CHIARA BERIA DI ARGENTINE, La Stampa 27/11/2010, pagina 37, 27 novembre 2010
Il criminologo che non va in tv - Aldo Grasso può stare tranquillo: non ho mai accettato un invito in tv e non lo accetterò mai», dice Adolfo Ceretti
Il criminologo che non va in tv - Aldo Grasso può stare tranquillo: non ho mai accettato un invito in tv e non lo accetterò mai», dice Adolfo Ceretti. Università Milano-Bicocca. Tra i relatori al convegno su «Processo e informazione», organizzato dalla facoltà di Giurisprudenza dove Ceretti, 55 anni, insegna Criminologia, c’è anche Aldo Grasso, editorialista e critico televisivo del «Corriere della Sera» che, in pochi mesi, ha dedicato 2 articoli al curaro alle discutibili performance nei salotti tv di «criminologi showman», personaggi di spicco nel cast della tv del crimine, un genere in escalation di audience e di violazioni delle norme processuali (vedi: diffusione del video con le riprese del sopralluogo nel garage degli inquirenti con Michele Misseri, indagato per l’omicidio di Sarah Scazzi). Da Novi Ligure ad Avetrana; da Francesco Bruno a Massimo Picozzi, alla vistosa dottoressa Bruzzone. Antefatto. Conquistato dal rigoroso lavoro di Ceretti e Lorenzo Natali, autori del saggio «Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali», un’approfondita ricerca - condotta anche attraverso colloqui con detenuti per delitti gravissimi - sulle radici di gesti efferati («Un’azione violenta è sempre l’esito di un lungo percorso», spiega Ceretti), Aldo Grasso aveva ironizzato: «Mi spiacerebbe vedere un giorno Ceretti& Natali condurre un programma, vestiti di nero...». Sorride Ceretti: «Non deluderò Grasso! Del resto, sto seguendo casi pazzeschi già passati in giudizio ma nessuno, a cominciare dai magistrati, ne parla». Segretario della Società italiana di criminologia, tra i massimi esperti di mediazione penale, Adolfo Ceretti, si è spesso occupato di delitti tristemente celebri. Su incarico del gip, con il prof Gustavo Pietropolli Charmet e Alessandra Simonetto, ha firmato la perizia su Erika e Omar, i due ragazzini della strage di Novi Ligure. «Un lavoro in profondità; 40 ore di colloquio con ciascuno. Sfido a trovare nostre interviste; peccato che, poi a “Matrix”, conduttore Alessio Vinci, hanno dato brani della perizia a Erika, all’epoca minorenne: era in mano solo agli 11 periti e i giudici non l’avevano neppure vista». Fughe di atti, perizie in diretta tv, spettatori giudici. «Tutto ciò non ha nulla a che fare con la giustizia. Certi talkshow fanno del male e - permetta lo sfogo - mi fanno star male. Prendiamo il caso di Cogne. Non so se la Franzoni fosse colpevole però conosco colleghi serissimi che l’hanno “periziata” e mi hanno detto tutti i loro dubbi. Sull’omicidio di Sarah Scazzi è stato detto tutto e il contrario di tutto; ciascuno dei protagonisti sostanzialmente è stato già giudicato. Sappiamo che occorre un contesto protetto per aiutare il reo a scrivere la sua trama, a raccontarsi; e, quindi, a cominciare a riflettere su ciò che ha commesso. La riflessività è il primo passo di un percorso critico. Se è vero che Sabrina chiede cosa dicono di lei in tv significa che non sta parlando con se stessa o con i giudici ma con l’immagine che di lei proiettano le tv». Non più verità processuali e peritali ma televisive. Diagnosi del prof Ceretti: «Questa televisione è perversa. Non tiene conto delle pronunce giudiziarie e legalizza la sua trasgressione». Un circolo vizioso, sempre più dissennato. Stigmatizza Ceretti: «Siamo alla “revolving door”. Criminologi ed esperti di vario genere che vanno, avanti-indietro, dalle aule giudiziarie agli studi televisivi come se ci fosse una porta girevole». Comportamenti che, alla Società di criminologia, presieduta dal professor Roberto Catanesi, suscitano un crescente disagio. «Gli studiosi seri come l’ottimo Catanesi o Ugo Fornari, il più bravo psichiatra forense, non vanno mai in tv», sottolinea Adolfo Ceretti. E annuncia: «Stiamo lavorando a una dichiarazione ufficiale della Società. Anche se non possiamo proibire niente la nostra posizione sarà netta. Ai media piena disponibilità quando si tratta d’intervenire su questioni e patologie - esempio: la pedofilia - e reati connessi. Ma, prima della sentenza definitiva, niente giudizi sui singoli casi».