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 2010  novembre 27 Sabato calendario

GAZZONI E IL BOLOGNA «SE TORNASSI ADESSO DOVREBBERO INTERDIRMI» —

Sono tornati i giorni bui per il Bologna: il presidente Sergio Porcedda al momento non ha pagato né la quota legata al pacchetto azionario, né gli stipendi ai giocatori. E adesso incombe la penalizzazione in classifica, un brutto colpo per una squadra già in lotta per salvarsi. Giuseppe Gazzoni Frascara è stato il presidente del Bologna dal ’93 al 2005. L’aveva preso, con altri soci, in serie C dal fallimento, per portarlo fino alla semifinale di Coppa Uefa con il Marsiglia. La retrocessione in B dell’estate 2005 resta uno dei capitoli ancora aperti, legati a Calciopoli e al processo di Napoli. Per ora ha sistemato le vicende societarie che riguardavano la «Victoria» e sono tornati alla finanziaria di famiglia tutti i diritti risarcitori. Il tribunale di Bologna ha valutato la retrocessione nell’ordine dei 32 milioni di euro (più interessi).
Dottor Gazzoni, è vero che vuole riacquistare il Bologna?
«Non ci penso nemmeno. Se lo facessi, mi dovrebbero interdire. Non ho più i mezzi economici, la voglia e nemmeno il tempo, che impiego in maniera diversa, perché, adesso che mi sono rialzato, con la chiusura della mia vicenda societaria, devo seguire tutta la questione del risarcimento per la retrocessione del 2005. Con me ci sono anche Brescia e Atalanta. La questione è legata all’esito del processo d’appello di Napoli, dopo la condanna in primo grado di Giraudo, Dondarini, Pieri e Lanese. Ho letto le motivazioni: 200 pagine, che spiegano molto di quanto accadeva in quel periodo. In più aspetto le sentenze legate al processo di primo grado che si sta svolgendo sempre a Napoli, con Moggi al centro della scena e a quello di Modena per la famosa fidejussione, che aveva consentito alla Reggina di iscriversi al campionato di A del 2005, in realtà senza averne i requisiti. Prima c’era stata l’iscrizione del Messina, con i termini che da «perentori» erano diventati ‘‘relativamente’’ perentori». Quanto tempo dovrà aspettare? «Non poco, perché i tempi della giustizia italiana restano lunghi. Ma ho 75 anni, mi sento ancora giovane e aspetto con fiducia, con la consapevolezza di aver ragione. Lo faccio anche per rispetto alla città di Bologna, che non meritava di vivere una storia del genere e di
una squadra che, come si diceva una volta, tremare il mondo fa».
Da Napoli sono emerse nuove intercettazioni per modificare il quadro accusatorio. Lei che ha seguito tutto, che cosa ne pensa?
«Che il Milan non c’entra e l’Inter ancora meno. La situazione è più semplice di quella che si vuole far credere: Luciano Moggi aveva in mano gli arbitri; il figlio Alessandro molti giocatori importanti. Tutto qui».
Lei è stato il presidente che ha sollevato la questione del doping amministrativo nel gennaio 2004. Pentito?
«No, perché a qualcosa la mia denuncia è servita. Adesso le scadenze devono essere onorate davvero e gli stipendi pagati ogni tre mesi, altrimenti scattano le penalizzazioni in punti, che fanno male. Ai miei tempi non era così».
Per questo si fa sempre più fatica a trovare imprenditori pronti ad entrare nel calcio?
«Io faccio l’esempio del Bologna, una realtà che conosco bene e che può essere estensibile ad altre realtà simili. Lo stadio di proprietà non basta ad un club. Il Comune dovrebbe dare una dote a chi prende il club: per esempio un’area edificabile, che possa essere venduta, in modo da arrivare ad un ricavo, da reinvestire per ottenere una quota destinata a finanziare l’attività del club. Tenere in pareggio una società come il Bologna significa immettere nelle casse della società 5/6 milioni all’anno a fondo perduto. Dopo tre o quattro anni, un imprenditore cerca di andarsene. Con una dote, ma senza possibilità di vendita separata, tutto sarebbe più semplice».
Nostalgia per i tempi in cui era il presidente del Bologna?
«È stato divertente. Il primo anno era stato un po’ in salita, perché eravamo tutti nuovi ed eravamo arrivati quinti; poi abbiamo cambiato: Tito Corsi mi aveva segnalato il nome di Oriali. Al primo incontro l’impressione era stata ottima. Veniva dalla Solbiatese e prese come allenatore Ulivieri. C’erano De Marchi, Doni, Nervo, Tarozzi. Oriali è stato un grande dirigente, serio, onesto, preciso. In due anni è arrivata la serie A. E a parte l’ultima stagione, quando è finita come sappiamo, non abbiamo mai rischiato la B. Anzi siamo andati in Europa, abbiamo vinto partite importanti, è venuto a giocare con noi Roberto Baggio; c’erano Marocchi, Andersson, un fenomeno e Cruz, un esempio per tutti. Ma ormai è il passato. Io guardo al futuro, perché i conti prima o poi dovranno tornare. La storia non è finita».
Fabio Monti