Varie, 27 novembre 2010
DONNE-UOMINI E LAVORI DOMESTICI PER VOCE ARANCIO
Nella coppia, il 76,2% del lavoro familiare è a carico delle donne (era il 77,6% nel 2003). Se la donna non è occupata fuori casa, la percentuale sale all’89,7%. La percentuale scende sotto il 70% nel caso di coppie del Nord senza figli, con donna lavoratrice e laureata (67,6%). Questi sono i dati dell’indagine Istat «Divisione dei ruoli nelle coppie», aggiornata al 2008-2009 e presentata pochi giorni fa.
Dal 2003 al 2009 è diminuito il tempo dedicato alle faccende di casa: da 5 ore e 23 minuti a 5 ore e 9 minuti per le donne lavoratrici. Gli uomini in casa sono impegnati per 1 ora e 43 minuti. Se però hanno una moglie lavoratrice e dei figli, il loro impegno sale a 2 ore e 4 minuti. Dunque un po’ di lavoro se lo sono accollato gli uomini? No. Spiega Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istat: «I livelli di lavoro familiare decrescono perché le donne hanno “tagliato” proprio su quella voce. Il coinvolgimento degli uomini non c’è stato» (al Corriere della Sera).
Il 98,9% delle donne con partner svolge ogni giorno un’attività legata alla famiglia, il 24,1% degli uomini non vi dedica neanche dieci minuti (la percentuale sale al 31% nelle coppie con donne non lavoratrici). Se si sommano lavoro a casa e lavoro d’ufficio, l’impegno complessivo della donna è di 9 ore e 10 minuti al giorno contro le 8 ore e 10 minuti dell’uomo. In presenza di figli il divario cresce: 9 ore e 28 minuti per le madri e 8 ore e 17 minuti per i padri (peggio al Sud: 9 e 55 contro 7 e 57).
Solo l’8% degli uomini svedesi e il 19% dei francesi non fa nulla in casa.
INSERIRE QUI TABELLA ISTAT
Oltre il 90% delle donne lavoratrici cucina (tra le non occupate la percentuale è del 97,8%). Tra le occupate, l’82% ha l’incombenza delle pulizie di casa. Che spettano al 95% delle non occupate.
Uno studio Eurostat dimostra che gli uomini italiani in Europa sono quelli che in casa aiutano di meno.
INSERIRE QUI TABELLA EUROSTAT
In alcune isole delle Samoa, le famiglie che non hanno figlie femmine per farsi aiutare nelle faccende domestiche allevano i maschi come donne, vestendoli fin da piccoli da bambine, insegnando loro a parlare in falsetto ecc.
Un calcolo della Camera di Commercio di Monza e Brianza rivela che se si dovesse pagare qualcuno per fare le faccende svolte da una donna nella sua vita si dovrebbero sborsare 212mila euro.
La Fondazione Rodolfo Debenedetti ha provato a calcolare il valore totale del lavoro domestico (maschile e femminile) in Italia. La cifra totale è imponente: circa 432 miliardi di euro, di cui 125 prodotti dagli uomini, 308 dalle donne. Si tratta di un valore totale pari al 33% del Pil italiano, in gran parte imputabile alle donne (23%).
Dati Ocse del 2009 dicono che gli uomini italiani hanno 80 minuti al giorno di tempo libero in più rispetto alle proprie compagne. La stessa differenza c’è tra uomini e donne in Messico. I paesi in cui si arriva alla parità sono la Nuova Zelanda, la Norvegia (con 16 minuti di tempo libero in più delle donne rispetto agli uomini) e la Svezia.
Le differenze nel tempo libero tra maschi e femmine cominciano presto. Secondo l’indagine Istat «Uso del tempo», già nella fascia d’età che va dai 3 ai 13 anni in un giorno medio settimanale le bambine dispongono di 18 minuti di tempo libero in meno rispetto ai loro coetanei (rispettivamente 5h21’ e 5h39’). A questa età il maggiore impegno, però, non è per le faccende ma per lo studio, cui le bambine dedicano più tempo. Nella fascia d’età tra i 14 e i 19 anni la differenza aumenta ancora: le ragazze mediamente dedicano 4h41’ al giorno ad attività di tempo libero, contro le 5h28 dei ragazzi.
L’Istat indica che i maschi più giovani, laureati e con un reddito medio alto, contribuiscono di più al lavoro familiare, soprattutto nelle coppie dove la donna è istruita.
«Forse il cambiamento arriva da quei giovani che spesso non formano una famiglia perché non hanno un lavoro stabile. Parlo di maschi tra 25 e 35 anni. Alcuni sono i classici mammoni, ma ci sono anche quelli autonomi e più attivi nel menage di coppia. E se non si prendono cura degli anziani e dei malati, almeno sono autosufficienti, sanno cavarsela, lavano e stirano. Sembra poco. Ma di questi tempi è già un risultato» (la psicoterapeuta Elena Rosci, autrice del libro “Mamme acrobate”, al Corriere della Sera).
