29 novembre 2010
Tags : Gianluigi Gabetti
FRAMMENTO DEI FRAMMENTI CHE RISPONDONO ALLA VOCE "GABETTI, GIANLUIGI"
2010
Liquidazione di Gianluigi Gabetti, presidente Ifil (ora Exor) fino al 13/05/2008: 25 milioni di euro (Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 23/9/2010)
Il giudice di Torino ha stabilito che Gabetti, Grande Stevens e Maron non sono mai stati i gestori del patrimonio personale dell’Avvocato, né prima né dopo la sua morte avvenuta il 21 gennaio 2003. (Mario Gerevini, Corriere della Sera 18/03/2010)
2009
Margherita Agnelli ha fatto alla madre e ai gestori del patrimonio dell’Avvocato, signori Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron. Margherita sostiene che una parte dell’eredità le è stata scientemente nascosta. Aggiunge che questi beni personali del padre (pacchetti azionari di società non quotate, appartamenti, quadri eccetera) si trovano all’estero. (Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/08/2009)
La richiesta della figlia dell´Avvocato è di avere un preciso rendiconto dell´asse ereditario paterno. Grande Stevens e Gabetti hanno sempre dichiarato che esso è già stato reso a suo tempo. Margherita, invece, sostiene di aver ottenuto via via versioni diverse sull´ammontare dell´eredità. Adesso, con i suoi legali, ipotizza l´esistenza di un "tesoro" del padre celato in società offshore che potrebbe essere stato alimentato anche dagli esiti di un´Opa lanciata nel 1998 sulla finanziaria lussemburghese Exor Group e dalla quale avrebbero tratto vantaggio soprattutto i "soci anonimi" di quella società estera (per circa un miliardo e 400 milioni di euro). (Ettore Boffano e Paolo Griseri, la Repubblica 24/7/2009)
’’Con me mio padre parlava di famiglia, non di affari - ha detto a ’Panorama’ Margherita Agnelli - Quando gli feci delle domande legate al patrimonio, mi disse di rivolgermi al dottor Gabetti e all’avvocato Grande Stevens. Gia’ allora loro eludevano ogni tipo di spiegazione. Mio padre giudico’ ridicolo il loro comportamento, ma era confidente nel buon senso sia della famiglia sia degli amministratori’’. (dagospia 2009)
Eredità Agnelli – Prima udienza nel tribunale di Torino - LA TESI DELL’AVVOCATO DI GIANLUIGI GABETTI
afferma che nell’accordo di divisione del 2004, cui egli e’ rimasto totalmente estraneo, vi e’ una rinuncia di Margherita Agnelli ad ogni pretesa nei confronti di terzi e che tale rinuncia trova applicazione anche nei suoi confronti. Gabetti ribadisce di non essere stato amministratore, ma solo consulente di Gianni Agnelli e, quindi, di non essere tenuto al rendiconto di un patrimonio di cui non conosce la consistenza non avendo neanche partecipato alla sua divisione. (Dagospia, 09/04/2009)
Nel 2008 Gianluigi Gabetti ha avuto dall’exIfil (ora Exor) un «emolumento straordinario» di 5 milioni (ne ebbe un altro di 20 milioni nel 2005) e ha totalizzato 6,67 milioni di stipendio (Dagospia, 1/4/2009).
