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 2010  novembre 27 Sabato calendario

FINMECCANICA

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E IL SUPERMANAGER SI SFOGO’: CHE CERCANO? - I verbali del Consiglio dei ministri non potranno raccontare la pagina di spy-story scritta ieri a Palazzo Chigi. Perché Gianni Letta aveva già scampanellato, ponendo fine alla riunione del governo, quando Frattini ha preso la parola, e incrociando l’affaire Finmeccanica con il caso Wikileaks che ha dato corpo ai sospetti del premier, sostanziando la tesi di «una strategia tesa a colpire l’Italia». L’idea di un complotto internazionale, con tanto di barbe finte e di cancellerie straniere all’opera, appariva già in serata un romanzo abbandonato alle prime pagine di stesura. Ma i danni che le due vicende potrebbero provocare, colpendo la politica e il settore industriale italiano, sono evidenti. «Dietro magari non ci sarà una regia o un grande vecchio — spiega Frattini — però un disegno c’è».
Il titolare della Farnesina ne resta convinto, così si era espresso anche ieri mattina davanti ai colleghi di governo, quando aveva accennato all’inchiesta giudiziaria che rischia di colpire Finmeccanica, «azienda di interesse strategico che vanta successi in campo mondiale». Alle obiezioni di quanti gli facevano notare come fosse la magistratura italiana a indagare, il ministro degli Esteri ha replicato che «proprio per i suoi successi Finmeccanica si è fatta molti nemici. Parlo di concorrenti stranieri che a loro volta hanno legami con altri governi, e che potrebbero aver messo in circolazione dei dossier».
Non è chiaro fino a che punto una presunta storia di mazzette possa essersi trasformata in un complotto internazionale, «ma non c’è dubbio che qualcosa si sta muovendo contro l’Italia», dice il titolare delle Infrastrutture, Matteoli. Sarà perché conosce bene il numero uno di Finmeccanica, Guarguaglini, con il quale «siamo cresciuti insieme»: «Da ragazzi abitavamo a cento metri di distanza l’uno dall’altro, e ho seguito la sua carriera di manager. È ovvio che la giustizia debba fare il suo corso, ma sono certo della sua rettitudine».
Ancora ieri mattina i due hanno avuto modo di parlarsi e «Piero» ha confidato ad «Altero» il proprio stato d’animo, dopo il coinvolgimento della moglie nell’inchiesta: «Sono amareggiato per le vicissitudini in famiglia e per i danni alla società», che in effetti negli ultimi giorni ha subito un pesante calo in Borsa. Guarguaglini veniva da una nottata insonne, «sono venuti a perquisire casa», ha raccontato: «Cercavano delle fatture. E che mi porto delle fatture a casa, io?».
Attorno a lui il governo ha costruito una rete di protezione: Gianni Letta si è schierato in sua difesa e Tremonti — nella veste di «azionista» — ha preso tempo, perché in questi casi è necessario muoversi «con prudenza», sebbene durante il Consiglio nessuno abbia sentito il ministro dell’Economia partecipare alla tesi del disegno ostile. Il premier semmai è parso volerla accreditare, quando in conferenza stampa non solo ha definito «suicida» l’azione giudiziaria contro «un asset straordi-
nario come Finmeccanica», ma ha aggiunto — e non sarà stato un caso — che «l’ultimo contratto è stato firmato con la Russia...».
Così Berlusconi ha contribuito a scrivere l’incipit di una spy-story che — secondo continue voci di Palazzo — lo vedrebbe nel mirino di Washington per via dei suoi rapporti con Putin e Medvedev. La Russa si è affrettato a sbianchettare subito questa tesi, «per quanto mi risulta le relazioni con gli Stati Uniti non potrebbero essere migliori. Al vertice di Lisbona — ha ricordato il ministro della Difesa — Obama ha citato espressamente solo Canada e Italia per ringraziarli del loro impegno in Afghanistan. Avrebbe potuto farne a meno».
