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 2010  dicembre 02 Giovedì calendario

LA MIA FACCIA SENZA TRUCCO

(Colloquio con Susanna Camusso) -

È lì, seduta tranquillamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo occupare la scrivania che è stata fino a ieri di Epifani, e prima ancora di Cofferati, di Trentin, di Lama, su su fino a Di Vittorio che la guarda dall’alto, nel famoso ritratto di Carlo Levi appeso da sempre nella stanza di comando della Cgil. Susanna Camusso è esattamente come l’hai vista in tv: formale e burocratica come quando va a difendere le ragioni del sindacato a "Ballarò", intensa e partecipe come quando elenca le discriminazioni di genere sul lavoro a "Vieni via con me". La prima donna alla guida del più grande sindacato italiano sembra decisa a imporre sul terreno minato del conflitto sociale quel doppio registro, di testa e di cuore, che è sempre stato considerato una debolezza femminile. Che effetto farà fuori e dentro la Cgil, unica organizzazione novecentesca sopravvissuta, è tutto da scoprire. Ma intanto Camusso si gode stupori e riconoscimenti mentre prepara il debutto più tradizionale e impegnativo, quello della piazza nella sua prima manifestazione nazionale come leader.
La sua elezione è stata celebrata come un evento epocale. Come ci si sente a cavallo della storia?
"Piena di responsabilità, compresa quella di contribuire a restituire dignità alle donne".
Non ce l’hanno più?
"Eccome se ce l’hanno, ma deve tornare ad essere riconosciuta. In Italia l’immagine della donna è ormai legata al mercimonio. Molte delle donne alla ribalta non sono il risultato di un processo di emancipazione, anzi hanno contribuito a interromperlo perché sono lì per la scelta di un maschio, di un capo. Questo ci fa prendere sberle un po’ da tutti".
Lei ha fatto da sé. È stato difficile?
"Come in tutte le competizioni sane. E poi nel mondo sindacale, che viene considerato arretrato solo perché è l’unico a non aver perso radici e identità, la mia elezione è stata vista come un risultato collettivo, specie dalle delegate e dalle iscritte. A smentire, una volta tanto, la questione dell’invidia tra donne".
Ora però questo potere guadagnato si tratta di gestirlo. Ha una sua ricetta?
"Sì, è quella di tessere, tessere e cercare di non spezzare mai il filo".
Sembra una scelta un po’ ancillare.
"Tutt’altro. Dobbiamo cominciare ad accettare il fatto che la divisione del lavoro tra uomini e donne non si deve solo alla discriminazione patriarcale, che pure c’è ed è potente, ma è anche una nostra specificità".
Quale sarebbe?
"La capacità di fare relazioni, affettive e quindi sanamente conflittuali, che non mirano a separare ma a trovare punti di incontro. Passiamo la vita a tessere relazioni in casa, in famiglia, nel quartiere... come facciamo a non mantenere questo sguardo mentre lavoriamo?".
Quindi adesso con Emma Marcegaglia, un’altra donna a capo della controparte, sarà tutta una tessitura?
"Beh, terremo il filo, ma senza dimenticare le rispettive funzioni e le questioni di merito. Io prendo la responsabilità del sindacato nel momento più devastante della storia recente, la crisi economica, il declino dell’Occidente, le cesure violente nei rapporti tra uomini e donne, giovani e vecchi, migranti e nativi. E il tutto dipanato in un eterno presente che Berlusconi contribuisce a rendere senza sbocco. In questo clima il mio primo compito resta la difesa del lavoro".
Che intanto è cambiato profondamente. Come pensa di affrontare il nuovo schiavismo, il lavoro immateriale, quello telematico e senza orari con un’organizzazione tarata sulla classe operaia e sugli statali?
"È questo il punto. Non abbiamo più una figura di riferimento da cui partire per costruire tutte le politiche. Negli anni Settanta l’operaio massa fu un simbolo che ci aiutò a dare una grande spinta alle lotte di tutti. Oggi, nella convivenza di lavori di ogni tipo dobbiamo individuare una figura policentrica che tenga insieme il vecchio e il nuovo e rappresenti anche l’esercito di invisibili schiacciati dall’illegalità. È un compito difficile ma non impossibile".
Lei ha trovato anche tre grandi fronti aperti. Come li affronterà? Si accettano solo risposte telegrafiche. Spaccatura con Cisl e Uil.
"Cercherò di convincerli che il conflitto è un motore positivo anche nel bipolarismo e nella crisi".
Marchionne.
"Scaverò dentro un’onnipotenza che vuole scaricare tutte le fatiche sui lavoratori".
Fiom.
"Tesserò, tesserò perché capiscano che gli anni Settanta dei metalmeccanici sono veramente finiti e collaborino a trovare un riferimento comune".
Sarà dura per lei, che conosce bene quella fascinazione. Più di trent’anni fa lasciò l’università e gli studi di archeologia alla Statale proprio per tuffarsi nel sindacato delle tute blu.