Stipendio di Gianluigi Gabetti, 85 anni, nel 2008: 6.672.000 euro (220.000 come consigliere Ifil; 492.000 fino al 13 maggio 2008 come presidente Ifil; 960.000 dal 13 maggio 2008 in poi come presidente onorario Ifil; 5.000.000 di emolumento straordinario Ifil) (varie, 2009)
2008
I vertici di Ifil e Exor nascosero la verità sull´equity swap che nel settembre del 2005 impedì alle banche creditrici di rilevare la quota di maggioranza relativa della Fiat. Per questa ragione i pm torinesi Marcello Maddalena a Giancarlo Avenati-Bassi hanno chiesto ieri il rinvio a giudizio dei vertici delle due società: Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone. (ttore Boffaro-Paolo Griseri, la Repubblica 12/10/2008)
2007
[...] Sempre nel bollettino Consob pubblicato ieri l’Authority ha deciso un’altra sanzione «illustre». E’ quella diretta al presidente del-l’Ifil Gianluigi Gabetti e al vicepresidente Tiberto Ruy Brandolini d’Adda. Una multa di 250 mila euro ciascuno per l’operazione «equity swap Exor» (una sanzione aggiuntiva per Gabetti). Riguarda la mancata notifica del superamento delle soglie rilevanti nel capitale dopo l’equity swap di Exor, chiamata in causa a titolo di responsabilità solidale. (G. Str., Corriere della Sera 31/8/2007)
La procura ha chiesto all’ufficio dei giudici per l’udienza preliminare il rinvio a giudizio di Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone per la vicenda Ifil-Exor. (La Stampa 29/07/2007)
Margherita Agnelli ha intentato un’azione legale contro Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron, da lei indicati come mandatari e gestori del patrimonio personale di suo padre Giovanni Agnelli. Margherita Agnelli chiede – spiega una nota dei suoi legali – ”un chiaro e completo rendiconto di tutti i beni che compongono l’asse ereditario e sono oggetto di successione”. (Mario Baudino, La Stampa 1/6/2007)
MILANO – «Gli uomini non seguono gli uomini. Gli uomini seguono il coraggio». Non è una frase doc, Sergio Marchionne cita semplicemente un film. Ma diventa definizione sua, fatta propria alla virgola, davanti al top management mondiale Fiat riunito a porte chiuse al Lingotto prima di Natale. Quando fa il punto su un turnaorund
di successo e dice (come ha poi fatto anche ieri): non è tutto merito mio, non è tutto merito nostro. «Oggi noi non saremmo qui, certamente non insieme e con tutta probabilità senza di me», se non fosse per gli azionisti e se non fosse lui. «Gianluigi Gabetti». Il «miglior esempio», insiste Marchionne, di «quel concetto di coraggio». E non ha alcun timore di andare al cuore della questione, l’amministratore delegato del «miracolo italiano» (parole di Giuliano Amato). La vicenda equity swap, le indagini sulle informazioni alla Borsa, il verdetto cui la Consob sta lavorando da quasi un anno sono ben presenti ma ancora solo sullo sfondo, in quei giorni di dicembre. Però lo ripete chiaro fin da allora, Marchionne. «Gianluigi non si è mai tirato indietro davanti alle avversità. Neanche quando qualcuno ha provato a mettere in discussione la bontà delle sue azioni». Con l’operazione swap, certo, comunicata male (o peggio: addirittura «falsamente», per la Commissione) al mercato e che per questa ragione oggi costa il colpo di scure: «Ma a prescindere dalle questioni tecniche, la verità è che la scelta è stata corretta, equa e onesta. E ha permesso di evitare la fine della Fiat».
Gabetti, in quanto presidente il più «sanzionato» dalla sentenza di ieri, in fondo è tutto qui. Poche parole per un ritratto che va oltre l’omaggio di un uomo – Marchionne – legato al numero uno Ifil da vera stima e non scontata amicizia. Poche parole sentite che riassumono quel che molti, a Torino e nei circuiti della grande finanza anche internazionale, pensano di quell’ottantaduenne signore dai capelli bianchi che si divertiva tranquillamente in pensione tra Italia, Svizzera e Stati Uniti e un giorno, inverno 2003, «richiamato in servizio» nell’emergenza seguita alla morte dell’Avvocato e al passaggio di Umberto Agnelli al Lingotto, «per spirito di servizio» rispose «va bene, lo faccio».
Non fu una risposta immediata, per la verità. Alzò il sopracciglio, alla richiesta di Umberto: «Dottore, ho ottant’anni». «Sarà per un anno e basta». E invece. Stava per scadere, l’anno. E anche Umberto si ammalò. Morì in pochi mesi. In un drammatico weekend di maggio 2004, mentre si celebrava il funerale, la Fiat riprecipitò nel caos e rischiò più del suo secondo annus horribilis:
senza il presidente, con un amministratore delegato (Giuseppe Morchio) che pretendeva i pieni poteri e non avendoli ottenuti sbattè la porta, rischiò il definitivo conto alla rovescia verso la fine tout court.
