29 novembre 2010
ALL’OPERA, PER VOCEARANCIO "Che cosa c’è di più bello di un’Opera che si chiude con un rogo? Il finale della Valchiria fa scender qualche lagrima anche al centesimo ascolto" (il critico Paolo Isotta)
ALL’OPERA, PER VOCEARANCIO "Che cosa c’è di più bello di un’Opera che si chiude con un rogo? Il finale della Valchiria fa scender qualche lagrima anche al centesimo ascolto" (il critico Paolo Isotta). Il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, con "Die Walküre" di Wagner, direttore Daniel Barenboim, apre la stagione del Teatro alla Scala di Milano. Regista è il belga Guy Cassiers. Sul palco le migliori voci wagneriane del momento: Nina Stemme (Brünnhilde), Waltraud Meier (Sieglinde), Vitalij Kowaljow (Wotan), Ekaterina Gubanova (Fricka). La Stemme è al debutto scaligero, così come Simon O’Neill (Siegmund) e John Tomlinson (Hunding). «Cast perfetto» ha detto Barenboim. "Die Walküre", cioè "La Valchiria", è la seconda giornata della tetralogia wagneriana dell’Anello del Nibelungo, che inizia con "L’oro del Reno" (messo in scena alla Scala, sempre da Barenboim, a maggio) e segue con "Sigfrido" per concludersi con "Il crepuscolo degli dei". L’opera sarà trasmessa in diretta su Rai 5 e sarà proiettata nei cinema di mezzo mondo. A Milano la si potrà guardare anche nel grande schermo piazzato nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele. Si dice che le signore non siano tanto contente della scelta di Barenboim. Qualcuna l’ha detto apertamente. Carla Braccialiani, stilista di borse e accessori: "Non riesco a capire questa scelta. Con tutte le opere che abbiamo e che, magari, non si sentono da anni. Non sappiamo valorizzare le cose belle di casa nostra". La Braccialini andrà alla Scala con Marta Marzotto. La più competente Daniela Javarone, presidente dell’Associazione Amici della Lirica: "Avrei preferito un’opera italiana o meno lunga per l’apertura". I maligni dicono che lo scontento deriva solo dal fatto che "Die Walküre" dura cinque ore: il sipario si alzerà alle 17 e si riabbassa definitivamente alla fine del terzo atto che arriverà dopo le 22. Alberto Mattioli, critico della Stampa: "Gran preoccupazione delle care salme del turno lusso obbligate, per farsi vedere, a vedere cinque ore di Wagner in tedesco: roba da esplosione del botox". Barenboim: "Vedete, Wagner non è complicato, è solo complesso. Perché mette insieme in maniera complessa elementi che sono semplici e semplici restano. Avesse fatto il macellaio, sarebbe stato il re dell’hamburger". Tra gli illustri presenti abituali per la prima della Scala: il presidente della Repubblica (Napolitano ci va spesso) e/o il presidente del Consiglio (Berlusconi ci andò solo una volta, da premier), il sindaco di Milano (sempre presente). Poi tutto il resto della crème cittadina e nazionale. Molti "presenzialisti". Ci sarà anche Valeria Marini, sempre presente negli ultimi anni. Sicura anche la presenza dei tradizionali contestatori. Per tre secoli il teatro d’opera era il centro della vita sociale delle città italiane. In teatro si faceva il debutto in società, in teatro si conosceva la gente che conta, in teatro ci si sceglieva la moglie. Ogni classe sociale aveva il suo posto: la nobiltà nei palchi, la borghesia in platea e il popolo in loggione. La tradizione sociale della prima ha resistito alla fine del ruolo sociale del teatro d’opera. La prima è una tradizione molto italiana, anche perché all’estero i teatri praticamente non chiudono mai. Un tempo le prime avevano come data tradizionale il 26 dicembre, inaugurazione della stagione «di Carnevale» per tutti i teatri italiani. L’uso di inaugurare la stagione della Scala il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio patrono di Milano, risale al 1951, per volontà di Victor De Sabata, che in quel giorno diresse I Vespri siciliani con Maria Callas. Si dice che le "sciure" siano deluse anche perché non ci sarà la tradizionale cena di gala. Fino al 2008 la Moratti faceva il cortile di Palazzo Marino creando un’atmosfera idealmente in linea