Giornali vari, 15 novembre 2010
Anno VII – Trecentoquarantottesima settimanaDall’8 al 15 novembre 2010Crisi Le previsioni sulla crisi sono queste: il governo resterà in piedi fino all’approvazione della finanziaria (intorno al 15 dicembre)
Anno VII – Trecentoquarantottesima settimana
Dall’8 al 15 novembre 2010
Crisi Le previsioni sulla crisi sono queste: il governo resterà in piedi fino all’approvazione della finanziaria (intorno al 15 dicembre). Poi vi sarà il regolamento di conti tra le forze politiche. La tregua di un mese è stata chiesta da Napolitano in nome della sicurezza dei conti pubblici. La finanziaria oggi si chiama “legge di stabilità”, consiste cioè in una serie di provvedimenti coerenti con le direttive europee. In che consisterà il regolamento di conti? Nella richiesta da parte di Berlusconi di un voto di fiducia alle Camere. Il Pd e l’Idv hanno presentato una mozione di sfiducia alla Camera, il Pdl ha presentato una mozione di fiducia (strumento nuovo) al Senato. La questione adesso è se il presidente del Consiglio si debba presentare prima a Montecitorio o prima a Palazzo Madama. Il Cavaliere vuole andare prima a Palazzo Madama, dove è sicuro di avere i voti. Incassata la fiducia, si presenterebbe alla Camera e si farebbe serenamente battere. Il voto favorevole del Senato gli permetterebbe poi di sostenere che: 1) basterà sciogliere la sola Camera per rimettere le cose a posto; 2) non esiste nessuna maggioranza in grado di governare, perché al Senato vince Berlusconi e alla Camera vincono gli altri; dunque sarà inutile, per Napolitano, tentare la strada di governi tecnici o di responsabilità nazionale; c’è la prova insomma che l’unica strada è andare subito al voto. Durante la settimana il Cavaliere ha persino evocato la possibilità della guerra civile, nel caso Napolitano non si decida a sciogliere le camere dopo la crisi.
La Camera È possibile sciogliere solo la Camera dei deputati e lasciare in piedi il Senato? Teoricamente sì: l’articolo 88 della Costituzione dice: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». In passato, si è ricorsi allo scioglimento di una sola Camera per pareggiare la durata dei due rami del Parlamento (all’inizio i senatori restavano in carica sei anni). Quella volta erano più o meno tutti d’accordo. Adesso si potrebbe sciogliere una Camera solo se fosse manifestamente provato che non è in grado di lavorare. Nessuno ha mai pensato che si potesse ricorrere allo scioglimento per ragioni politiche. D’altra parte Prodi si trovò nella stessa situazione (forte alla Camera, debole al Senato) e non chiese di rimandare a casa i senatori. Inoltre, una decisione simile è di esclusiva competenza di Napolitano, il quale, prima di risolversi a un atto tanto traumatico, dovrebbe consultare anche Fini. E Fini direbbe certamente di no. Questa soluzione, ventilata dal Cavaliere domenica nella solita telefonata guascona a una convention di Pdl, può dunque essere esclusa.
Lega Bossi ha incontrato Fini giovedì 11 novembre, per verificare la possibilità di una ricucitura. Incontro brevissimo, appena una quarantina di minuti. Che però ha fatto crescere le voci intorno alla possibilità di un nuovo governo di centro-destra guidato da una personalità diversa da Berlusconi (sempre Tremonti, che nega, ma da ultimo è tornato in auge il nome di Letta). In un’intervista alla Stampa di lunedì, Bocchino ha invocato un governo di larghe intese, da concordare cioè anche con la sinistra. In un’altra intervista, rilasciata il giorno prima, Bersani non aveva escluso la possibilità, in caso di elezioni, di far cartello con Fini. Intanto Fini, Casini e Rutelli annunciano l’intenzione di una convergenza politica, peraltro tutta da definire. Sarebbe il Terzo Polo, che Rutelli pretende sia già il Primo, in termini di consensi.
Consensi Gli ultimi sondaggi danno il Pdl addirittura intorno al 26%, percentuale che renderebbe non così scontata la vittoria elettorale. Pdl e Lega insieme, infatti, arriverebbero a stento al 40%. Il Terzo Polo di Fini, Casini e Rutelli, con l’aggiunta magari di Montezemolo, starebbe al 18%. Pd e Idv insieme oscillerebbero intorno al 30%.
