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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

«Io, come i signori di una volta, mi dedicherò alla costruzione di un giardino. Ci saranno rovine e bambù, all’ombra dei quali nasceranno un grande labirinto, una biblioteca e tante altre cose superflue

«Io, come i signori di una volta, mi dedicherò alla costruzione di un giardino. Ci saranno rovine e bambù, all’ombra dei quali nasceranno un grande labirinto, una biblioteca e tante altre cose superflue. Così, come sin qui ho avuto Bodoni per maestro, ora avrò il principe di Ligne. A chi mi chiederà perché, risponderò con Voltaire: «Laissez moi cultiver mon jardin». Con queste parole, nel marzo del 2004, Franco Maria Ricci salutava i lettori sull’ultimo numero da lui firmato della rivista FMR, fondata 21 anni prima e diventata, insieme alla sua casa editrice, un «mito mondiale». Ceduto il marchio e l’attività, l’editore che con l’aiuto di Jorge Luis Borges aveva ideato la collana della Biblioteca di Babele ha mantenuto la promessa. E il giardino è quasi pronto. L’idea è di inaugurarlo fra due anni, in occasione del bicentenario della morte di Giambattista Bodoni, il tipografo neoclassico che verso la fine del Settecento creò caratteri eleganti e leggibili e che ha ispirato i raffinati volumi nero e oro di Ricci. Poi resterà aperto al pubblico. Chi viaggia per le stradine che da Parma conducono a Fontanellato, può già indovinarlo dietro una selva di bambù che all’improvviso si innalza nella pianura. Nel cuore della selva ci sono le rovine dei casali che Ricci ha ereditato dal nonno. Vecchie costruzioni in mattoncini di cotto, in gran parte crollate. Dietro il balcone di ferro che è rimasto affacciato al primo piano, con un pezzo di finestra in legno marcito, non ci sono più le stanze. Sotto, da un minuscolo portico ancora integro, si accede però alla biblioteca in perfetto stile neoclassico, con stucchi, colonne, busti in marmo. Un restauro suggerito appunto da Charles Joseph di Ligne, il principe belga che alla fine del Settecento si ritirò nel suo castello di Beloeil decorandone riccamente gli interni dove sistemò l’immensa biblioteca e la collezione d’arte e creando, secondo la moda dell’epoca, un giardino all’inglese con finte rovine. «Io ho avuto la fortuna di avere le rovine vere e ho deciso di lasciarle, convinto che una casa distrutta è più bella, se si riesce a renderla abitabile», dice Ricci, che ci vive insieme alla moglie Laura Casalis. Ma l’impresa che ha sempre sognato è un’altra. L’aveva annunciata a Jorge Luis Borges, lo scrittore argentino con cui ideò la collana della Biblioteca di Babele e che nel ’77 fu ospite per venti giorni nella sua casa milanese: costruire il più grande labirinto del mondo. «Mi rispose che esisteva già ed era il deserto». Ricci mise da parte il progetto. L’aveva quasi dimenticato, quando il destino gli fece incontrare i bambù. È Laura Casalis a raccontare l’episodio: «Una sera, a Milano, capitammo a cena in un ristorante che aveva un cortile con un boschetto di bambù. Ci colpì la sua bellezza. Poco tempo dopo ci chiamò un vivaista fiorentino, che voleva fare la pubblicità su Fmr, ma non aveva abbastanza soldi. Gli dicemmo: "Ci mandi dei fiori". Lui ci spedì dei bambù. Li piantammo e in poco tempo si erano moltiplicati. Mai visto niente di più facile da coltivare». Per Ricci fu amore a prima vista. Ripescò l’idea del labirinto: «L’avrei costruito con le siepi di bambù, essenze che costano poco, perché si riproducono in fretta e da sole. Assorbono anidride carbonica, tanto che il protocollo di Kyoto dice che bisogna intensificare le piantagioni per purificare l’aria del pianeta. D’inverno non perdono le foglie e come manutenzione basta un po’ di potatura. Crescono veloci, anche un metro al giorno, basta mettersi seduti e si può vederli salire verso il cielo». Cominciò a tappezzare di bambù i trenta ettari della tenuta di Fontanellato. Snocciola a memoria i nomi delle diverse specie e le loro virtù: «Il Phyllostachys Viridiglaucescens, con la canna iridescente che può raggiungere i dieci centimetri di diametro e