con la coreografia dell’opera in scena. L’ultima cena di gala della scala, con 850 ospiti, costò 350 mila euro. Soldi privati, nel senso che ce li aveva messi un gruppo di aziende sponsor. Quest’anno invece ci sarà un più semplice cocktail preparato dagli chef del "Caffè la Scala". Chi non ha voglia di mangiare in piedi sta già prenotando altrove. I calcoli dicono che "Die Walküre" incasserà 2,3 milioni di euro nella prima serata. Con le repliche si arriverà a quasi 4 milioni. Ma la prima dovrebbe fare del bene anche a Milano. Nel 2008 la Camera di commercio ha calcolato che porta un giro d’affari di 750 mila euro. Tra trucco e parrucco, gioielli e gemelli, scarpe e cappelli, accessori e pochette: l’impatto economico è oltre il doppio rispetto a una rappresentazione normale. Le imprese legate all’"effetto Scala" sono, solo in centro, circa 500: a queste, l’intera stagione porta 13 milioni di euro. Il biglietto più economico, per la prima, costa 120 euro ed è per un posticino nelle terze file dei loggioni. Per andare nelle file più avanti, sempre in piccionaia, servono dai 240 ai 420 euro. Per entrare in un palco bisogna comprare un biglietto da almeno 600 euro, sempre se ci si accontenta di un posto in seconda fila in un palco molto laterale. Per i palchi migliora il prezzo schizza sopra i 1.500 euro, fino a un massimo di 2.400. E con 3000 euro si può anche scendere in platea. Comunque i posti liberi sono già quasi esauriti. Chi va alla prima paga tutta la mondanità dell’evento. Per godersi l’opera non bisogna sempre pagare tanto. "Die Walküre", ad esempio, sarà ripetuto altre cinque volte (fino al 2 gennaio) a prezzi più ragionevoli. Per un posto in galleria si spendono dai 26 ai 92 euro, per i palchi si va da 72 a 224. Duecentoventiquattro euro è anche il prezzo di un biglietto in platea. Il 4 dicembre, poi, ci sarà la prima per gli "under 30": i biglietti per la Valchiria di Barenboim destinati ai giovani costavano (sono già esauriti) solo 10 euro. Anche in altri teatri, che non saranno la Scala ma hanno comunque il loro grande prestigio, i biglietti non sono a prezzi popolari, ma quasi. Al San Carlo di Napoli un posto in platea si paga dai 30 ai 50 euro, la balconata va dai 25 ai 40; al Regio di Torino il biglietto più costoso per la prima si fermava a 300 euro, mentre per il resto dalla stagione si spendono dai 28 ai 146 euro; al Massimo di Palermo si va dai 10 ai 100 euro. I migliori posti alle prime si pagano 125 euro. Secondo i calcoli dell’Ufficio studi della Camera di commercio di Monza e Brianza il valore del marchio “La Scala” è stimato in più di 27 miliardi di Euro da uno studio. Più di Nokia (23 miliardi) e McDonald’s (21,3 miliardi) ma meno di Coca Cola (45 miliardi) o Ibm (40 miliardi). Con la Prima la Scala rientrerà sicuramente dai costi dell’organizzazione. Il manager di un grande teatro italiano, che preferisce rimanere anonimo, ci spiega che un’opera, con 5 o 6 rappresentazioni, costa in media un milione mezzo di euro. Un terzo serve a pagare l’orchestra, composta di un numero di elementi che può variare dalle 50 alle 100 unità; altri 500 mila euro vanno nei compensi al cast dei cantanti, al direttore, il regista, lo scenografo; e l’ultimo terzo serve per le spese tecniche e amministrative. L’economista Giuseppe Pennisi aggiunge: "In media mettere in scena uno spettacolo nelle fondazioni italiane costa il 150% rispetto a un altro paese Ue. Una volta Zubin Mehta mi ha raccontato che a Vienna o New York gli davano 5 mila euro, poi veniva a Firenze e gliene offrivano 15 mila". Perché? "Qui c’è un sistema di agenti molto bravi e molto potenti. Bisognerebbe fare qualcosa per ridimensionarli". Pennisi spiega anche che ci sarebbe un modo di ridurre le spese rapidamente. Per prima cosa bisognerebbe fare un "cartellone nazionale" per evitare sovrapposizioni tra un teatro e l’altro, con la stessa opera che a volte è allestita in simultanea in due posti diversi. E poi servirebbero drastici tagli sui corpi di ballo " che costano tantissimo e fanno solo due spettacoli