Maurizio Maggi, L’espresso 2/12/2010, 2 dicembre 2010
CAVALLINO DI LUSSO
Nel 2012, la Ferrari vedrà raddoppiare i rivali. A quelli abituali dei circuiti - McLaren e Red Bull, Mercedes e Renault e tutte le scuderie della F1 - si aggiungeranno Lvmh, Bulgari, Hermès. In Borsa, infatti, gestori e analisti piazzerebbero l’azione Ferrari nell’elitario gruppetto dei titoli del lusso, non nel plotone dell’automobile. Ma la Ferrari, sul listino, sbarcherà davvero? In un’intervista alla "Gazzetta dello Sport" del primo ottobre scorso, Luca Cordero di Montezemolo risponde così a Pino Allievi, decano dei giornalisti della Formula 1: "Le voci di vendita e quotazione non sono vere. Non se n’è mai parlato, non c’è alcun progetto". Un mese e mezzo dopo, appena usciti da un incontro ristretto con Sergio Marchionne a Torino, gli analisti di quattro banche d’affari internazionali rimettono prepotentemente la questione sul tappeto. Nei loro rapporti, confezionati al volo, raccontano che il capo del gruppo Fiat ha lasciato intendere che l’azienda del Cavallino rampante potrebbe anche arrivare sul listino nell’arco di 12-18 mesi. Allora, forse, qualcosa è cambiato, dall’inizio di ottobre: la corsa verso il traguardo di Piazza Affari è lanciata.
D’altronde, la Ferrari è uno dei gioielli della corona degli Agnelli e consente di portare a casa un bel gruzzolo senza cedere lo scettro del comando. Visto che l’erede di Enzo Ferrari, Piero Lardi, non intende privarsi del suo 10 per cento e che a Torino non scenderanno mai sotto il 51 per cento, oggetto della potenziale quotazione sarebbe una percentuale compresa tra il 20 e il 39 per cento del capitale. Le valutazioni medie degli analisti sull’intera Ferrari vanno dai 3,1 ai 3,7 miliardi. Tempo fa, Marchionne parlò adirittura di 5 miliardi di euro. E non scherzava, come invece ha fatto pochi giorni fa quando ha detto che chi vuole l’Alfa Romeo deve presentarsi con un mega-assegno da 20 miliardi di euro. In realtà, il Biscione impolverato lo venderebbe forse anche a un decimo della cifra sparata per celia, a patto che l’acquirente si prendesse pure lo stabilimento di Pomigliano. L’impianto campano, purtroppo, è proprio quello che non vogliono i tedeschi di Volkswagen, insistenti corteggiatori del marchio Alfa. Ma se per la marca di Giulietta e Mito il problema è trovare un compratore disposto a pagare e a caricarsi sulle spalle la fabbrica, l’ipotetico affaire Ferrari è soltanto una questione di prezzo.
Se davvero le banche d’affari chiamate a governare l’eventuale collocamento del famoso 39 per cento faranno passare l’idea che i concorrenti della marca sportiva più celebre al mondo sono le società dei gioielli e delle borse griffate, la valutazione apparentemente esagerata di Marchionne può tornare d’attualità. Vediamo perché. Secondo l’analista Rogerio Fujimori di Crédit Suisse, l’attuale quotazione di una star del settore luxury, la Louis Vuitton di Bernard Arnault, tenendo conto dei risultati attesi per il 2011 ha un p/e (il rapporto tra prezzo dell’azione e utile societario) di 19,5. Immaginiamo che la Ferrari torni l’anno prossimo sui livelli dell’annata record 2008, cioè a 235 milioni di euro di profitto: moltiplicando per 19,5 volte la cifra si arriva a 4,5 miliardi di euro. Per le casse della Fiat significa, in teoria, un gruzzolo di 1,7 miliardi di euro. Se invece prevale l’assimilazione della Ferrari a una classica azienda costruttrice di macchine (gli analisti di Barclays sostengono che, fino a oggi, gli investitori istituzionali la pensano così), la valutazione scende intorno ai 2 miliardi e il malloppo, per Fiat, sta ben sotto al miliardo.
A Torino, di fronte a una simile eventualità, lascerebbero però perdere. Meglio, piuttosto, seguitare a incamerare i dividendi offerti dagli utili macinati con continuità a Maranello. Oppure cercare qualche fondo di private equity interessato a una fetta di una delle società più glamour che ci sia (anche se, sicuramente, un collocamento aperto al grande pubblico consentirebbe una raccolta di quattrini più ricca). Un fondo, peraltro già c’è, in Ferrari. È il Mubadala di Abu Dhabi, il cui 5 per cento è sulla via del ritorno in Italia. La Fiat ha già messo a bilancio l’esercizio della cosiddetta "call option" a 122 milioni di euro. Montezemolo ha detto che si sta studiando il modo per far restare gli alleati arabi in società. Mubadala, del resto, è uno dei main sponsor della scuderia di Formula 1 e partner nell’ipertecnologico parco tematico inaugurato poche settimane fa nell’Emirato. Nel gioiello edonistico-tecnologico dedicato al mito Ferrari, il pubblico si emoziona sulle montagne russe più veloci del globo (toccano i 220 all’ora) e smanetta su simulatori di guida simili a quelli della Formula 1.
A proposito di simulazioni. Ritenendo Marchionne un abilissimo pokerista, qualcuno in Borsa azzarda: ha ragione Montezemolo, non c’è nessun piano. Lui, Sergio, ha semplicemente buttato l’idea "Ferrari in Borsa" per farla circolare grazie alle trombe degli analisti. Nel gergo dei pescatori, avrebbe "pasturato", lanciando esche in acqua per far venire appetito ai pesci. In attesa di qualche banchiere d’affari pronto a un collocamento a prezzo salato, in omaggio anche al leggendario fascino delle Rosse. Un’ipotesi maliziosa ma non priva di charme.