GIULIA ZONCA, La Stampa 27/11/2010, pagina 43, 27 novembre 2010
Anna, il portiere mignon “Battere gli Usa, la mia rivincita” - Un portiere mignon davanti all’America: Anna Maria Picarelli stasera, a Chicago, protegge l’Italia nella partita decisiva per la qualificazione ai Mondiali 2011, ma poteva stare dall’altra parte, tra i pali della potenza del calcio femminile
Anna, il portiere mignon “Battere gli Usa, la mia rivincita” - Un portiere mignon davanti all’America: Anna Maria Picarelli stasera, a Chicago, protegge l’Italia nella partita decisiva per la qualificazione ai Mondiali 2011, ma poteva stare dall’altra parte, tra i pali della potenza del calcio femminile. È nata in California e lì ancora gioca, solo che per la nazionale stelle e strisce era troppa bassa così è tornata da dove era partito papà Angelo ed è passata all’azzurro. Lei viene da un mondo dove le donne che giocano a calcio hanno successo, come si è abituata alla realtà italiana? «Altra galassia, in questi giorni di ritiro americano le ragazzine ci chiedevano l’autografo. Le calciatrici hanno una popolarità che in Italia non potranno mai raggiungere». Situazione immutabile? «Il calcio rispecchia la società e in Italia il maschio ha un ruolo diverso dalla donna. Sono sempre più considerati. In America le pari opportunità si costruiscono al college, di recente hanno preteso che le attività sportive avessero lo stesso numero di iscritti, tanti uomini e tante donne. Ma anche senza quote è evidente la differenza tra i due Paesi». Però l’America l’ha scartata? «Troppo piccola, ho fatto un provino con l’under 21 e mi hanno detto: non hai possibilità. Su quei numeri puoi permetterti di stabilire dei parametri. Ci saranno due milioni di americane che vogliono fare il portiere in nazionale. In Italia non ci sono due milioni di praticanti». Quindi preferisce la testa degli americani? «Non in assoluto, in Italia si guarda più al talento che al fisico e il professionismo non è roba da fissati. Dove vivo fare sport vuol dire programmare ogni ora. Le nostre rivali si allenano in palestre fantastica e la federazione si occupa di tutto, dalla colazione alla ninna nanna, ma ti pianifica anche i minuti di uscita. Un’esagerazione». Pescare gli Usa è stata una sfortuna o giocare contro le più forti vi dà più visibilità? «Era meglio evitarle, siamo in una fase di crescita e qualificarci ai Mondiali è importante, ora ce la giochiamo nella tana del lupo: le americane in casa non perdono mai». L’andata è finita 1-0, quante possibilità vi date? «Loro non sono dei mostri, hanno tradizione, capacità ma questa squadra non è formidabile. Se giochiamo contro di loro e non contro l’idea che abbiamo di loro possiamo farcela». Partita a Chicago, a casa degli Obama, dove Michelle sponsorizza la squadra di calcio femminile della figlia. «Giochiamo nel posto peggiore, il più freddo che c’è quindi Obama o no avrei scelto un altro stadio». Quando è arrivata in Italia? «Sono il portiere azzurro dal 2007. Allora non parlavo una parola d’italiano. Mio padre, tifoso juventino, con i nonni usava il dialetto calabrese». Come se l’è cavata? «Per i primi mesi, durante gli allenamenti, copiavo ciò che faceva il secondo portiere poi ho capito che la nazionale diventava sempre più importante e mi sono svegliata a imparare la lingua». Numeri 1 di riferimento? «Julio Cesar e Buffon, ma lui è un po’ che non lo vedo, è infortunato e l’Italia dei maschi non è più al top del mondo quindi la seguo meno. Guardo la Champions ed evito il campionato americano degli uomini: non ci sanno fare. Si picchiano. Forse anche per questo le ragazze hanno più successo».