mediatore «ombra» che parla bene il russo.
Nell’analisi degli Usa Berlusconi si sta affermando sempre più come «la voce di Putin in Europa».
Onu sotto tiro
Da un ordine emanato dal Dipartimento di Stato emerge come gli Usa debbano spiare la leadership delle Nazioni Unite, sorvegliando sistemi telefonici ed email tanto dello staff che dei vertici. A questo proposito si precisa che è importante carpire parole chiave, violare misure di sicurezza e codici. Una rivelazione, questa, che avrà di sicuro ripercussioni al Palazzo di Vetro.
In altri cablo — firmati dalla Rice e da Hillary Clinton — Washington chiede al proprio personale all’estero di raccogliere informazioni dettagliate sulle persone che incontrano, sulle loro abitudini estendendo la «pesca» fino a numeri di carte di credito, tessere per le miglia aeree e campioni di Dna. Una vera schedatura.
Poi devono passare ai dati militari. È così in tutto il mondo ma in questo caso l’ordine sembra allargare il numero delle persone coinvolte. Inoltre la Rice e la Clinton sembrano agire come responsabili di un apparato di intelligence.
Trame nel Golfo
I sauditi — secondo i file — continuano a garantire denaro ad Al Qaeda mentre il vicino Qatar è definito «il peggiore nella regione» per quanto riguarda la cooperazione anti-terrore. Interessante l’approccio di Riad sull’Iran. Il re Abdallah in persona ha più volte invitato gli Stati Uniti ad attaccare Teheran per bloccare le ricerche nucleari. Un’idea condivisa da Emirati e Giordania che definiscono l’Iran «il diavolo» e una «minaccia esistenziale».
In un’occasione il principe Zayed di Abu Dhabi si è rivolto così ai diplomatici Usa: «Personalmente non voglio rischiare con questo tipo (Ahmadinejad, ndr). È giovane e aggressivo». Non solo: in un file il presidente è bollato come il «nuovo Hitler».
Il re saudita Abdallah è ancora più duro quando si pronuncia sul premier iracheno Al Maliki — «non è nel mio cuore, è un agente iraniano» — e sul presidente pachistano Asif Zardari considerato l’ostacolo più grande per il progresso del Paese: «Quando la testa è marcia contamina il resto del corpo».
Il monito
Ricevendo un alto funzionario statunitense — siamo nel 2009 — il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak avverte: «Un attacco contro i siti atomici iraniani sarà possibile entro la fine del 2010, dopo qualsiasi soluzione militare porterà a danni collaterali inaccettabili». Un riferimento alla possibile contaminazione degli abitanti in seguito al fall-out radioattivo.
Le bugie dello Yemen
Il governo yemenita ha più volte negato la partecipazione di forze Usa ai raid contro i qaedisti. Ma in un incontro con il generale Petraeus, il presidente Saleh afferma: «Noi continueremo a dire che le bombe sono nostre e non vostre». E il vice premier arriva a scherzare sul fatto che «ha raccontato una
frottola al Parlamento».
Il colonnello
In un rapporto si racconta l’irritazione del colonnello libico Gheddafi perché non gli viene permesso di issare la sua tenda a Manhattan. E i diplomatici aggiungono che il leader raramente si muove senza la compagnia di «un’infermiera ucraina», «una bionda formosa» con la quale ha una relazione. Si chiama Galyna Kolotnytska e ha 39 anni.
Il raìs «usa il botox ed è un vero ipocondriaco, che fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli poi con degli specialisti». Il «più longevo dittatore della storia» ha una passione per il flamenco e «il terrore di volare sull’acqua». Al punto che dopo 8 ore pretende che il suo aereo atterri.
Ombre cinesi
Il Politburo cinese ha organizzato un attacco sistematico contro Google. Un’azione che fa parte di una campagna più ampia organizzata da Pechino e affidata a funzionari governativi, privati e hacker.
L’intrusione è il seguito dell’offensiva scatenata a partire dal 2002 con le violazioni dei computer americani, degli alleati occidentali e del Dalai Lama.
Il mercato
Gli americani cercano di «sistemare» alcuni prigionieri di Guantánamo all’estero. E inizia un vero bazar. Alla Slovenia viene proposto uno scambio: vi prendete un detenuto e otterrete un incontro alla Casa Bianca. Alla piccola isola di Kiribati (Pacifico) è offerto un pacchetto di aiuti. Al Belgio è suggerito di accettarli perché si tratta di una soluzione «a basso costo per guadagnare prestigio in Europa».
Il duo russo
Esaminando il rapporto tra il premier russo Putin e il presidente Medvedev, gli americani non vanno leggeri: il primo — scrivono — «è il maschio dominante». O ancora: «Medvedev interpreta il ruolo di Robin al fianco di Batman Putin». Commenti coloriti seguiti da riferimenti ai possibili legami tra il potere e ambienti criminali. La Russia usa i boss per una serie di operazioni trasformando il Paese in «uno Stato della mafia».
Le Coree
Non escludendo il collasso della Corea del Nord, Washington e Seul discutono la possibilità di una «riunificazione» coinvolgendo anche la Cina con incentivi economici. Il dittatore del Nord, Kim Jong-il, è bat-
tezzato «un vecchio flaccido».
Le atomiche
Dal 2007, gli Stati Uniti hanno lanciato un’operazione segreta per rimuovere da un reattore pachistano l’uranio arricchito. Un’iniziativa motivata dal timore che il materiale possa finire in mani sbagliate. Ma il piano si scontra con le resistenze delle autorità di Islamabad. Nel maggio di un anno fa, l’ambasciatrice Anne Patterson avverte Washington che i pachistani si sono opposti alla visita di un team di tecnici americani. Un funzionario locale spiega che se «la storia finisce sulla stampa, loro diranno che gli Usa si stanno impossessando delle atomiche pachistane».
I leader
Nelle «pagelle» compilate dagli americani compaiono molti leader amici. Sulla cancelliera tedesca Angela Merkel: «Evita i rischi, si mostra raramente creativa, tenace quando è in difficoltà, metodica, razionale e pragmatica”. Avrebbero fatto prima a scrivere «tedesca». Sul francese Sarkozy: «L’imperatore nudo dai modi autoritari». Sull’israeliano Netanyahu: «Elegante e affascinante ma non mantiene mai le promesse». Sull’afghano Karzai: «È spinto dalla paranoia mentre il fratello, Ahmed Wali, è corrotto e legato al narcotraffico». Sull’argentina Cristina Kirchner: bisogna controllare «il suo stato di salute mentale».
Le reazioni
Per la Casa Bianca e il Pentagono le rivelazioni mettono in pericolo «diplomatici, intelligence e gente che si è rivolta agli Stati Uniti». Con una frase a effetto, il ministro degli Esteri italiano Frattini ha parlato di «un 11 settembre della diplomazia». Vedremo se avrà le stesse conseguenze.
Guido Olimpio