Ma il caso Wikileaks ha aperto una grave falla nel sistema americano, il timore che il sito possa rendere pubblici i rapporti riservati delle ambasciate statunitensi sta destando allarme sulle due sponde dell’Atlantico. Il dipartimento di Stato e la Farnesina hanno già deciso che non commenteranno le decine, se non centinaia di migliaia di pagine che potrebbero venire divulgate. Ma sarà solo un modo per cercare di attutire il botto.
Perché i report trasmessi dai diplomatici americani di stanza a Roma all’italian-desk sono «documenti classificati» che vanno dall’analisi sulla situazione politica locale a notizie riservate sulla vita privata dei leader, dalle informative sulle relazioni dell’Italia con altri Paesi (comprese Russia e Montenegro) alle operazioni in zone di guerra per liberare ostaggi, fino ai resoconti di colloqui privati con uomini di governo, politici, grand commis, imprenditori...
«Ci sarà la corsa a vedere chi c’è e chi non c’è nell’elenco», ha sorriso ieri Tremonti durante il Consiglio dei ministri: «E chi non c’è la prenderà a male, perché vorrà dire che non conta nulla». Tremonti c’è, ma lui non è preoccupato. Altri invece... L’idea di un complotto internazionale, con tanto di barbe finte e di cancellerie straniere all’opera, appariva già in serata un romanzo abbandonato alle prime pagine di stesura. Ma i danni che le due vicende potrebbero provocare, colpendo la politica e il settore industriale italiano, sono evidenti. «Dietro magari non ci sarà una regia o un grande vecchio — spiega Frattini — però un disegno c’è».
Il titolare della Farnesina ne resta convinto, così si era espresso anche ieri mattina davanti ai colleghi di governo, quando aveva accennato all’inchiesta giudiziaria che rischia di colpire Finmeccanica, «azienda di interesse strategico che vanta successi in campo mondiale». Alle obiezioni di quanti gli facevano notare come fosse la magistratura italiana a indagare, il ministro degli Esteri ha replicato che «proprio per i suoi successi Finmeccanica si è fatta molti nemici. Parlo di concorrenti stranieri che a loro volta hanno legami con altri governi, e che potrebbero aver messo in circolazione dei dossier».
Non è chiaro fino a che punto una presunta storia di mazzette possa essersi trasformata in un complotto internazionale, «ma non c’è dubbio che qualcosa si sta muovendo contro l’Italia», dice il titolare delle Infrastrutture, Matteoli. Sarà perché conosce bene il numero uno di Finmeccanica, Guarguaglini, con il quale «siamo cresciuti insieme»: «Da ragazzi abitavamo a cento metri di distanza l’uno dall’altro, e ho seguito la sua carriera di manager. È ovvio che la giustizia debba fare il suo corso, ma sono certo della sua rettitudine».
Ancora ieri mattina i due hanno avuto modo di parlarsi e «Piero» ha confidato ad «Altero» il proprio stato d’animo, dopo il coinvolgimento della moglie nell’inchiesta: «Sono amareggiato per le vicissitudini in famiglia e per i danni alla società», che in effetti negli ultimi giorni ha subito un pesante calo in Borsa. Guarguaglini veniva da una nottata insonne, «sono venuti a perquisire casa», ha raccontato: «Cercavano delle fatture. E che mi porto delle fatture a casa, io?».
Attorno a lui il governo ha costruito una rete di protezione: Gianni Letta si è schierato in sua difesa e Tremonti — nella veste di «azionista» — ha preso tempo, perché in questi casi è necessario muoversi «con prudenza», sebbene durante il Consiglio nessuno abbia sentito il ministro dell’Economia partecipare alla tesi del disegno ostile. Il premier semmai è parso volerla accreditare, quando in conferenza stampa non solo ha definito «suicida» l’azione giudiziaria contro «un asset straordi-
nario come Finmeccanica», ma ha aggiunto — e non sarà stato un caso — che «l’ultimo contratto è stato firmato con la Russia...».
