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 2010  novembre 29 Lunedì calendario

PIANOLE E FONOGRAFI COSÌ L´UNITÀ D´ITALIA FU FATTA IN MUSICA

Quando la sera del 31 dicembre 1858 "La bela Gigugin" fu eseguita per la prima volta in un teatro di Milano, l´entusiasmo fu tale che – dopo una ventina di "bis" - l´orchestra intera con in testa il maestro Rossano fu spinta dalla folla per le strade e scortata fin sotto la residenza del governatore mandato da Vienna, e lì il pezzo più famoso del Risorgimento fu ripetuto e cantato a squarciagola, per protesta, fino alle quattro del mattino. E a Trieste, ancora sotto dominio asburgico a fine Ottocento, lo sfottò anti-austriaco sotto forma di canzone era così frequente – raccontava mia nonna – che i triestini inventarono un altro motivetto apposta per sbeffeggiare il continuo stato d´allerta musicale dei gendarmi. Faceva: «Se le guardie no vol che cantemo, noi cantemo, cantemo, cantemo per farle rabiar».
L´Italia si fece in musica prima che con i cannoni. Con cori sediziosi, bande di paese, concerti di piazza, mormorii di tamburo, e poi – dopo l´Unità - con strade, mercati, salotti e caffè invasi dalla musica meccanica, fino alla vigilia della Grande Guerra: pianole, organi di barberia, fonografi, piani e trombe a cilindro, spalloni o carriole per girovaghi; e ancora pesanti organi da fiera, armadi sonori o diavolerie come i grammofoni ad aria calda, che diffusero dalle Alpi alla Sicilia "L´inno di Garibaldi", "L´addio del volontario" o la "Marcia reale".
Sono queste – ed altre – diavolerie che vedremo e sentiremo il 2 e 3 dicembre al museo di arte classica di Roma, piazzale Aldo Moro 5, su iniziativa dell´università "La Sapienza". Macchine raccolte da un museo unico in Italia, quello di Cesena, pezzi originali dai deliziosi rumori sporchi, marchingegni fatti di mantici, manovelle, ruote dentate e cartoni bucati. Scatole magiche che incantano anche gli adulti, in questo tempo di micro-congegni criptati.
Se il Risorgimento è in crisi è anche perché, dal fascismo in poi, è stato trasmesso come dogma e non come passione, e questa passione era soprattutto musica. La musica di un´umanità che cercava di dare senso alla vita attraverso la lotta per la libertà. In quei settant´anni scarsi tra il 1948 e il 1914 non eravamo ancora affetti dal senso di tristezza e impotenza cosmica che traspare dai canti della Grande Guerra e poi dalla morte della musica nei conflitti globali. I ragazzi dell´università di Pisa (dove l´11 dicembre una giornata di studi sul centocinquantenario si chiuderà con le canzoni risorgimentali di Emilio Franzina) partirono cantando con i professori per combattere a Curtatone e Montanara. Garibaldi poi, conosceva la musica come arma: nella notte prima della battaglia di San Antonio del Salto in Uruguay, fece cantare i suoi talmente forte che il nemico li credette soverchianti e si demoralizzò prima di combattere.
Anche lui, negli anni del tramonto, volle a Caprera e negli ultimi viaggi le nuove macchine musicali. Una specialmente, la scatola a manovella restaurata dal maestro Marco Gianotto, dalla quale sarà possibile sentire "L´inno di Garibaldi" da disco di cartone perforato originale dell´epoca. Oppure uno dei piani melodici costruiti dal bolognese Giovanni Raccà - fabbrica che fu famosa nel mondo ma oggi è ignorata in Italia – che il duca degli Abruzzi fece caricare sulla nave della spedizione al Polo. «Ascolti cose così – racconta Gianotto – e ti scorre davanti il film di un altro mondo, quello degli ultimi eroi; un´Italia malnutrita e alta un metro e sessanta, ma per la quale l´onore era onore, la musica era fermento e l´amore era passione». Pezzi di 40, 50 secondi al massimo: "La bandiera dei tre colori" o "L´ambasciatore". Valzer, polche, marcette che scandirono l´azione – la falciatura, l´innamoramento, il conflitto – non la passività delle sale d´aspetto o dei supermercati. Le ultime battute della grande stagione della musica prima dell´era del rumore.