Morya Longo, Il Sole 24 Ore 29/11/2010, 29 novembre 2010
SUL RING EUROPEO DEI RENDIMENTI BERLINO DETTA LE REGOLE
Immaginate una corsa di auto, in cui alcuni piloti viaggiano con benzine speciali e altri con il freno a mano tirato. Questa è, semplificando, la gara che gli stati europei si trovano a correre in questa crisi del Vecchio continente. C’è chi, come la Germania, gode di tassi d’interesse ai minimi termini: questo le permette di finanziare il debito risparmiando come non era mai accaduto nella storia. C’è chi, invece, paga un «premio» molto più elevato. Dunque corre col freno a mano tirato. L’Italia è nel secondo gruppo: per effetto della crisi irlandese e greca, il Belpaese solo sulle emissioni previste per il 2011 dovrà infatti pagare mediamente - alle quotazioni attuali - un extra-rendimento medio di 173 punti base rispetto alla Germania. In soldoni: ogni anno Roma pagherà 3,55 miliardi di euro in più di maggiori interessi o di minori introiti solo perché non si chiama Berlino. E questo solo per le emissioni di BTp del 2011, previste da Rbs intorno ai 205 miliardi di euro. Se poi lo spread tra BTp e Bund salisse di altri 50 punti base, il costo salirebbe di un miliardo l’anno. E di altri miliardi per ogni ulteriori 50 punti base. Un costo non proibitivo, certo. Gestibile, ovvio. Ma un costo che fa viaggiare l’Italia, rispetto alla Germania, col freno a mano tirato: soldi in fondo buttati via, solo per colpa della speculazione e del nostro debito pubblico affetto da gigantismo. E in un periodo in cui la corsa è di quelle dure, perché l’economia langue e servono risorse per farla ripartire, ogni svantaggio competitivo è un handicap. Questa è la nostra zavorra: il costo della speculazione.
Bene inteso: ogni calcolo è puramente esemplificativo e non può essere preciso. Per tanti motivi: perché non si sa ancora quanti BTp lo stato italiano emetterà l’anno prossimo, quanti saranno i BTp nuovi e quanti quelli vecchi riaperti, perché gli spread potrebbero cambiare (in meglio o in peggio), perché limitare il calcolo ad un solo anno è riduttivo. Ma rende comunque l’idea del peso dell’allargamento del differenziale tra il rendimento dei BTp e quello dei Bund tedeschi: un peso non eccessivo, ma in tempi duri neppure trascurabile. Anche perché l’Italia - paradossalmente - si potrebbe trovare ad essere il paese più penalizzato d’Europa per colpa degli spread. Dato che gli altri stati periferici - secondo le stime di Rbs - emetteranno molti meno titoli di stato nel 2011 (Grecia e Irlanda dovrebbero addirittura non emetterne affatto grazie al salvataggio europeo) il costo della speculazione su di loro potrebbe diventare meno oneroso che per l’Italia.
Facendo lo stesso calcolo (considerano lo spread medio sui Bund per ogni differente scadenza di titoli di stato), la Spagna pagherebbe - con i 95 miliardi di euro di emissioni previste per il 2011 - un totale di 2,51 miliardi in più di interessi rispetto alla Germania. Il Portogallo, con soli 17 miliardi di euro di emissioni previste, avrebbe un onere aggiuntivo di soli 630 milioni. L’Irlanda, qualora non fosse salvata e dovesse emettere i previsti 24 miliardi di titoli di stato, avrebbe un extra-costo di 1,36 miliardi. Insomma: paradossalmente l’Italia, che non ha creato la crisi e che ha fondamentali economici migliori rispetto a tanti altri paesi, si trova a pagare il costo maggiore in termini assoluti. Per colpa del peccato originale che si trascina da decenni: il super-debito pubblico.
Con questo calcolo non si intende dire che l’Italia paga interessi proibitivi. Oggi i tassi di mercato, per effetto della crisi e della politica monetaria della Bce, sono in termini assoluti bassi. Per tutti: anche per l’Italia. Quello che pesa, però, è lo svantaggio competitivo con la Germania. Si consideri che nel 2011 Berlino e Roma emetteranno più o meno lo stesso ammontare di titoli di stato: qualcosa in più di 200 miliardi di euro. Il problema è, però, che il Belpaese dovrà pagare 3,5 miliardi di euro di interessi in più: qualunque sia il livello dei tassi, se gli spread restassero uguali a oggi, questo sarebbe l’extra costo per l’Italia. Cosa mai accaduta da quando esiste l’Unione europea. E il problema è ancora maggiore se si confronta l’Italia agli Stati Uniti: loro hanno creato la crisi e hanno il maggiore debito pubblico, ma dato che hanno una banca centrale a loro disposizione e un nome solido, pagano tassi d’interesse molto bassi. La domanda potrebbe sembrare retorica, ma in fondo è corretta: quante cose si potrebbero fare con 3,5 miliardi di euro, se non fossero buttati via causa-crisi? Quante case dell’Aquila potrebbero essere ricostruite? Quanti interventi si potrebbero fare nel Veneto alluvionato? Questo, in fondo, è il costo della bufera che investe l’Europa: guadagnano gli speculatori, perdono i cittadini. Gli aquilani. I veneti. Le scuole. Le strade.