Così Berlusconi ha contribuito a scrivere l’incipit di una spy-story che — secondo continue voci di Palazzo — lo vedrebbe nel mirino di Washington per via dei suoi rapporti con Putin e Medvedev. La Russa si è affrettato a sbianchettare subito questa tesi, «per quanto mi risulta le relazioni con gli Stati Uniti non potrebbero essere migliori. Al vertice di Lisbona — ha ricordato il ministro della Difesa — Obama ha citato espressamente solo Canada e Italia per ringraziarli del loro impegno in Afghanistan. Avrebbe potuto farne a meno».
Ma il caso Wikileaks ha aperto una grave falla nel sistema americano, il timore che il sito possa rendere pubblici i rapporti riservati delle ambasciate statunitensi sta destando allarme sulle due sponde dell’Atlantico. Il dipartimento di Stato e la Farnesina hanno già deciso che non commenteranno le decine, se non centinaia di migliaia di pagine che potrebbero venire divulgate. Ma sarà solo un modo per cercare di attutire il botto.
Perché i report trasmessi dai diplomatici americani di stanza a Roma all’italian-desk sono «documenti classificati» che vanno dall’analisi sulla situazione politica locale a notizie riservate sulla vita privata dei leader, dalle informative sulle relazioni dell’Italia con altri Paesi (comprese Russia e Montenegro) alle operazioni in zone di guerra per liberare ostaggi, fino ai resoconti di colloqui privati con uomini di governo, politici, grand commis, imprenditori...
«Ci sarà la corsa a vedere chi c’è e chi non c’è nell’elenco», ha sorriso ieri Tremonti durante il Consiglio dei ministri: «E chi non c’è la prenderà a male, perché vorrà dire che non conta nulla». Tremonti c’è, ma lui non è preoccupato. Altri invece...
Francesco Verderami
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L’ACCUSA: «DIECI MILIONI DI FONDI NERI PER VERSARE MAZZETTE A POLITICI E MANAGER» — «Se le ditte volevano lavorare me dovevano paga’. E pure gli altri». È in questa frase pronunciata davanti ai magistrati da Lorenzo Cola, consulente di Finmeccanica, l’essenza del sistema messo in piedi per la spartizione degli appalti. E per l’accantonamento di fondi occulti che sarebbero serviti a versare tangenti a manager e politici. I provvedimenti eseguiti all’alba di ieri dalla Guardia di finanza e dai carabinieri del Ros svelano come siano state proprio le sue dichiarazioni e quelle del commercialista Marco Iannilli a rivelare il percorso dei soldi, le fatture per operazioni inesistenti, le commesse «gonfiate». Il meccanismo — così come è stato ricostruito nelle indagini — prevedeva che gli appalti di Enav venissero affidati alla Selex Sistemi Integrati, azienda controllata da Finmeccanica e amministrata dall’ingegner Marina Grossi, moglie del presidente della holding di Pier Francesco Guarguaglini. A sua volta Selex li girava a Techno Sky, che invece è controllata da Enav. Un doppio passaggio che, dice l’accusa, serviva appunto a far lievitare i costi e così avere una riserva finanziaria extrabilancio. Ma anche a spartirsi i subappalti che venivano affidati a imprese indicate dagli stessi alti f unzi onari . « Se - gnalazioni» che venivano poi lautamente ricompensate.
La contabilità della manager
Marina Grossi è accusata di «corruzione in relazione agli affidamenti dei lavori Enav poi conferiti alla Print System e alla Arc Trade», la società riconducibile a Iannilli, che «ha acquistato un sistema lidar doppler inserito nel programma italiano per il monitoraggio del Wind Shear gestito da Enav, per installarlo nell’aeroporto di Palermo». Ma all’amministratore di Selex vengono contestate anche violazioni fiscali. In particolare, così come scritto nel capo di imputazione «in accordo con Lorenzo Cola, con il condirettore generale Letizia Colucci e con il direttore responsabile Manlio Fiore, emetteva fatture relative a operazioni in tutto o in parte inesistenti per un valore non inferiore ai dieci milioni di euro nel 2009, al fine di consentire a Enav l’evasione delle imposte dirette e indirette; avvalendosi di fatture relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, indicava nelle dichiarazioni dei redditi presentate per conto di Selex in relazione agli anni 2008 e 2009, elementi passivi fittizi».