all’anno. Dovrebbero lasciarne solo due: uno a Roma e uno a Milano". Il manager anonimo conferma. Ma nell’Italia dei 100 campanili, per i teatri e per il pubblico "il cartellone nazionale è una blasfemia". Sugli stipendi non si sbilancia, ma "i direttori più importanti prendono attorno ai 20 mila euro. Certo, ci sono anche le "superstar" che vanno a prendere di più". Ci sono margini di risparmio? "Dipende. Intanto ogni città vuole il suo teatro con il suo programma. Se si vuole questa soluzione tutto ciò ha un prezzo. Poi dobbiamo chiarire una cosa: l’opera è una produzione artistica che nasce nel ’700 e che prevede molto lavoro manuale. Senza quel lavoro non puoi fare l’opera. Per questo i margini di risparmio sono comunque limitati". Certo, su alcune cose si potrebbe tagliare. "I dipendenti vivono in un sistema completamente garantito dallo Stato, e molti, storicamente, ne hanno approfittato. Ci sono integrativi che sono retaggi borbonici. Un esempio: in un teatro fino a qualche anno fa era prevista l’indennità ginocchio, perché c’erano opera che prevedevano che il coro, in alcune scene, dovesse rimanere in ginocchio. La lirica in Italia vive soprattutto di soldi pubblici. Quasi la metà del Fondo unico per lo spettacolo va a finire nelle 14 Fondazioni lirico-sinfoniche. Nel 2009 hanno incassato, tutte assieme, 240,3 milioni di euro dallo Stato. La Scala, la più finanziata, ne ha avuti 33 milioni, Cagliari, il teatro che ha preso meno, ha avuto 10 milioni di euro. Ai soldi pubblici si sommano, tra le entrate, gli incassi al botteghino che valgono, in media, il 20% delle entrate di un teatro d’opera. Con le dovute eccezioni: la Scala incassa con i biglietti il 34% delle sue entrate, Palermo non arriva al 7%. La vendita dei biglietti dei teatri d’opera ha generato un incasso complessivo di 114 milioni di euro nel 2009. Gli spettatori, in calo costante, sono stati nel 2008 circa 1,5 milioni nella stagione invernale, cui si aggiungono circa 800.000 ingressi alle manifestazioni estive (Arena di Verona e Terme di Caracalla). I soldi dello Stato, più quelli dei biglietti, spesso non bastano comunque a coprire le spese dei teatri, che solo per il personale spendono tutti assieme 340 milioni di euro all’anno. In totale le 14 fondazioni hanno 5.700 dipendenti. Sempre la Scala, che fa lavorare 802 persone, nel 2008 ha pagato 63 milioni di euro di stipendi. In quanto fondazioni, i teatri possono essere finanziati anche dai privati, che danno soldi al comparto per un 5-10 per cento del totale dei finanziamenti. L’unica eccezione è rappresentata ancora dalla Scala (nel 2008, più di 15 milioni ricevuti dai privati). Comunque il risultato è che spesso le fondazioni chiudono i bilanci in rosso. Nel 2005 erano in perdita 8 fondazioni su 14. Nel 2010 dovrebbero finire l’anno in passivo tre teatri, 6 dovrebbero raggiungere il pareggio, 5 l’attivo. E non si sa cosa succederà l’anno prossimo, quando gli stanziamenti del Fus saranno dimezzati. C’è chi accusa le fondazioni italiane per la loro produttività "non frenetica". Pennisi: "Nel 2007 la Scala ha fatto 107 recite d’opera, Napoli 51, Genova, 56, Bologna 59... Allo Staatsoper di Vienna invece si canta praticamente ogni sera, 356 volte l’anno, all’Opera di Parigi 360. Là fanno teatro di repertorio, cioè si tiene lo stesso cast per tutte le opere in cartellone. Da noi si fa produzione a stagione: ogni opera in cartellone ha il suo cast. E questa soluzione è molto più costosa anche se offre generalmente migliore qualità artistica". Antonio Congnata, professore di Economia all’Università di Palermo e sovraintendente al Teatro Massimo. L’11 parile 2009 lo aspettava sotto casa un energumeno con il casco in testa che lo ha preso a pugni e calci. La sua "colpa" è stata quella di risistemare i conti del teatro licenziando chi non lavorava e fermando gli scioperi selvaggi. Alcuni dipendenti avevano mentito sul numero di parenti a carico per intascare migliori assegni famigliari. Tra il 2000 e il 2006 avevano provocato un danno al teatro per 1,2 milioni di euro.