Alessandra Farkas, Corriere della Sera 27/11/2010, 27 novembre 2010
OBAMA «TRADITO» DAL BASKET. DODICI PUNTI A UN LABBRO —
L’incidente di gioco è avvenuto sul campo di Fort McNair, alle porte di Washington, dove Obama si era concesso una partita cinque contro cinque col braccio destro Reggie Love — ex asso del basket alla Duke University — e altri amici di famiglia, in città in occasione delle festività del Thanksgiving.
«Dopo essere stato colpito involontariamente dal gomito di un avversario, il presidente Barack Obama ha ricevuto dodici punti di sutura in anestesia locale all’unità medica della Casa Bianca», ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs spiegando che i dottori «hanno usato un filo più sottile del normale che ha aumentato il numero di punti ma ha reso la cicatrice meno visibile».
Una vecchia strategia quella della «sutura invisibile» che Obama, reduce da innumerevoli infortuni sul campo, ha già collaudato tante volte. Alcuni mesi fa, durante una trasferta in Afghanistan, era finito all’ospedale militare dopo essersi sfregiato durante una partita con un gruppo di soldati. Persino nel giorno della sua storica elezione, due anni fa, si era rifiutato di abbandonare il campo dopo essere stato messo KO da un colpo fortuito al petto vibratogli dall’amico Alexi Giannoulias.
«Il basket è la mia terapia — ha spiegato Obama in un’intervista — perché mi trasporta in un luogo in cui mi sento completamente a mio agio e rilassato». Prima di lui lo sport più quintessenzialmente nero d’America non era mai sbarcato alla Casa Bianca. Tutti i suoi predecessori, incluso George W. Bush gli preferivano il baseball oppure il football. Il primo a dare al basket l’imprimatur presidenziale (ma come spettatore avvezzo alle tribune dei Vip, non come giocatore) è stato Bill Clinton, anche per questo ribattezzato «il primo vero presidente nero d’America» dal Premio Nobel Toni Morrison. L’estate scorsa, quando Michelle e le figlie erano in vacanza, Obama ha invitato il «who’s who» del basket per una amichevole a porte chiuse nel campo della Casa Bianca. Nessun giornalista è mai riuscito a saperne di più.
Nella sua autobiografia «I sogni di mio padre» (edita in Italia da Nutrimenti) Obama definisce il basket «lo sport che mi ha aiutato a plasmare la mia identità». Una storia d’amore iniziata quando era all’asilo e proseguita nei campi della Harvard Law School.
Gli psicologi attribuiscono da sempre un’origine «freudiana» a questa sua passione. Il basket, spiegano, è l’anello mancante che da sempre lo ricongiunge al padre che non ha mai avuto. Barack Hussein Obama Senior lasciò l’America quando il piccolo Barack aveva solo due anni e quando vi tornò, otto anni più tardi per una breve visita natalizia, gli portò una palla arancione come regalo.
«Il dono mi colpì tantissimo perché era la prima volta che incontravo mio padre», ricorderà più tardi il presidente. Alla Punahou High School che frequentò in Indonesia era così bravo che lo soprannominarono «Obomber» per il suo salto da supermolleggia-to. «Era il più bravo di tutti — racconta l’allora allenatore Chris McLachlin —. Pensavo che avrebbe intrapreso la carriera da professionista».
Persino la sua love story con Michelle fu decisa sul campo da gioco. Dopo essere uscita una dozzina di volt e c on Obama, la futura first lady chiese al fratello Craig Robinson, celebre allenatore di basket, di assegnare un voto allo stile di gioco dell’allora fidanzato nella convinzione, condivisa da moltissimi americani, che il vero carattere di un individuo si vede soprattutto sul campo di gioco.
«Mio fratello mi disse che Barack giocava in maniera altruista e sicura di sé», ricorda la first lady che solo allora decise di dargli un’altra chance. Il resto è storia.
Alessandra Farkas