Agli investigatori è stato chiesto di sequestrare la documentazione relativa agli appalti proprio per verificare «l’assenza di gare nelle prassi di assegnazione dei lavori e delle opere, in violazione della legge del 2006». È stato Cola a parlarne, raccontando come durante alcuni consigli di amministrazione dell’Enav alcuni componenti abbiano chiesto di verbalizzare la propria opposizione. Una circostanza «confermata dalla presentazione spontanea di Guido Pugliesi», l’amministratore di Enav anche lui indagato per corruzione e violazioni fiscali.
I flussi finanziari verso l’estero
Oltre a Pugliesi, tra gli inquisiti c’è il presidente dell’Ente di assistenza al volo Luigi Martini che risponde soltanto di concorso nelle violazioni fiscali. Entrambi, «nelle dichiarazioni del 2009 indicavano elementi passivi fittizi, al fine di consentire l’evasione di imposte dirette e indirette di Enav». Proprio per questo motivo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Paolo Ielo e Rodolfo Sabelli hanno chiesto l’acquisizione «della documentazione extracontabile eventualmente rinvenibile presso gli uffici amministrativi idonea a evidenziare rapporti tra il personale Enav e personale delle società Print System e Arc Trade, ma anche le agende, le rubriche, i documenti informativi o cartacei per verificare l’esistenza e la natura di questi rapporti». Un accertamento che sarà effettuato esaminando pure «la registrazione degli ingressi a partire dal 1 settembre 2010 in Selex e in Enav». Controlli che serviranno da riscontro a quanto Cola ha raccontato circa le sue visite e quelle di altri manager negli uffici delle due aziende.
Il consulente ha parlato ampiamente del trasferimento di capitali e non a caso nel provvedimento di sequestro si dispone di acquisire «la documentazione che attesti l’esistenza di relazioni bancarie in Italia e all’estero su cui è possibile, in relazione agli indagati di corruzione, siano pervenuti flussi finanziari come corrispettivo degli atti contrari ai doveri d’ufficio». Linguaggio burocratico che in realtà si riferisce alle «mazzette» che i manager avrebbero ricevuto in cambio della concessione degli appalti.
I contanti per Borgogni
Proprio in questo quadro vengono inserite le quattro società «riferibili alle attività di Lorenzo Borgogni», il capo delle relazioni esterne di Finmeccanica, che si sono aggiudicate lavori. Si tratta della Renco Spa, la Simav — sistemi di manutenzione avanzati Spa, la Aicom, la Chorus Services e Architecture. Secondo i magistrati Borgogni avrebbe ottenuto circa 300 mila euro in contanti e altre utilità proprio per averle agevolate nell’aggiudicazione delle commesse. Ad assegnarle era la Selex e adesso dovranno essere analizzati i documenti relativi ad ogni gara proprio per quantificare l’accantonamento dei fondi extrabilancio.
Nel corso dei loro interrogatori prima Iannilli e poi Cola hanno affermato come il sistema per l’erogazione di soldi ai consulenti non prevedesse una percentuale fissa su ogni appalto, ma una sorta di pagamento periodi co che poteva avvenire ogni sei mesi o addirittura un anno. Una somma complessiva versata a titolo di ricompensa per aver indicato alle capofila le società alle quali affidare i subappalti. Una traccia di questi affari illeciti potrebbe essere contenuta in alcuni atti interni. Non a caso i pubblici ministeri hanno acquisito la documentazione relativa a «inchieste interne e audit in ordine alla regolarità dell’assegnazione dei lavori, nonché copia dell’organigramma e delle relative modifiche dei dirigenti di Enav e Selex negli ultimi cinque anni, per la ricostruzione dei singoli procedimenti». Nello scorso luglio i vertici dell’Ente di assistenza al volo, al termine di un audit, decisero di sostituire il consiglio di amministrazione e il management di Techno Sky contestando «irregolarità gestionali e procedurali». L’analisi di queste carte potrebbe dunque fornire ulteriori elementi per comprendere i ruoli avuti dai manager ed eventuali altri illeciti commessi da chi è stato poi costretto a lasciare le aziende.