"Già, con in più la grande attrazione dell’unità sindacale di categoria, allora rappresentata dalla Flm. Ero stata nel movimento studentesco ma cominciava la stagione in cui tutto si andava frantumando nei rivoli delle piccole organizzazioni. Io invece aspiravo all’unità e a una politica utile, senza "p" maiuscola".
Una maiuscola che ritrovò però nel partito socialista. Lei è il secondo segretario di origine socialista della Cgil, dopo Epifani. Come spiega che gli ex Psi arrivino al comando ad anni di distanza dalla loro scomparsa politica?
"Forse proprio perché, abolite le vecchie categorie, resta la forza di un pensiero che incarna una grande idea di emancipazione, di laicità, di libertà, che in questa stagione è diventata fondamentale".
Amò Craxi?
"Neanche un po’, e ne ho la prova documentata. Nel 1990, insieme ad altri dirigenti Fiom, chiesi l’iscrizione all’Spd, il partito socialista tedesco, perché non mi riconoscevo più nello Psi di Craxi. Io sono sempre stata lombardiana, come mio padre".
La sua era una famiglia borghese. Come accolse la sua scelta?
"Mi lasciò fare. Mio padre aveva già combattuto abbastanza con me negli anni dell’irrequietezza adolescenziale. Sfuggivo continuamente al suo controllo, scappavo e tornavo, un po’ protetta dalle mie tre sorelle, tutte più grandi di me. Un lungo conflitto tra generazione, come era normale all’epoca, da cui mi salvò Amintore Fanfani".
Un amico di famiglia?
"Macché, un legislatore innovativo. Nel 1975 abbassò la soglia della maggiore età dai 21 ai 18 anni e mi permise di andarmene da casa a cercare la mia strada".
Si manteneva da sola?
"In quegli anni un giovane poteva farcela. Prima me la cavai con lavoretti e ricerche di mercato, poi, quando lasciai l’università per il sindacato, ebbi l’incarico di coordinare a Milano i corsi delle 150 ore, grande conquista per il diritto allo studio retribuito".
Un itinerario simile a quello di molti ragazzi di sinistra dell’epoca. Ha avuto anche una vita sentimentale adeguata ai tempi?
"Sono figlia di quel periodo, ma ho sposato un vecchio amore dei miei 14 anni ritrovato più tardi nelle vesti di un giornalista dell’Ansa. Da lui ho avuto una figlia e un matrimonio durato più di 15 anni".
Oggi non le si conoscono altri rapporti. È davvero una donna tutta impegno e sindacato?
"Non mi si conoscono? Bene! Non sono ancora entrata nel pettegolezzo pubblico universale".
Che madre pensa di essere stata?
"Una madre che si è sentita dire dalla maestra dell’asilo: "Guardi che sua figlia dice che i sindacalisti abbandonano i bambini". Del resto lei mi aveva già chiesto: "Come mai gli altri bambini hanno il papà che va via e non la mamma?"".
Come rispondeva?
"Tenendomi i sensi di colpa, correndo su è giù tra Milano e Roma perché ero nella segretaria nazionale della Fiom e raccontandomi la favola bella che non è la quantità del tempo che conta ma la qualità. Più tardi, sono stata più brava a gestire l’adolescenza".
Eppure è notoriamente l’età più difficile.
"Mi ero allenata con il figlio di mio marito. Dai suoi dodici anni in su Andrea è stato la vittima della mia sperimentazione. Oggi è un quarantenne che ha la sua vita da tempo, però per una lunga stagione è stato un figlio. Le posso confidare un rammarico?".
Certo.
"L’unica cosa che mi dispiacerà quando smetterò di lavorare è di non aver fatto altri figli, di non essere al vertice di una grande famiglia. Intanto però mi prendo la soddisfazione di essere la madre di Alice, 22 anni, già laureata alla Normale di Pisa, specializzanda in lettere antiche".
Un classico cervello a rischio di fuga?
"Purtroppo sì, come per tutti i suoi colleghi delle scuole superiori. Anche se per questi studenti andare all’estero è vissuto come un arricchimento, pesa il senso della costrizione. E mette tristezza che nei questionari internazionali sulle aspettative rispetto al primo stipendio, gli italiani indichino sempre una cifra molto più bassa degli altri. Stiamo insegnando ai nostri giovani ad autosvalutarsi".
Camusso le posso fare una domanda frivola e personale?
"Dipende".
Tento. Perché non cura un po’ di più il look? Di lei hanno detto che è più casuale che casual.
"Io non mi sento così sciatta, anche se ammetto che è un problema che mi sono posta. Ma non trovo esempi adeguati, perché il modello del dirigente maschile è facile: giacca e cravatta. Qual è quello femminile?".
Beh, abbiamo visto ministre che lo hanno trovato.
"Appunto".
Almeno un po’ di trucco...
"Quello mai, nessuno mi deve toccare, neanche quando vado in tv. Mi sono truccata una sola volta in 55 anni ed era per una festa di Carnevale. La mia faccia è la stessa quando guido la barca a vela, la mia grande passione, e quando vado a un incontro ufficiale".
Ed è anche la faccia che presenterà in questi giorni al popolo della Cgil nella sua prima manifestazione nazionale da segretario. Si sente pronta?
"Per me è la vera prova del fuoco. Poi si comincia a lavorare davvero".