Giampiero Mughini, Libero 25/11/2010, 25 novembre 2010
L’ITALIA È UNITA, LA MEMORIA NEANCHE UN PO’
Basta pronunciarlo, in un set televisivo, il nome di Benito Mussolini e l’aria si carica di elettricità, i volti si fanno torvi, le parole diventano taglienti. È delt utto normale che sia così. L’avvento e la tragedia del fascismo fanno tutt’uno con la tragedia della storia italiana del Novecento ,il cui apice drammaticissimo è stata una guerra che abbiamoperduto e nella quale siamo stati umiliati e dentro la quale è cresciuto il tumore della guerra civile: italiani euforici nello scannare altri italiani. Per quanto mi riguarda, non credo affatto che la pubblicazione dei Diari di Benito Mussolini, diari che nove su dieci sono fasulli punto e basta, offrano elementi di analisi e di conoscenza ulteriore di questa tragedia; e anche se il romanzo di questi Diari, il loro girovagare affannoso per editori e giornali trepidanti, testimonia quanto la preda sia appetita, quanto il tema del fascismo sia ingombrante nel nostro immaginario collettivo. E purché questo tema non lo si corrompa con richiami stucchevoli all’oggi, al “nuovo Mussolini”della storia politica italiana, ossia Silvio Berlusconi.
Sono rimasto impietrito, nel guardare la puntata dell’ “Infedele”di lunedì sera, quando a un certo punto è apparso in tutto il suo biancore Lele Mora, presentato come «un mussoliniano» non so se minaccioso o grottesco. Di certo uno che non c’entrava niente con la discussione in atto.
Figlio di Nuto Revelli, nei suoi anni verdi militante accanito della sinistra estrema più accanita nello sbandierare il suo “antifascismo militante”, il professor Marco Revelli ha ricordato che Renzo De Felice giudicava “ridicoli” i Diari mussoliniani di imminente pubblicazione; e dunque ridicolo che noi si stia a discutere di quel passaggio dei Diari dove Mussolini avrebbe vergato che lui non ce l’ha affattocon gli ebrei, i quali possonoc ontinuare ad avere la vita chehanno sempre avuto in Italia. E lo dice lui che pochi mesi prima ha firmato quelle leggi razziali che hanno cacciato via dai posti di lavoro ebrei italiani che s’erano comportati eroicamente durante la Prima Guerra mondiale e annichilito i tanti ebrei che nel fascismo avevano creduto. Citare uno studioso dell’autorità di Renzo De Felice è quanto più dipertinente. Altro che i Diari, andrebbe distribuito agli angoli delle strade quel suo Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo che De Felice aveva pubblicato da Einaudi nel 1961 e che fece da avamposto di quella sua più generale storia del fascismo che fa da pietra miliare degli studi sull’argomento. Solo che c’è unpiccolo particolare che Revelli di certo ricorderà.