Fiorenza Sarzanini
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GLI AFFARI D’ORO E LE ALLEANZE DEL COLOSSO DELLA DIFESA — Poche cose spiegano la Finmeccanica meglio del suo Consiglio di amministrazione. Dove siede un politico della maggioranza in servizio permanente effettivo, cioè il presidente leghista della Provincia di Varese (sede di un’azienda del gruppo come l’Aermacchi) Dario Galli. Un politico della prima Repubblica come l’ex luogotenente della Dc forlaniana in Emilia, Franco Bonferroni, amico di Silvio Berlusconi e introdottissimo negli ambienti cattolici. L’ammiraglio Guido Venturoni, ex capo di Stato maggiore della Difesa. L’ex ambasciatore negli Usa Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico del premier. E Riccardo Varaldo, presidente della scuola Sant’Anna, dove hanno studiato sia il capo della Finmeccanica, sia Giuliano Amato, Sabino Cassese, Antonio Maccanico...
Fra tutte le nostre società quotate in Borsa è la più complicata da gestire. Non soltanto perché l’azionista di riferimento, con il 32,4%, è il governo. Ma perché le commesse dipendono dai militari, le alleanze internazionali dai rapporti diplomatici, e tutto il resto dalla politica. Mondi nei quali l’attuale presidente Pier Francesco Guarguaglini si trova perfettamente e simultaneamente a suo agio. Toscano di Castagneto Carducci e juventino sfegatato, sbarca al vertice della Finmeccanica praticamente da pensionato: nel 2003 ha già 66 anni. Ma è un predestinato. Per anni ha mangiato pane e armi, è amico di George Bush padre e ha relazioni politiche a 360 gradi. Lo nomina il governo Berlusconi al posto di Giuseppe Bono, che tre anni prima è stato promosso dal governo Amato da direttore generale ad amministratore delegato. Ma deve farsi da parte e rassegnarsi a occupare la poltrona lasciata libera alla Fincantieri dallo stesso Guarguaglini, che arriva affiancato dall’ex capo di Fiat auto Roberto Testore appena silurato. Difficile dire se Bono l’abbia mai digerita. Anche perché se la Finmeccanica ha già allora una fisionomia precisa, quella di una holding dell’industria bellica, il merito è suo. Bono è un calabrese mingherlino che nel mondo delle imprese di Stato si muove come un pesce nell’acqua. Al crepuscolo della prima Repubblica orbita nell’area socialista e viene assunto come direttore generale dell’Efim. L’ente è un colabrodo, ma saldamente in mano al Psi con Gaetano Mancini, cugino del più noto leader storico del garofano in Calabria, Giacomo Mancini. A via del Corso si aspettano che il nuovo direttore esegua alla lettera gli interessi di partito. Mai e poi mai che trami per smontare il giocattolo. Invece Bono, che è molto più sveglio di tutti loro, ha visto i conti e gli si sono rizzati i capelli. Per evitare il naufragio, è la sua idea, non c’è che una via: salire sulla nave della Finmeccanica di Fabiano Fabiani. Dc di sinistra, amico di Romano Prodi, quindi fra i nemici peggiori di Bettino Craxi. Pure i più craxiani dei craxiani, si devono tuttavia arrendere all’evidenza: per come sono messe le cose Bono ha ragione da vendere. Ma ha anche una fortuna sfacciata, perché subito dopo aver fatto l’accordo per trasferire a Fabiani le aziende belliche (come Oto Melara e Agusta) l’Efim viene giù come un castello di carte. E Bono passa armi e bagagli alla Finmeccanica, come direttore.
Per capire la portata dell’operazione bisogna calarsi nel clima di quegli anni. A metà anni Ottanta la Finmeccanica è una macedonia senza senso. Nel suo passato c’è un certo Camillo Crociani, condannato in contumacia per le tangenti Lockheed, fondatore della Vitrociset, monopolista del controllo del traffico aereo come fornitrice dell’Enav. Un filo rosso resistentissimo. Perché la Finmeccanica ne diventa poi azionista e rischia perfino di acquistarla in blocco. Ma alla fine la compra proprio l’Enav di Guido Pugliesi, pure lui manager del gruppo Iri, giunto al grado di direttore generale di Telecom Italia. Incidentalmente è anche cognato dell’ex potentissimo capo della Sip, Paolo Benzoni.
