Varie, 27 novembre 2010
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 29 NOVEMBRE 2010
L’università italiana produce troppi dottori che non sanno niente e di cui il mercato del lavoro non sa che farsene. Alberto Mingardi, 29 anni, studioso del pensiero liberale: «Stanno sotto la campana di vetro salvo poi, dopo la festa di laurea, trovarsi del tutto spaesati». [1] Vittorio Feltri: «Per incrementare la produzione delle fabbriche d’illusioni, ci siamo inventati i corsi triennali che conferiscono il titolo di dottore. E così abbiamo tanti dottori. Tutti disoccupati, però, perché, oltre ad aver studiato poco e male, non hanno imparato alcun lavoro e nessuno li assume nemmeno come impiegati di ultimo livello». [2]
Sono tante le ragioni per riformare l’università italiana. Chiara Saraceno: «Razionalizzare la frammentazione di corsi di laurea, facoltà, materie, che spesso corrisponde solo a logiche vuoi corporative, vuoi territoriali. Premiare il merito delle università sia nel campo della ricerca che in quello della qualità didattica. Reclutare i docenti con criteri che valutino la competenza e la congruità ai bisogni della facoltà che chiama, e non l’appartenenza a consorterie varie, o l’anzianità di servizio o di pazienza nello stare in coda. Istituire percorsi di carriera chiari nei passaggi, nei doveri e nelle ricompense, rovesciando la situazione attuale per cui spesso capita che i ricercatori, o perfino gli assegnisti o varie figure precarie, abbiano maggiori carichi didattici degli ordinari, essendo pagati molto meno e mangiandosi così il tempo necessario per ricerca e pubblicazioni.». [3]
Domani la riforma Gelmini dell’università tornerà alla Camera per procedere verso l’approvazione. Alessandra Migliozzi: «Le prime linee guida del governo sono arrivate nel 2008, ma è subito partita la contestazione da parte di studenti, ricercatori e sindacati. Mentre i rettori hanno vincolato il loro sì alla garanzia di risorse. Fra i punti più contestati, i nuovi contratti per i giovani ricercatori che saranno solo a termine d’ora in poi. Dibattuto anche il nuovo ruolo dei Cda, che potranno decidere apertura e chiusura dei corsi. Dubbi, poi, permangono sul Fondo per il merito degli studenti che offrirà borse di studio a concorso: per le opposizioni è una scatola vuota». [4]
Con la riforma i rettori non resteranno in carica più di 6 anni (oggi arrivano anche a 20-25). Gelmini: «Introduce criteri di merito nell’assegnazione delle cattedre, evita le parentopoli». [5] Lorenzo Salvia: «In due sole facoltà della Federico II di Napoli, economia e giurisprudenza, la Confederazione degli studenti ha contato 140 casi di parentela su un totale di 877 professori». [6] Maurizio Ferraris: «Tra i mille mali che affliggono l’università, parentopoli è di gran lunga il minore. Tolte alcune situazioni aberranti, e giustamente segnalate dai giornali, c’è la normalità universitaria, che per l’appunto non fa notizia, e nella quale parentopoli non esiste». [7]
Per ogni ateneo non potranno esserci più di 12 facoltà, saranno passati in rassegna tutti gli oltre 500 corsi di laurea oggi attivi in Italia, quelli seguiti da un esiguo numero di studenti saranno eliminati. [8] Mingardi: «I nostri atenei sono stati moltiplicati, in un numero spropositato per moltiplicare i posti di lavoro e soddisfare il desiderio delle mamme di non far uscire di casa i propri figli». [1] Gelmini: «L’obiettivo non è che ogni ragazzo abbia un’università sotto casa. Ma che ogni ragazzo abbia una buona università. Basta con i corsi fantasma e con quelli che producono disoccupati». [5]
Il modello Gelmini propone una divisione netta dei compiti fra consiglio di amministrazione, che gestisce le risorse finanziarie, e il senato accademico, responsabile delle decisioni nell’ambito della ricerca e della formazione. Massimo Egidi: «Per dare un futuro migliore a questo paese serve rigore nei conti anche del sistema universitario. Perché, nella ricerca, le poche risorse purtroppo disponibili sono vitali e non possono essere ancora sprecate». [9] Il fisico Giorgio Parisi, neomedaglia Max Planck (nell’albo d’oro Albert Einstein ed Enrico Fermi), molto critico con la Gelmini: «La riforma dice che chi non è in regola col bilancio non può fare sperimentazione. Ma che significa? Semmai deve avere meno soldi, ma è proprio con la sperimentazione che si possono ottenere risultati, e far abbassare il deficit». [10]
Il decreto offre alle università la possibilità di assumere ricercatori a tempo determinato per due trienni per poi promuoverli ad associati se conseguono l’abilitazione entro il secondo triennio (è quella che chiamano tenure track). Egidi: «I giovani, dopo la laurea e il dottorato, a 25-27 anni, già durante il primo ciclo di tre anni, si possono accorgere se la ricerca è davvero il loro destino. Oggi questo accade troppo spesso solo intorno ai quarant’anni, quando poi trovare un lavoro fuori dall’università è complicato e anche avvilente, dopo aver investito tanto nello studio». [9] Parisi: «In linea di principio non era sbagliato. Ti assicuro un contratto di 6 anni, nel frattempo accantono i soldi per assumerti e se la valutazione finale che otterrai sarà positiva puoi entrare nell’Università. Altra cosa è farti lavorare 6 anni, con un contratto che costa meno, sapendo già che non ci saranno i soldi per assumerti». [10]
