Giorgio Dell’Arti, La Stampa 27/11/2010, PAGINA 84, 27 novembre 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 44 - UN PAPA GIOVANE
Io la mano non gliel’avrei stretta. Quell’episodio aveva per lo meno messo in chiaro, e per sempre, che esistevano due partiti liberali tra loro nemici. I moderati, cioè Cavour. I democratici, cioè Valerio.
Differenze? «Aristocratici» e «borghesi»? Troppo schematico. Cavour era poi, di fatto, più borghese di tanti borghesi. I due partiti liberali c’erano, ma, a parte i caratteri dei protagonisti e gli errori del conte, le differenze non erano a quel tempo così nette: i valeriani avevano persino considerato se non fosse il caso di far presidente dell’Agraria Cavour! Le teorie intorno al poderemodello sono significative fino a un certo punto.
Qualche caso concreto? Per esempio, i liberali di ogni tendenza erano d’accordo che lo Stato garantisse a tutti la scuola. I moderati però non volevano imporre ai cittadini l’obbligo di frequenza, e i democratici invece sì. Già ora i moderati facevano prevalere la ragione economica e le politiche di bilancio (quello che oggi Viviane Forrester chiamerebbe l’ horreur économique ) e i democratici invece la ragione sociale e le politiche di indebitamento (caso podere-modello). La differenza vera è forse questa: i moderati credevano che l’iniziativa non potesse che venire dall’alto (l’élite), non potesse essere opera che dei competenti. I democratici invece credevano nell’iniziativa dal basso (il popolo), l’azione come risultato di un moto dell’anima, del cuore, del sangue. Tutti discorsi inutili, comunque, dato che Cavour era fuori. Il conte era triste. Gli era appena morta la madre. «Amico carissimo, mi è dolce il vedere che il tempo e l’assenza non hanno punto scemato la tua amicizia […]Nel sentirmi così amato da te, provo minor scoraggimento, e mi rincoro. Tu hai mai sempre seguita la via della virtù. Da questa pur troppo io mi sono allontanato. Vorrei tornarci per non abbandonarla più, che già sento che il tempo m’incalza, e che percorro la parte discendente della vita» . Aveva in effetti vissuto 36 anni e gliene mancavano alla fine meno di 15.
A chi sta scrivendo? A Carlo Cappai, un compagno d’Accademia. «Senza essere mai rimasto ozioso, ho impiegato malamente gran parte del mio tempo e delle mie facoltà. Un intrigo di bacchettone mi costrinse a lasciare la direzione degli asili. L’odio democratico di pretesi liberali mi fece abbandonare la Società agraria. Così sono rimasto affatto estraneo alle istituzioni pubbliche del mio paese. Membro inutile della società, scrivo quando sono disposto al lavoro, e studio e pratico l’agricoltura su d’una gran scala….» . Lettera senza data, ma siccome qualche riga dopo parla della madre, morta «alcuni mesi sono» , deve essere come minimo del giugno 1846. Il giugno 1846 ci costringe a cambiar discorso. È il momento in cui diventa papa Pio IX.
Cavour ne parla? Le parole «Pio IX» appaiono per la prima volta in una lettera di metà ottobre 1847, sedici mesi dopo l’elezione: «Le public […]s’amuse à crier “viva Pio IX” et à se faire courir après par la cavalerie» . Seguono considerazioni sulla pericolosità della situazione: «L’eccitazione è immensa e con la repressione non si otterranno che dei risultati temporanei. La malattia di cui soffre il paese è grave. La violenza potrebbe precipitarci in una crisi permanente, nella quale la minima scossa esterna o la minima commozione interna potrebbe risultare fatale…». Cioè, la gente era tutta per strada a gridare «Viva Pio IX», e non era passato neanche un anno e mezzo. In meno di un anno e mezzo il nuovo papa era diventato il campione dei liberali e della causa nazionale.
Come aveva fatto? Belli: «Sto papa che c’è mo’ ride, saluta / è giovene, è a la mano, è bono e bello…» . Aveva 54 anni, un gran portamento e una bella voce. Un certo giorno entrò all’improvviso in Sant’Andrea della Valle, s’arrampicò sul pergamo e predicò alla folla come un prete qualunque. Venne dalla Toscana a trovarlo Giuseppe Montanelli (antenato del nostro Indro). « Un misto di bonarietà e di malizietta, di grazia e d’ironia» . Massimo non era gradito a Roma, per via de Gli ultimi casi di Romagna . Fece di tutto per ottenere un passaporto e fu ricevuto. «Il Papa era seduto su una poltrona di cuojo rosso, sotto un baldacchino, avanti a uno scrittojo sul quale era un monte di carte, una brochure con suvvi gli occhiali, due candele e due paralumi trasparenti a paesi in colore. È uomo di bella e vegeta presenza, somigliante ai ritratti, ben impersonato, occhio ed aspetto sereno, sicuro, e tratto sciolto, cordiale, nella perfetta misura dei gran signori, che sanno esser tali. Parla bene, trovando sempre la parola più adatta senza esitar mai, s’esprime con bon goût sulle cose triviali, con semplicità sulle elevate e non ha ombra d’affettazione. Non ho mai visto un insieme d’uomo più piacevolmente armonico di questo. Ha poi una dote rarissima e la migliore di tutte, in un principe specialmente, ed è una manifestazione di sincerità così grande nel suo sguardo, nel volto, e nelle parole, che convince, e toglie persino la possibilità del sospetto».