Rosanna Roccia, 29 novembre 2010
Le onoreficenze di Cavour
Il merito quale unica fonte d’onore Le onorificenze dei potentati stranieri Santena, il diletto «pays tout peuplé de souvenirs sacrés» rievocato da Amélie Revilliod (1870) , è l’emblematica ancona di memorie cavouriane inestinte. Il Castello settecentesco, che, in questo luogo non lontano da Torino, durante lunghissime estati accolse alcune generazioni della nobile stirpe dei Benso, fu per Camillo di Cavour dimora amatissima, cenacolo di affetti e approdo ultimo. Tra le pareti della grande casa-museo sono tutt’oggi gelosamente custoditi ricordi peculiari della vasta famiglia: dal preziosissimo archivio, agli arredi, ai ritratti, ai cimeli, alle reliquie disperse e colà ricondotte dalla pietas di eredi devoti. Tra gli oggetti più rari e men noti, la squisita collezione delle onorificenze conferite allo statista dai potentati stranieri e dal suo stesso sovrano costituisce un unicum di grande suggestione, il cui linguaggio appartiene agli ambiti della Storia e dell’Arte. Il «gran ministro, che, fatta alleanza colle idee nuove», come stigmatizzò il Manno, «aiutò coi consigli (acutissimi sempre, non sempre graditi) il re Vittorio Emanuele II a costituire l’Italia in corpo politico», ottenne quei riconoscimenti prestigiosi in tempi e occasioni diversi: consapevole del loro alto valore, non amò tuttavia esibirne le insegne. Isacco Artom, suo antico collaboratore, nel rammentarne la «semplicità di modi», la bonomìa e l’arguzia, narrava (1906) che «spesso [il conte] si canzonava da sé, specialmente quand’era obbligato a comparire in grande uniforme nelle feste ufficiali», e riferiva che, «tranne le occasioni in cui non poteva farne a meno, egli non portava mai decorazioni, ed aveva poca simpatia per coloro che amano far pompa di nastri». Epperò si trattava «d’un uomo ch’era fregiato di quasi tutti gli ordini europei», e non solo, e che, per quanto incurante dei titoli, era assurto al rango di «cugino del re». Persuaso, al pari del Machiavelli, che «premiare il merito e non la nobiltà e la ricchezza [fosse] la base stessa del vivere libero», Cavour, giudice acuto dell’operato altrui e ottimo arbitro dei traguardi raggiunti, rispettoso inoltre «des usages diplomatiques en vigueur sur le continent», così come in altre aree geografiche, non mancò di farsi promotore di scambi di «décorations», o anche di riconoscimenti «sans aucune compensation» nei confronti di interlocutori degni di speciale benemerenza. A sua volta, dacché fu entrato a far parte del governo, fu fatto segno per merito, ripetutamente e da più parti, di encomi e di onori. Chiamato a reggere i dicasteri di Agricoltura, Commercio e Marina (11 ottobre 1850) e poi delle Finanze (19 aprile 1851) nel ministero d’Azeglio, egli impresse una imprevista accelerazione allo sviluppo economico del Regno sardo mediante la stipulazione di una serie di trattati di commercio e di navigazione «a struttura nettamente liberista», che favorirono la nascita o il consolidamento di rapporti di amicizia e cooperazione con i principali Stati d’Europa e del Mediterraneo. Secondo le consuetudini allora in vigore, i sovrani dei Paesi contraenti si affrettarono a manifestare il loro compiacimento all’instancabile “motore” di «azioni» innovative di indubbio vantaggio. Il 27 novembre 1850, con assoluta tempestività, il bey di Tunisi inviò «all’incomparabile conte Camillo di Cavour», che aveva «resa fruttifera» la vicendevole «buona relazione», «il più grande» dei suoi «Nisciam d’onore», e, il 18 dicembre il presidente della «Seconde République» di Francia conferì al ministro sardo la dignità di «grand officier de la Légion d’Honneur», qual «témoignage éclatante» d’«estime et... haute satisfaction» per la «signature» di accordi bilaterali, invero contestabili, ma necessari al mantenimento della «bonne et franche amitié» esistente tra i due Paesi: amicizia che ulteriori «négociations», il 21 febbraio 1852 meritarono a Cavour d’essere elevato a «Grand croix» di quello