Secondo i critici, con la riforma Gelmini avremo «una università pubblica di basso livello ma anche di basso costo per lo Stato, che laurei in massa così da essere in linea con le medie europee, e un’eccellenza, reale o anche soltanto immaginaria, per le università private. E chi non ha i soldi per pagare le rette delle università private, si arrangi». [7] Mingardi: «Ma le università dei ricchi ci sono lo stesso, e sono le università all’estero, negli Usa. Chi può permetterselo in Italia manda i figli lì. Dove le università sono care, e nessuno occupa». [1]
Il fondo che finanzia le borse di studio scenderà da 96 milioni di euro nel 2010 a 70 nel 2011, tornando ai livelli del 1998. Chiara Saraceno: «Ciò non è compensato da altri interventi per il diritto allo studio: alloggi, spazi di studio e così via rimangono in Italia una risorsa risicata, anche se con ampie variazioni». [3] Una Roberta di 24 anni anni, iscritta alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Orientale di Napoli «Lo stato rinuncia a farsi carico della formazione universitaria, lasciando al mercato il compito di istruirci e alle banche quello di permetterci di studiare». [11] Parisi: «Non mi preoccupano gli eccellenti, loro se la caveranno, sicuramente andando all’estero. Mi preoccupano tutti coloro che hanno grandi capacità e che altrove farebbero ricerca ma che nel nostro paese saranno fatti fuori. Se ci sarà un Mozart emergerà, ma non potrà più suonare perché gli mancheranno gli orchestrali». [10]
Oggi ci saranno assemblee in tutte le facoltà d’Italia, domani molti studenti confluiranno a Roma. «Probabilmente partirà un corteo dalla Sapienza diretto a Montecitorio», hanno annunciato i ragazzi di "Link", una delle sigle protagoniste della protesta: «C’è ancora la possibilità di vincere». [12] Per quelli che protestano l’università italiana è «l’unica istituzione che resiste agli interessi della politica e a quelli dei privati» (Alessandro Ferretti, ricercatore della rete 29 aprile). [13] Per quelli che non protestano «In Italia non esiste niente di più privato dell’università pubblica» (Alessandro Orsini, ricercatore a Roma Tor Vergata, alludendo a parentopoli). [14] La maggioranza non protesta: si parla di 20 mila manifestanti su 2 milioni di studenti. [15] Di certo, «il numero degli studenti coinvolti non autorizza, per ora, a parlare di un movimento di massa» (Giovanni Sabbatucci). [16]
Enrico Decleva, presidente della Crui, la Conferenza dei rettori, è favorevole alla riforma [17], ma non mancano i colleghi che la pensano diversamente. Attilio Mastino, rettore dell’università di Sassari: «Non mi riesco a convincere che per modernizzare l’Università occorra ridurre le risorse anziché aumentarle». [18] Matteo G. Brega: «I tagli sono un aspetto legato all’approccio che il Tesoro ha avuto nei confronti della crisi internazionale. Si possono quindi criticare i tagli ma non si possono confondere con la riforma. È un errore banale, da non addetti ai lavori, che nel passato non avremmo sentito fare da membri di un mondo specializzato ed “esoterico” come quello dell’università, dire che “la riforma taglia le risorse” quando si sa benissimo che le risorse sono una variabile mentre la normativa un assetto stabile». [19]
In assenza di rodati meccanismi di valutazione basati sul merito, purtroppo, i tagli saranno spesso iniqui nelle loro conseguenze. Giovanni Sabbattucci: «Il grosso delle risorse trasferite dallo Stato all’Università è assorbito dalla spesa per il personale, per sua natura incomprimibile, anzi tendente a crescere per sua dinamica interna. Ne consegue che a restare a secco sono le altre voci di spesa (laboratori, biblioteche, materiale di consumo): il che significa blocco di fatto della ricerca dentro l’Università, ma anche grave pregiudizio dell’attività didattica». [16]
In Germania, dove come in Italia l’istruzione universitaria vive grazie a investimenti pubblici, il governo investirà 2,7 miliardi di euro dal 2012 al 2015 in un progetto mirato a una riforma strutturale del sistema. In Francia sono stati stanziati undici miliardi per migliorare la qualità complessiva dell’istruzione superiore, mentre 8 sono destinati allo sviluppo della ricerca. [20] Nel Regno Unito il premier David Cameron ha invece triplicato il costo del corso di studi universitari. Antonio Signorini: «In Italia, dove in media si pagano 1.200-1.500 euro, il giro di vite di Londra avrebbe portato le tasse universitarie a circa 4.000 euro all’anno. E la reazione, con tutta probabilità, sarebbe stata più dura di quella de gli studenti inglesi». [21]
C’è anche chi pensa che la riforma Gelmini non va attaccata perché snatura e corrompe «la bella e santissima università italiana», ma perché «non la cambia abbastanza». Marcello Veneziani: «La sua è una riforma troppo timida, riforma poco e con troppo garbo, più qualche odioso taglio. Con i livelli a cui è ridotta l’università e la scuola nel nostro Paese, ci vorrebbe una riforma più radicale. Le Gelmini, poverina, è stata delicata, prudente, ha capito che per far passare una cosa bisogna usare dosi farmaceutiche. Ma l’hanno contestata lo stesso, con la stessa violenza, come se avesse preso una creatura sana e le avesse iniettato bacilli mortali. Allora, tanto valeva, una bella rivoluzione meritocratica e qualitativa, uno strappo netto, un atto coraggioso». [22]