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 2010  novembre 27 Sabato calendario

QUANDO IL GENERALISSIMO DETTAVA LE CORREZIONI AI LIBRI DI VARGAS LLOSA

«Un romanzo marxista, anticlericale, antimilitarista ed osceno», con questo giudizio la censura franchista cercò di impedire la pubblicazione in Spagna di Conversazione nella Cattedrale, quarto libro di un giovane scrittore peruviano che diventerà molto tempo dopo, quest´anno, Premio Nobel della Letteratura. Era il 1969, Mario Vargas Llosa aveva 33 anni, e l´Europa veniva attraversata dal vento della nuova letteratura sudamericana. I Cent´anni di García Márquez, allora appena pubblicati da Feltrinelli, aprivano la strada ad una nuova e agguerrita generazioni di scrittori ma nella Spagna della dittatura, il caudillo Francisco Franco, quello che aveva piegato - con l´appoggio di Hitler e Mussolini - la Repubblica e vinto la Guerra Civile vegliava sulle coscienze degli spagnoli e sceglieva religiosamente cosa potessero leggere e cosa no. I rapporti della censura sui romanzi di Vargas Llosa sono stati ritrovati da El Pais negli Archivi generali dello Stato ad Alcalà de Henares: c´è una cartella ben conservata con i giudizi e la corrispondenza con gli editori per ogni libro dal 1959 al 1977.
In quei diciotto anni, l´ultimo premio Nobel, scrisse sei romanzi e tutti, tranne l´ultimo, vennero bollati come opere «immorali, pornografiche, depravate e marxiste». Gli attenti censori del franchismo sono senza nome, si firmavano solo con dei numeri e appartenevano alla "Sezione di orientamento bibliografico", un simpatico eufemismo burocratico per denominare l´ufficio della Direzione generale dell´Informazione che si occupava di leggere e censurare tutto ciò che aspirava ad essere pubblicato nei confini della dittatura franchista.
Si comincia con Los Jefes (I capi) nel 1959. In quel caso il censore autorizzò la casa editrice, che ne stampò 1300 copie, ma pretese che fossero cambiate le parole maricón (omosessuale) e puta (prostituta). Cosa che lo scrittore accettò. Molto più sofferta nel 1963 la pubblicazione de La città e i cani, uno dei capolavori dello scrittore. Per il censore è «letteratura immorale» ma l´editore, Seix Barral, insiste e chiede una "seconda lettura" che non modifica la situazione. La preoccupazione principale dei funzionari franchisti è non offendere l´Esercito e dopo molte trattative si autorizzerà la pubblicazione solo quando Vargas Llosa accetterà di sopprimere le parolacce e di modificare diversi episodi del libro. Al capo dei censori lo scrittore invierà una lettera nella quale sosterrà di aver rivisto il suo romanzo «senza allegria né convinzione» accettando i cambiamenti per «un dovere di cortesia che - scrisse Vargas Llosa - non modifica assolutamente la mia opposizione al principio della censura, convinto come sono che la creazione letteraria deve essere un atto libero». Oggi Vargas Llosa dice che il suo unico obiettivo era l´uscita del libro e ridendo di quei censori ricorda come qualche anno dopo il suo La città e i cani uscì anche in Spagna in edizione completa e senza tagli e ritocchi.
Anni dopo, nel 1973, il romanzo Pantaleon e le visitatrici divise l´opinione dei censori ma alla fine si costringerà l´editore a cambiare soltanto la copertina del libro: dove c´era una donna semi svestita ci sarà il disegno di una imbarcazione e di un aeroplanino. Molto diversa - ma siamo già all´inizio del ‘77 e Franco è morto da quasi due anni anche se la censura agisce ancora - l´avventura de La zia Julia e lo scribacchino. «Opera della narrativa peruviana - scrive il lettore del dipartimento di orientamento bibliografico - , non censurabile».
«Quei controlli erano una assurdità - ha commentato lo scrittore - ai quali non credevano neppure coloro che li applicavano». Ma il franchismo non fu il solo regime ad intervenire sui libri del premio Nobel. In Perù copie de La città e i cani vennero addirittura date alle fiamme mentre in Urss - ma Vargas Llosa lo scoprì solo tempo dopo durante un viaggio - all´edizione del libro in cirillico vennero cancellate «per ragioni morali» almeno quaranta pagine.