Nel calderone c’è di tutto: turbine, caldaie, treni, auto Alfa Romeo, moto Ducati, le ali degli aerei... Roba da impazzire. Presidente è Franco Viezzoli, mentre Fabiani è direttore generale. Un giornalista Rai, della nidiata di Ettore Bernabei. Dirige il telegiornale finché i politici chiedono la sua testa perché critica l’invasione americana del Vietnam. Così finisce prima alle Autostrade e poi alla Finmeccanica. E lì si rimbocca le maniche. Nel 1986 lui e Viezzoli vendono l’Alfa Romeo, che aveva polverizzato negli otto anni precedenti 1.484 miliardi di lire, alla Fiat. Un’operazione tuttora controversa, che non manca di scatenare polemiche sul prezzo: 1.024,6 miliardi, in cinque comode rate a partire dal 1993 e dopo una ricapitalizzazione di 408 miliardi pubblici.
Ma all’Iri c’è Romano Prodi e Fabiani è in una botte di ferro. Libero di quel fardello, può pensare agli altri problemi. All’epoca la Finmeccanica è una conglomerata troppo piccola e deve fare massa critica. Sarebbe un gioco da ragazzi, visto che il padrone di tutto è sempre lo Stato. L’Eni, per esempio, ha una società, il Nuovo Pignone, che fa turbine esattamente come l’Ansaldo. La Breda dell’Efim, invece, fa i vagoni, mentre l’Ansaldo fabbrica i motori dei treni. Ma quelle aziende sono centri di potere politico e il buon senso non fa breccia. Così l’accordo nei treni non si chiude e il Nuovo Pignone se lo prendono gli americani della General electric. Sfuma anche la grande alleanza internazionale che Fabiani aveva stretto con l’Asea Brown Boveri di Percy Barnevick nell’energia. I due vanno d’amore e d’accordo finché Barnevick decide di lanciare un’Opa su una società americana, la Combustion, senza dire niente a Fabiani. E il fidanzamento finisce in tribunale.
In compenso però, l’acquisizione delle imprese belliche va in porto, anche se il commissario liquidatore dell’Efim, Alberto Predieri, non molla volentieri. Il periodo non è facile. Prodi è fuori gioco. I socialisti premono per mettere Fabiani alle corde, ma più della presidenza della Finmeccanica non riescono a portare a casa. Ci va l’ex senatore Roberto Cassola, uno dei padri della legge Antitrust, competente. Ma dura poco più di un anno: non è un craxiano ortodosso. Intanto gli anni passano e la situazione della Finmeccanica si fa sempre più complicata. I debiti sono tanti, le privatizzazioni incombono. A Palazzo Chigi arriva Prodi, che la sera delle elezioni ha festeggiato la vittoria a casa di Fabiani. Ma quando il governo decide di farlo fuori non muove un dito. La verità è che il governo ha deciso di spacchettare il gruppo: tenere il settore difesa e vendere tutto il resto a pezzi. Direzione Germania, dove la Siemens, che ha già un accordo industriale con l’Ansaldo, è pronta.
Al posto di Fabiani mettono Alberto Lina, un caratteraccio. Infatti fa di testa sua. Certo, qualcosa vende. Il colpo più grosso, la cessione all’Abb dell’azienda americana leader mondiale dei sistemi di automazione, la Elsag Bailey: con lo strascico di un’inchiesta per insider trading. Ma la maggior parte del tempo la passa a sistemare e razionalizzare quello che c’è, insieme a Bono, nel frattempo salito al rango di amministratore delegato. Così quando Berlusconi decide di mandare via lui, perché è troppo amico della sinistra, e sostituire Bono, Guarguaglini si ritrova nelle mani un gruppo molto simile a quello di dieci anni prima. Solo una cosa è molto diversa: il suo stipendio. Nel 2009 è stato di 4,7 milioni. Più o meno venti volte quello di Fabiani.
Sergio Rizzo