In un’intervista a Vanity Fair Andrea Ichino, professore dell’Università di Bologna, autore del libro “L’Italia fatta in casa” (Mondadori) insieme ad Alberto Alesina, docente ad Harvard, spiega: «Finché i compiti familiari non verranno distribuiti in modo più equilibrato tra i sessi, le donne non potranno esprimere nelle imprese la stessa energia degli uomini. E continueranno, quindi, a essere soprattutto il motore dell’economia familiare e non dell’economia “ufficiale”». Come si cambiano le cose? «Dobbiamo insegnare agli uomini il bilinguismo di genere. Se esiste un grande contributo potenziale che le donne possono dare all’economia di mercato e che non viene sfruttato, c’è anche un grande contributo che gli uomini possono e devono dare in casa e che oggi va perso. Attenzione: questo non vuol dire auspicare che donne e uomini diventino perfetti sostituti gli uni delle altre. Vuol dire auspicare una similitudine nei tempi dedicati da donne e uomini al lavoro in casa e nel mercato, che ognuno però svolgerà al meglio sfruttando le sue specificità, le sue diversità». Intanto almeno più asili e part-time possono aiutare? «Non è detto. Non serve molto agire dal lato dei servizi pubblici alle famiglie o della flessibilità del lavoro declinata solo al femminile (per esempio, appunto, il part-time e il telelavoro pensato per le donne). Questo significa darsi per vinti prima di iniziare la battaglia: vuol dire dare per scontato che siano le donne a doversi occupare dei figli e della famiglia. È come dare l’aspirina per curare i sintomi, senza capire le origini profonde della malattia. Possiamo anche costruire un asilo a ogni angolo di strada, ma non vedremo grandi risultati se sarà sempre la madre a “staccare” comunque alle 16, qualsiasi cosa succeda in ufficio, per riportare a casa i figli». Che cosa dovrebbero fare le donne? «Innanzitutto bisogna capire che cosa le donne italiane veramente vogliono. Se da un lato ci sono sicuramente molte che in Italia non hanno le stesse possibilità di lavoro e di carriera degli uomini, allo stesso tempo sembrano esserci molte donne che tutto sommato apprezzano il loro ruolo familiare e non vorrebbero rinunciarci per lavorare di più nel mercato. Esistono pochissimi studi che misurino con precisione la natura e l’intensità di queste preferenze. Finché non avremo capito bene che cosa le donne italiane veramente vogliono, non potremo concludere che la situazione debba essere cambiata». Qual è la maggiore colpa degli uomini? «Il nascondersi dietro l’alibi che debbano essere le imprese o lo Stato a favorire la conciliazione tra compiti di cura e lavoro delle donne. Sono gli uomini all’interno delle famiglie a dover garantire in primo luogo questa conciliazione mediante carichi distribuiti in modo più equilibrato, purché questo corrisponda alle preferenze e alle capacità di ciascuno. Solo dopo potremo chiedere allo stato o alle imprese di intervenire».
In tanto sfaccendare, ci si può forse consolare con una buona notizia: fare i lavori di casa è utile per difendersi dal cancro al seno. Lo dice un’indagine dell’Associazione britannica per la ricerca sul cancro condotta su 200 mila donne di 9 paesi europei. Le signore che dedicano 16-17 ore alle faccende (in particolare spolverare, lavare i pavimenti e passare l’aspirapolvere) diminuisono il rischio di cancro al seno del 30% se sono in pre-menopausa, del 20%. Secondo gli esperti a svolgere questo ruolo salutare sono le variazioni ormonali e del metabolismo determinate da un’attività fisica moderata ma costante
Il 63% degli italiani dichiara che la prima causa dei conflitti tra marito e moglie nasce per la cura della casa (ricerca della Spontex, che fa prodotti per la pulizia). Le varie lamentele degli uomini (si poteva indicare più di un problema): «Lei vuole avere tutto sotto controllo» (71%), «vuole fare tutto in prima persona» (66%), «sembra l’unica e sola padrona di casa» (59%). Le lamentele delle donne: «Lui non vuole fare nulla» (63%), «non mi aiuta mai» (61%), «vuole fare solo le cose che gli piacciono» (58%). Quando poi decidono di fare le pulizie insieme, litigano perché non si accordano sugli orari.
Per i prodotti necessari alla cura e igiene della casa gli italiani spendono circa 100 euro al mese. Sull’acquisto di prodotti e consigli, il 45,4% degli uomini e il 38% delle donne segue i suggerimenti della mamma, il 23,8% degli uomini e il 23,6% delle donne si ispira alle pubblicità della tv.
Gli uomini casalinghi iscritti all’Inail, che godono della copertura assicurativa nata da una battaglia delle donne che si occupano della casa a tempo pieno, in Italia sono ormai 22.600, secondo i dati più recenti. Ma si stima che, in realtà, siano almeno il doppio gli italiani inquadrabili in questa nuova categoria.
Faccende preferite dagli uomini: lavare i piatti (31,3%), stirare (23,6%, ma s’è visto prima che praticamente nessun uomo lo fa) e passare l’aspirapolvere (22,1%). Poi: pulire il bagno (21,1%), lavare i pavimenti e il riordinare (rispettivamente indicate dal 14,9% e dal 14,7%). Lavori più amati dalle donne: pulire il bagno (32,5%), stirare (30%), lavare i piatti (28,8%). A seguire: lavare i pavimenti (28,2%), spolverare (25,2%) e riordinare le camere (22,7%).
Dal 2003 esiste l’Associazione italiana uomini casalinghi (Asuc): fondata da Fiorenzo Bresciani, oggi conta 5.380 iscritti. Bresciani, che ha fatto il commerciante fino al 2002: «Molti sorridono, per non dire di peggio, quando ci sentono dire che siamo casalinghi. Ma è finito il tempo del machismo, dell’uomo che non deve chiedere mai. E aspetta di essere servito e riverito. Roba vecchia, superata. L’uomo casalingo ha un bel rapporto con l’universo femminile, con il quale interagisce. Siamo un esercito che cresce di pari passo con le separazioni e le esigenze delle famiglie in cui lavorano sia il marito che la moglie, perché uno stipendio solo non basta più. Vogliamo che il nostro impegno sia noto a tutti e riconosciuto dalle istituzioni» (a La Stampa).