stesso ordine. Il ricordo di negoziati commerciali stipulati in rapida sequenza nel 1851, con il Belgio, con la Grecia, con il Portogallo, e persino di semplici convenzioni addizionali sancite con la Prussia, fu consacrato ogni volta con l’attribuzione di una «marque éclatante» di distinzione e di merito: il ministro piemontese, si vide dunque via via insignito del Gran cordone dell’ordine belga di Leopoldo, della Gran croce dell’ordine greco del San Salvatore, della Gran «cruz» dell’ordine portoghese di Cristo, e della più modesta insegna prussiana di cavaliere dell’Aquila Rossa. Dal 4 novembre 1852 a capo del governo sardo, Cavour proseguì l’attività riformatrice che, nell’allargamento degli orizzonti economici, commerciali e diplomatici, costituì uno dei punti di forza della politica del decennio preunitario. La stipulazione di nuovi trattati di commercio e navigazione con l’estero, che garantivano bilateralmente libertà di circolazione e di scambio, anche in questo periodo ottenne allo statista alti riconoscimenti stranieri. I «nobili e chiarissimi sforzi» e lo «zelo» profusi nel condurre in porto (il 13 luglio 1854) le negoziazioni con la Sublime Porta Ottomana, applicando alle merci turche «l’ordinario trattamento delle nazioni più favorite», meritarono al presidente del consiglio, e ministro degli Esteri, sardo il «primo grado nell’eccelso ordine di Mejide»: che il sultano di Turchia gli conferì il 14 giugno 1855, in pieno svolgimento della guerra di Crimea, fors’anche qual tacito riconoscimento dell’adesione del Piemonte all’alleanza anglo-francese contro la Russia. Nel 1857 lo scià di Persia, «enchanté» per gli accordi conclusi, tributò a Cavour l’insegna e la sciarpa dell’ordine del Sole e del Leone: dal 26 aprile tra il grande impero asiatico e il piccolo Stato sardo il trattato avrebbe garantito «amitié sincère et une constante bonne intelligence».. E «per mantenere la buona e leale intelligenza» preesistente tra la Repubblica centroamericana del Salvador e il neonato Regno d’Italia, nella primavera del 1861 (14 aprile) fu sancito un patto di «amicizia perpetua» e di «completa ed intiera libertà di commercio», con facoltà ai «sudditi e cittadini di ciascuna delle due parti... di risiedere, viaggiare, commerciare nei due paesi»: patto che valse allo statista la placca «al merito» dello Stato d’oltreoceano. Il conferimento di onorificenze fu talora contestuale all’avvio, all’allargamento o alla ripresa di relazioni diplomatiche assenti o bruscamente interrotte. Tra il febbraio e marzo 1855 s’era profilata a Parigi l’opportunità di istituire rapporti diretti tra la Sardegna e l’Hannover, mostrando «à l’Europe», mediante «un échange de décorations», la buona disposizione reciproca: e poiché il sovrano sardo aveva accolto «favorablement les ouvertures» del governo «hanovrien», re Giorgio V aveva conferito a Cavour la croce di cavaliere dell’ordine Guelfo (13 gennaio 1856). Avendo poi siglato a Parigi, a pochi giorni dalla chiusura del Congresso, una «convenzione consolare» con la Spagna di Isabella II, onde insediare rappresentanze adeguate nei rispettivi «porti, città e luoghi» a tutela e salvaguardia di persone e beni, era stato nominato, «par las cualidades» sue, «caballero Gran cruz» del reale ordine di Carlo III. Allo statista, che durante le vertenze insorte nell’esecuzione delle clausole del trattato di Parigi, s’era adoperato sagacemente per «trouver un moyen de concilation» con la Russia, dal vasto impero contro il quale il Piemonte aveva spedito i bersaglieri di La Marmora vittoriosi alla Cernaia (16 agosto 1855), erano invece giunte il 6 aprile 1857, qual segno di «particolare benevolenza» dello zar, e di riconciliazione, le prestigiose insegne dell’ordine di Sant’Alessandro Nevskij tempestate di brillanti, con impresso il motto «Pel servizio e per la patria». Compendio di virtù civili di cui Cavour s’era fatto paladino: virtù ch’erano, e sono tuttora, l’essenza universale «del merito quale unica fonte d’onore». Rosanna Roccia