Bertolaso Guido Bertolaso è andato in pensione lo scorso 11 novembre e non guida più la Protezione civile. Messo a capo di quella struttura da Berlusconi nel settembre del 2001, Bertolaso l’ha fatta crescere fino a trasformarla in una macchina capace di affrontare ogni emergenza, non necessariamente catastrofica. Di qui un potere inusitato in Italia e, da ultimo, l’inchiesta della magistratura di Firenze, sicura di malversazioni e corruzioni, per ora non interamente provate. Il nuovo capo della Protezione civile sarà Franco Gabrielli, vice di Bertolaso, ex prefetto dell’Aquila ed ex direttore del Sisde.
Aung Aung San Suu Kyi, la lady birmana premio Nobel per la pace, è tornata in libertà dopo aver trascorso quindici degli ultimi vent’anni agli arresti domiciliari. L’Occidente prese definitivamente coscienza della sua lotta tre anni fa quando, a seguito di un forte rincaro dei prezzi, il popolo birmano scese in strada guidato dai monaci buddisti. La folla circondò la casa a due piani dove Aung era rinchiusa, Aung uscì e recitò con i monaci i Sutra buddisti. Manifestazioni di giubilo si sono svolte nei giorni scorsi a Rangoon e nel resto della Birmania. Aung ha tenuto un comizio domenica 14 novembre: nessun rancore verso la giunta che l’ha tenuta prigioniera, e anzi mano tesa verso il dittatore, generale Than Shwe: «Sarebbe bello se potessi discutere con lui di qualsiasi questione cui tengo». Sarebbe sorprendente però se Than Shwe accettasse l’invito: è noto che per questa donna il capo della giunta militare prova disprezzo e paura. In Birmania ci sono altri 2.200 prigionieri politici, ma ogni iniziativa internazionale per rendere più umano quel regime si scontra con la protezione cinese. La Birmania subisce sanzioni economiche da vent’anni, ma è dubbio che queste indeboliscano davvero i militari, mentre è certo che facciano soffrire ancora di più la popolazione, tra le più povere del mondo. L’ultima volta che Aung partecipò a una competizione elettorale – 1990 – prese l’82 per cento dei voti. Fu allora che i generali decisero di rinchiuderla, annullando le elezioni.
Irlanda Mentre scriviamo, le Borse stanno andando giù, secondo una tendenza in atto ormai da parecchi giorni. C’è innanzi tutto il problema dell’Irlanda, paese finito in recessione, col 13.7% di disoccupati, il deficit al 32% (in base ai parametri di Maastricht dovrebbe essere al 3…), lo spread sui Bund tedeschi oltre quota 600 e il sistema bancario fallito e nazionalizzato (50 miliardi di esposizione). Il mondo è convinto che Dublino non sarà in grado di far fronte alle sue scadenze e, prima che si crei un altro caso Grecia, la Merkel e la Ue insistono perché l’Irlanda accetti un aiuto di un’ottantina di miliardi. L’Irlanda, per il momento, non vuole, sostenendo – si suppone per ragioni politiche – che ce la farà benissimo da sola. Gli 80 miliardi sarebbero prelevati dal fondo di 750 miliardi predisposto a suo tempo da Unione europea e Fondo monetario proprio per soccorrere i paesi in difficoltà. Come al solito le tensioni sul rischio-Irlanda hanno messo in fibrillazione gli altri paesi deboli dell’area euro. In particolare il ministro degli Esteri portoghese ha avvertito i partner europei che, se non si creerà un’ampia coalizione di governo in grado di far fronte alla crisi, il Paese potrebbe essere costretto a uscire dall’area euro. Altro fronte di battaglia è quello delle valute: Ben Bernanke, il governatore della Federal Reserve (la banca centrale Usa), ha deciso di immettere sul mercato cartamoneta per 600 miliardi di dollari, provvedimento che abbasserà il valore del dollaro e innalzerà quello dell’euro. Obiettivi: incoraggiare le esportazioni americane, svalutare il debito Usa. Mugugni cinesi.