Pierluigi Battista, Corriere della Sera 27/11/2010, 27 novembre 2010
LA SCALATA SBAGLIATA - I
deputati del Fli che salgono sui tetti assieme agli studenti in rivolta, non immaginano neanche quanto il loro gesto abbia rischiato di far drammaticamente scendere qualcos’altro: la credibilità di un nuovo partito che pure, alimentando molte speranze, si era presentato come l’alfiere del merito, della modernità europea, del riformismo liberale. E infatti, Fini si è giustamente premurato di rassicurare che Fli voterà sì alla riforma Gelmini.
I finiani avrebbero mille ragioni per marcare la loro differenza dall’immobilismo di un governo assopito da mesi nel «non fare» e nel tirare a campare. Da una maggioranza che vivacchia, assorbita dall’ossessione per le vicende personali del premier. Hanno invece scelto di inscenare la loro presenza determinante per le sorti del governo ostacolando una riforma di cui l’Italia ha necessità improrogabile. Non che la riforma dell’università del ministro Gelmini sia inattaccabile, migliorabile, inemendabile. Ma gli emendamenti devono servire a renderla più efficace, non a diventare pretesto e bandiera di manovrette dilatorie e di furbizie parlamentari. Il partito del «merito», come più volte è stato presentato dallo stesso Fini, non può esordire penalizzando una riforma che fa del recupero del merito il suo cardine, che svecchia e contesta il reclutamento baronale, i finanziamenti a pioggia, la scandalosa chiusura nei confronti dei talenti giovani, tutto ciò che rende umiliante il confronto tra l’università italiana e quella degli altri Paesi dell’Europa e dell’Occidente, mortifica la ricerca, premia la mediocrità e il livellamento verso il basso.
Non è sufficiente la riforma Gelmini? Certo che non lo è. Ma le proteste sui tetti e sui monumenti (a proposito: che ne è in questo caso della tutela e della sicurezza dei nostri beni culturali?) vanno fatalmente nella direzione opposta. Si tingono di conservatorismo, difesa dello status quo, fatalismo, rassegnazione nei confronti di qualunque riforma che abbia, appunto, il merito come sua base fondante. È un errore anteporre la guerriglia contro Berlusconi alle ragioni di contenuto che dovrebbero consigliare un atteggiamento non ostruzionistico nei confronti della riforma dell’università. Lo è anche quello della sinistra riformista che nel nome della guerra santa al governo e per non disperdere il consenso della piazza, smarrisce le stesse ragioni della propria identità culturale. Un applauso sui tetti, ma un’occasione mancata per l’alternativa riformista.
A Bastia Umbra Gianfranco Fini ha detto di voler accettare una sfida ambiziosa: quella di costruire una destra moderna, repubblicana, costituzionale e «deberlusconizzata», anziché l’ennesimo partitino destinato a campare sul potere di veto, sui giri di giostra parlamentare, sulle imboscate di corridoio, sulla filosofia deteriore dell’«ago della bilancia». Fa bene a convincere i suoi seguaci a far passare la riforma dell’università richiesta dalle componenti più innovative della società italiana. Con i miglioramenti dovuti, certo, ma con lo scopo di farla andare in porto e non di farla naufragare con metodi surrettizi. Si tratta del primo test del nuovo «Futuro e libertà». Poi c’è la legittima battaglia sul governo e con il premier, la lotta politica che culminerà con il voto del 14 dicembre. Ma senza giocare sulla pelle degli studenti, dell’università, della ricerca, del sapere, della cultura: il «partito del merito» non può permetterselo.
Pierluigi Battista