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 2010  novembre 27 Sabato calendario

«Psycho» compie cinquant’anni ma fa ancora venire gli incubi - Tutta colpa dell’apparta­mento

«Psycho» compie cinquant’anni ma fa ancora venire gli incubi - Tutta colpa dell’apparta­mento. Quello di Billy Wilder. Nel senso del film, con Jack Lemmon e Shirley MacLaine. Fu proprio quella (splendi­da) commedia a togliere a Al­fred Hitchcock e al suo Psycho la soddisfazione di un Oscar. Per la cronaca il cele­bre giallo del non ancora sir Alfred ebbe quattro nomina­tion: regia e scenografia in bianco e nero, che andarono appunto a Wilder, più fotogra­fia in bianco e nero e attrice non protagonista, Janet Lei­gh, finiti rispettivamente ai di­menticatissimi Figli e amanti e Shirley Jones ( Il figlio di Giu­da ). Ne è passato di tempo da quel 1960 e forse l’Academy, potendo ripensarci, farebbe altre scelte. D’altra parte Hi­thcock nella sua lunghissima (cinquantun’anni!) carriera di Oscar per la regia non ne ricevette mai manco mezzo. Roba da matti. Dunque è trascorso mezzo secolo da Psycho . Con l’acca in America e nel resto del mondo, e senz’acca, ovvero Psyco , in Italia. Hitchcock ne ha fatti probabilmente di mi­gliori, ma questo resta il suo marchio di fabbrica, il più ce­lebre, il più terrificante e, sen­za dubbio, il più visto. Eppure il film ebbe una gestazione a dir poco difficile: la Para­mount tergiversò, prima con la minaccia di un budget ri­dotto, poi tirando fuori la scu­sa pietosa che tutti gli studi erano occupati. Ma ci voleva altro per smontare Hitch, che si rivolse subito alla Univer­sal, ottenendo un preoccupa­to sì. Con l’imposizione di tempi strettissimi per la lavo­razione e di uno sceneggiato­re a basso costo, tale Joseph Stefano, un giovane newyor­chese di origine italiana. L’uo­mo che ci voleva. Hitchcock terminò le ripre­se in quarantadue giorni, un record di rapidità. Trovando però un inatteso alleato in Il fantasma dell’opera , un famo­so film muto con Lon Chaney girato addirittura nel 1924, da cui ereditò, intatta, la casa spettrale, di fianco al motel maledetto, dove abita con mammà lo psicopatico Nor­man Bates. Una specie di villa gotica, che mette i brividi an­che da lontano, con la fattiva complicità delle strizzevoli musiche di Bernard Herr­mann. Ma ce ne vuole prima di arrivarci. Chi ha visto Psycho (o Psyco ) almeno una volta non può aver dimenticato la sce­na iniziale con Janet Leigh, una bionda naturalmente, co­me piaceva a Hitchcock, che in castissima sottoveste amo­reggia con John Gavin, fin do­ve permetteva la censura. Quindi a torso nudo lui, in reg­giseno (bianco) lei. Sarebbe stato più efficace il contrario, ma quelli erano i tempi. Poi la ragazza frega quarantamila dollari all’agenzia immobilia­re in cui è impiegata, a fianco della figlia di Hitch, Patricia, bruttarella forte. Corre a ca­sa, cambia la biancheria, in­fatti il reggiseno stavolta è ne­ro, e parte per raggiungere il fidanzato. Per lei cominciano i guai. Per lo spettatore gli in­cubi. Primo salto sulla poltrona quando lo zelante poliziotto s’avvicina alla macchina di Marion, che dorme sul ciglio della strada. Il secondo poco dopo, quando lo stesso agen­te, guarda con sospetto la fug­gitiva ferma da un rivendito­re d’auto, gli rifila la sua e ne compra, in contanti, una nuo­va. La pelle non è ancora d’oca, ma non manca molto. Basta arrivare al motel male­detto. Gli uccelli impagliati fanno una certa impressione, a Marion come allo spettato­re e anche lo sguardo dell’al­lucinato Anthony Perkins manda lampi poco rassicu­ranti. Ed ecco la doccia, che nean­che i ripetuti successivi, meti­colosi lavaggi di Edwige Fene­ch, sono riusciti ad offuscare. Janeth-Marion si spoglia, mo­strando, a differenza del­l’Ubalda, soltanto le caviglie, entra,tira la tenda e apre il get­to d’acqua. Il resto lo conosc­o­no a memoria anche i bambi­ni dell’asilo. Ciò che forse ignorano è che per girare quella scena di quarantacin­que secondi, Hitch ci mise una settimana, utilizzando ben tre controfigure della pu­dibonda vittima designata. Sul cui corpo, si badi bene, no­nostante le tante, micidiali coltellate non resta neppure un segno. Nelle mani di un al­­tro regista, specie oggi, il cada­vere sarebbe più malconcio di una tela di Fontana. Il tempo di riaversi dalla fifa blu e piomba in loco il povero investigatore Milton Arbo­gast, pronto a stramazzare sulle scale in una scena da far saltare il cuore ben in più su della gola. Per tacere della se­quenza finale in cantina, con Vera Miles,guarda caso un’al­tra bionda, nel ruolo di Lila, la cocciuta sorella defunta. Ce ne vuole insomma prima che la palpitazione torni norma­le. Intanto il film, per festeg­giare il cinquantesimo anni­versario, torna in questi gior­ni nelle sale di tutt’Italia. E al noir in Festival di Cour­mayeur, il 12 dicembre lo ve­dremo in un rimasterizzato digitale 2K.