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 2010  novembre 27 Sabato calendario

SUPERMERCATI DESPAR, 50 CANDELINE E UN PROCESSO PER MAFIA

Despar, marchio italiano leader nei supermercati, compie mezzo secolo. Mostre, pubblicità, cuoricini e “tutto per te da 50 anni”. Intanto i punti vendita nella Sicilia occidentale rimangono in amministrazione controllata e aspettano la sentenza che stabilirà se il loro concessionario, Giuseppe Grigoli, sia legato o meno a Cosa Nostra e se i suoi interessi in Despar siano o no condivisi con il boss latitante Matteo Messina Denaro. La storia arriva sui giornali nel dicembre 2007 quando Grigoli, uno tra gli imprenditori più importanti nel settore grazie alla gestione in esclusiva del marchio Despar per tutti i comuni delle province di Palermo, Trapani e Agrigento, viene arrestato. Il suo nome era emerso dopo l’arresto di Provenzano con la decrittazione di alcuni pizzini trovati nel suo covo, in cui venivano esposte al boss dei boss le ragioni per cui nell’Agrigentino e nel Corleonese erano stati aperti supermercati Despar.
LE SPIEGAVA un tale Alessio, nome in codice di Messina Denaro. “C’è una persona di Castelvetrano – scriveva il boss latitante a “Binu” – che ha la concessione dei supermercati Despar, cioè questa persona apre dei punti vendita Despar in ogni paese e dà la gestione del punto vendita a persone del medesimo paese e la persona rimane come fornitore del punto vendita lasciando al gestore un largo margine di guadagno, infatti questi gestori se la passano tutti bene”. Ma nella zona di Ribera c’è tal Giuseppe Capizzi, che “sin dal primo momento cominciò a fare alla persona discorsi di annacamento generale di come ci si comporta al suo paese e via discorrendo”. Insomma Capizzi tratta Grigoli come un imprenditore da vessare, non gli paga le merci e gli chiede il pizzo . Messina Denaro, pur latitante, conosce perfettamente i conti delle aziende di Grigoli: “Mi sono documentato di persona ed i conti risultano essere questi: 297.097,13 euro di fatture non pagate, cioè è merce che il Capizzi si è presa dal mio paesano e che non ha mai pagato… Poi ci sono questi 75mila di liquido che il mio paesano ha dato per Ag, credo che siano quelli che lei ha chiamato furfè (pizzo, ndr). La prego di cuore di fare in modo che il Capizzi ci restituisca questi soldi”. Questo è ciò che emerge dagli atti della Dda di Palermo a firma dei pm Carlo Marzella e Sara Micucci, che l’8 ottobre hanno chiesto 10 anni di reclusione per Messina Denaro, già condannato per associazione mafiosa, e 15 anni per Grigoli, con l’accusa di aver messo a disposizione della cosca trapanese di Messina Denaro i propri mezzi e risorse imprenditoriali nella grande distribuzione tramite la sua società Gruppo 6 Gdo srl, offrendo al boss latitante la possibilità di espandere il suo potere di controllo del territorio e dell’economia.
LA SENTENZA di primo grado è attesa per il 3 dicembre. Ma, al di là della decisione del Tribunale di Marsala, il processo va oltre la sorte dei due imputati. Anzitutto perchè illumina la tipica zona grigia della “nuova mafia” sommersa che si serve di figure a metà strada fra normalità e devianza: insospettabili che, in cambio di protezione e guadagni certi, riferiscono a Cosa Nostra, passano informazioni, falsano la concorrenza, versano capitali a fondo perduto nelle imprese colluse in difficoltà. E poi, soprattutto: dov’è, in questo processo, la Despar Italia? Perché non si è costituita parte civile in un procedimento che la danneggia, infangando il suo marchio, tanto più se Grigoli fosse condannato? “In quel momento non abbiamo valutato opportuno costituirci parte civile”, spiega il presidente Antonino Gatto. “Abbiamo deciso piuttosto di collaborare in maniera costruttiva con gli amministratori giudiziari”. “Le ripeto, in quel momento abbiamo fatto valutazioni diverse, e abbiamo deciso fosse più utile lasciare lavorare gli amministratori giudiziari”. E se Grigoli fosse condannato? “In quel caso faremo delle valutazioni in merito alla sua gestione del nostro marchio in Sicilia”.