Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 27 Sabato calendario

ANTITRUST ITALIANO 20 ANNI MAL PORTATI

La legge antitrust italiana, compie 20 anni. Voluta "a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica", come recita il preambolo, per sottolineare il legame tra concorrenza e libertà economica. Allora, con una presenza pervasiva dello Stato nell´economia, imprese sottodimensionate, barriere ai movimenti internazionali di capitali e un mercato finanziario dominato da banche pubbliche, l´idea di antitrust come strumento per promuovere mercati e concorrenza attraverso la spinta "dal basso" di un´iniziativa economica più libera, era particolarmente lungimirante.
In retrospettiva, ha prevalso una visione ingegneristica di antitrust: norme e regolamenti usati per "plasmare dall´alto" la struttura dei mercati, e limitare l´influenza del potere economico, attraverso un controllo preventivo sulle concentrazioni. Un errore. Per tre ragioni.
La prima: si è enfatizzata la concorrenza sul mercato dei beni e servizi, non tenendo in sufficiente conto quella dei diritti di proprietà. Vero che la proprietà delle imprese che devono vendere i propri beni in forte concorrenza tra di loro, hanno meno incentivi e possibilità di sfruttare a proprio vantaggio il controllo. Ma vale anche il contrario: incroci e patti societari servono a limitare la concorrenza fra imprese nel mercato dei beni e servizi, specie quando gli interessi dei gruppi sono molto ramificati, come in Italia; e la ricerca di stabilità degli assetti proprietari è il peggior viatico per una gestione aggressiva delle aziende nei confronti dei concorrenti. Le banche sono un esempio perfetto. E in 20 anni, concentrazione e concorrenza nei diritti di proprietà in Italia non sono cambiati significativamente.
La seconda: l´azione dell´Antitrust si è affiancata a quella di autorità di settore (Banca d´Italia, Isvap, Garante dell´Editoria, Energia, Comunicazioni), di Ministeri ed Enti locali (trasporti, autostrade, poste, ambiente), e del Governo ("lenzuolate" Bersani), creando un apparato complesso (e costoso) di norme, regolamenti e istituzioni. Ma la complessità è nemica dell´efficacia.
La terza: un pregiudizio nei confronti di concentrazioni e pratiche commerciali, che non tiene conto dello sviluppo economico. La forte integrazione tra le economie nel mondo ha spinto le imprese a ricercare le economie di scala. In questi casi, dimensioni e concentrazioni servono a raggiungere l´efficienza negli investimenti. Un forte impulso all´innovazione è venuto dall´industria dell´"informazione" (definita come qualsiasi cosa che può essere messa in formato digitale). Produrre "informazione" costa molto; riprodurla, nulla. Per remunerare gli investimenti e la ricerca, dunque, le imprese devono trattenere i clienti (sistemi di lock in), creare nicchie per differenziare i prezzi, e imporre standard per catturare i benefici di rete. Sembrano pratiche lesive della concorrenza; ma sono indispensabili per la crescita, a beneficio del consumatore.
Un giudice americano paragonò l´Antitrust a un arbitro di boxe: deve garantire che i pugili non usino colpi proibiti, sapendo però che alla fine solo uno vincerà, e l´altro potrebbe finire ko. Come in ogni competizione.
Anche negli ultimi 20 anni, più che l´azione dell´Antitrust, e di tutte le altre autorità e norme, è stata l´innovazione il principale motore della concorrenza. La posizione dominante di Microsoft nei Pc non si è estesa al web grazie al motore di ricerca di Google; né alla musica, grazie all´iPod; e neppure ai video per l´avvento di YouTube. Sono state le compagnie low cost e i treni ad alta velocità a portare la concorrenza in un mercato monopolizzato dalle compagnie di bandiera. Il telefonino ha cancellato il monopolio della rete fissa nella trasmissione della voce, e ora le fa concorrenza in quella dei dati. E c´è voluto l´ingresso di Sky, monopolista sul satellite, per portare la concorrenza nel duopolio televisivo.
Potrei continuare con gli esempi. Ma dovrebbero bastare per capire che il progresso tecnologico, unito alla libera iniziativa economica, sono la fonte principale di concorrenza e sviluppo dei mercati. E che l´Antitrust dovrebbe ritrovare lo spirito liberista delle sue origini.