l’altezza di otto metri, l’abbiamo piantato intorno al laghetto. Il Pubescens è il classico bambù gigante delle foreste cinesi, tra le cui fronde volano gli eroi dei film epici. Il Viridis Sulfurea ha la canna di un giallo delicato, con pennellate verticali di verdi diversi, una meraviglia, sembra uscito da un dipinto giapponese. Il Pleioblastus Pumilis, basso e fitto, sostituisce il prato, si rade con un tagliaerba una o due volte all’anno. Il Bossetii, dalla canna sottile cresce fittissimo fino a cinque metri con un portamento eretto ma flessuoso e si riproduce come un pazzo. È quello che abbiamo scelto per il labirinto». Un’impresa titanica, che in questi anni ha preso la forma di una sorta di stella a cinque punte, distesa su sette ettari di terreno e percorsa da tre chilometri di sentieri delimitati da bambù, già alti al punto da formare una cupola di verde sulla testa di chi si avventura dentro il tunnel. Ricci l’ha disegnata ispirandosi ai labirinti raffigurati in due mosaici romani, uno conservato al Museo del Bardo a Tunisi, l’altro al Kunsthistorisches Museum di Vienna. «Poi ho consegnato i disegni a matita all’architetto Davide Dutto, che una decina di anni fa aveva curato per me un libro con le immagini della ricostruzione virtuale del Giardino di Polifilo, un labirinto vegetale con al centro un edificio simile al Colosseo. Per la parte in muratura, che sarà realizzata in mattoni, ispirata alle architetture della Rivoluzione francese, mi sono affidato al parmigiano Pier Carlo Bontempi, esponente della corrente neotradizionalista italiana molto apprezzata da Carlo d’Inghilterra». I lavori degli edifici prenderanno il via a settembre. All’ingresso del labirinto ci saranno un ristorante e un bookshop dove, oltre a libri e gadget, si potranno acquistare culatello e parmigiano e ottenere informazioni sul bambù. «Mi sono reso conto che la gente non sa che cos’è. Viene confuso con le canne». All’altezza del primo piano si sviluppa la galleria-museo dove Ricci sistemerà la sua collezione di 450 opere tra sculture e quadri, la maggior parte risalenti al Settecento e al primo Impero, busti e ritratti soprattutto. E quasi tutti i volumi di Bodoni. «Lo inseguo ossessivamente fin dagli anni Sessanta, quando pubblicai in facsimile il suo famoso Manuale Tipografico». C’è anche un bellissimo ritratto della moglie di Alberto Savinio, ma l’arte contemporanea si ferma agli anni Cinquanta del secolo scorso. «Non amo quella arrivata dopo, legata solamente al mercato, priva di ogni sapienza artistica, artigianale e spirituale, che infonde bellezza all’arte classica. Non vogliono ammettere che la vera arte oggi sta nella tecnologia». Ricci ci guida verso il cuore del labirinto, una piazza quadrata che verrà incorniciata da un porticato interrotto su un lato da una piramide-mausoleo. «Qui faremo le feste. Banchetti con i tavoli sotto le arcate o poltrone in occasione di concerti. Ci saranno sempre gelatai e suonatori di fisarmonica. I visitatori potranno passare una giornata diversa, tra arte e natura». E se si perdono? «Suggeriremo di portarsi un cellulare». Al ritorno si perde anche lui. Dopo aver continuano a girare a vuoto sotto i rami dei bambù che al tramonto si popolano di storni, veniamo salvati da due giardinieri che instancabilmente potano le siepi. Ricci intanto racconta un altro sogno: rivestire di bambù giganti i lati delle autostrade per nascondere il degrado delle campagne invase dai capannoni industriale e dalle discariche e ricoprire con la specie nana le rotonde agli incroci. «Sto creando una fondazione per il restauro del paesaggio e metterò a disposizione dei sindaci trenta specie di bambù. Il labirinto diventerà una specie di shoroom per far vedere cosa si può fare con il bambù e con poca spesa». A casa, Laura Casalis, che guarda un po’ preoccupata la vegetazione - altamente infestante - sommergere le finestre in una luce di acquario, racconta una storiella ascoltata a New YorK. «Un vecchio signore, che aveva condotto una vita molto saggia, agli amici che lo visitavano sul letto di morte chiedendo un ultimo suggerimento, rispose "Never plant bamboo"».