Gabetti, lì, a salvare una prima volta il Lingotto. Convoca d’urgenza l’assemblea di una famiglia che, senza più i patriarchi e con John Elkann ancora troppo giovane per la leadership conquistata nel frattempo sul campo, appare allo sbando. Lo compatta, il clan. Soprattutto: estrae dal cilindro due nomi. Luca Cordero di Montezemolo presidente. Sergio Marchionne amministratore delegato.
Non lo conosceva quasi nessuno – analisti internazionali a parte – il manager italo-canadese. Ma si fidano, in famiglia, di Gabetti. Il «lord protettore». L’uomo che aveva iniziato a lavorare giovanissimo in Comit, poi era passato in Olivetti e dal mitico Adriano fu inviato negli Usa, poi andò a un appuntamento con Giovanni Agnelli al Moma di New York e lì, 1971, davanti ai quadri di « Four american in Paris
», iniziò il sodalizio professionale e umano con l’Avvocato e con gli Agnelli. Senza mai ambire al trono. Sempre un passo dietro, e defilato. E anche per questo, oltre ovviamente per doti professionali che lo hanno visto in prima fila in tutti gli affari importanti di oltre trent’anni nel gruppo, lealissimo consigliere-principe dell’intera dinastia.
Lui sabaudamente lo chiama – ed è, se tutti glielo riconoscono- spirito di servizio. Per cui, con tutto ciò, è ovvio che gli Agnelli si affidino e chiedano ancora a lui il sacrificio di restare, quando il dramma è all’apice. Di fare da traghettatore, di «allenare» – e da plenipotenziario – Elkann e gli altri giovani di casa a un futuro nel segno della continuità. Così sì, rimane.
La sua scelta, Montezemolo e soprattutto lo sconosciuto Marchionne, si rivela vincente al di là delle aspettative (dello stesso Gabetti: «Risultati così no, non me li aspettavo. Almeno non così in fretta»). Tanto «al di là» che a un certo punto, mentre lui sta comunque preparando tutte le deleghe per lasciare a Elkann e agli altri, sente puzza di scalata ostile. Il titolo Fiat precipita sotto il nominale (e non si capisce perché: Marchionne ha appena incassato un ricco assegno da Gm, i conti e le vendite di auto migliorano costantemente). Quasi in contemporanea, una merchant bank presenta agli istituti del convertendo un’offerta per rilevare il prestito. Un pacchetto che si trasformerà nel 27% del capitale. Mentre l’Ifil scenderà al 22%.
E non è tutto lì. Nuovi azionisti, nuovo management, si dice. Il che fa raddoppiare l’allarme in corso Matteotti. Dove si incominciano a studiare le barriere difensive e quelle contromisure di blindatura che culmineranno, a settembre 2005, nella chiusura dell’equity
swap. Chiusura per la quale la Consob ha «definitivamente accertato» le «false comunicazioni» al mercato. Che anche a Gabetti sono costate la sospensione: la cosa che gli pesa di più, l’unica forse che bruci davvero, e non per la «poltrona» (che non aveva voluto) ma perché mette in dubbio il patrimonio di correttezza, etica, «onorabilità» costruiti in sessant’anni di lavoro. E lui, magari, arriva anche a scherzarci sopra: «Mai perdere il sense of humor ». Però è chiaro che questa volta pure l’autoironia è amara. Persino quando, com’è accaduto ieri (o sabato, tra la folla del Mirafiori Motor Village, e ancora non si sapeva del verdetto), tutti proprio tutti gli dicono: «Presidente, ma guardi cos’è la Fiat oggi: senza di lei non saremmo qui». Risponde low profile, solito: «Non è così». Però, alla fine, il sorriso c’è. il Gabetti di sempre. Che farà tutto quel che c’è da fare (Raffaella Polato, Corriere della Sera, 14/2/2007.
2006
L’Unità ha stilato la classifica dei 50 top manager più pagati d’Italia nel 2005. Al primo posto c’è Gianluigi Gabetti, numero uno della finanziaria Ifil che controlla la Fiat. L’ottantenne manager ha ricevuto un premio fedeltà per il mancato pensionamento di 15 milioni di euro che sommato al suo compenso annuale lo ha portato a incassare 22 milioni (Roberto Rossi, l’Unità 26/9/2006).