IL PERSEGUITATO
Che più e più volte De Felice andò a fare lezione all’università di Roma sotto scorta, tale era l’odio e la contestazione di cui era bersaglio da parte degli studenti dell’estrema sinistra; che a un certo punto l’aggressione intellettuale contro De Felice da parte degli storici legati alla sinistra o all’estrema sinistra fu tale che toccò nientemeno che a Giorgio Amendola difenderlo sulla prima pagina dell’Unità. Per dire qual era l’atmosfera degli anni Settanta, per dire quanto fosse intoccabile il tabù secondo cui l’antifascismo era il Bene Assoluto e il fascismo il Male Assoluto, la libreria specializzata in autori e libri del Ventennio (una libreria che era una miniera pergli studiosi e che De Felice utilizzava moltissimo) che stava sotto la mia vecchia casa di via dellaTrinità dei Pellegrini venne attaccatauna sera a colpi di bottiglie molotov e ne andarono distrutti un bel po’ di libri, il segn oche nel terrificante Novecenton on erano soltanto i nazi a bruciare la carta di cui sono fatti i libri. Potrei continuare per un bel po’ se non fosse che mi è appena arrivato il magnifico libro di uno dei migliori giornalisti italiani della generazione a metà stradafra i quaranta e i cinquanta, il Viva l’Italia! di Aldo Cazzullo. Unlibro il cui segmento centrale è dedicato alla Resistenza, ai morti dei “vincitori” e ai “morti” dei vinti. Dicessi che il libro di Aldo è un libro anti-Pansa lo immiserirei, e a parte che Aldo non ha il benché minimo tocco ostile nei confronti di Pansa, di uno anchelui che deve essere scortato e protetto quando va a presentare uno dei suoi libri da qualche parte. Epperò il libro di Aldo è certamenteun libro che sta tutto dalla parte degli antifascisti, di coloro che si levarono contro l’ignominia dell’alleanza con i nazi, di coloro che vennero braccati, impiccati e messi a penzolare per strada, torturati - uomini e donne-, e quando non erano rappresaglie in cui il prezzo esorbitante venne pagato dalle popolazioni civili. Non ho da aggiungere né da modificare una virgola alle storie che Aldo racconta con tutti i loro terrificanti dettagli. Storie che lui mette in rilievo a dire da dove nacque la mattanza dei “vinti” più e più volte raccontata (meritoriamente) da Pansa. Non c’è dubbio, si chiama guerra civile .Un colpo cui segue un controcolpo.Un agguato cui segue unarappresaglia. Tu lo hai atto a me, io lo faccio a te. Un atto di barbarie nei confronti di un prigioniero che viene bilanciato da altrettanti e più atti di barbarie contro i prigionieri della parte opposta.
NOI REVISIONISTI
Epperò bada bene, Aldo, nessunodi noi “revisionisti” (io losono abbastanza, ma non più delgiusto, del dovuto) ha mai rovesciato il guanto e detto che i partigiani erano delle carogne. Semmai che tra loro c’erano anche delle carogne, a cominciare da quello che comandò la mattanza di Porzûs, dove fecero a pezzi il fratello di Pier Paolo Pasolini e lo zio di Francesco De Gregori. Quello sì che era una carogna, né più né meno di Erich Priebke, solo che lo Stato italiano gli ha pagato una pensione fino alla fine della sua vita. E quanto ai morti, caro Aldo, io non riesco a trattenere la mia commmozione per nessuno di loro. Tu ricordi espressamente il caso di Giuseppe Solaro, il federalere pubblichino di Torino. Lui era stato fra quelli che avevano condannato a morte lo stato maggiore del Cln del Piemonte. Poi venne il suo turno, un turno atroce. Lo presero, lo portarono in giro su un camion, tentarono una prima volta l’impiccagione che non riuscì, al secondo tentativo e in un altro posto riuscì. C’è la foto in primo piano di Solaro (la vidi per la prima volta in un libro di Giorgio Pisanò), le mani legate dietro la schiena, il volto che di chi sta andando lealmente a finire la sua vita. Se ricordo bene era uno che avrebbe potuto scappare, non lo fece. Quel suos guardo, quel suo volto non la finivano di ossessionarmi tantoche ne accennai una volta con pietas, e sua figlia mi mandò due parole di ringraziamento che conservo.
Tu dici, Aldo, che con quello che aveva fatto non poteva aspettarsi altro. Dente per dente.La guerra civile fra italiani. E con tutto questo è lecito dire una parola di commozione anche per Solaro, a 65 anni di distanza? Mentre invece, quanto all’assassinio di Giovanni Gentile, lì non ci sono attenuanti di sorta. Fu un atto di “terrore”, uno sparare all’avversario in divisa quale che fosse la sua identità concreta e individuale. Fu un atto di vigliaccheria - né più némeno di quello che ebbe a bersaglio Luigi Calabresi - perché presero a bersaglio un uomo che girava solo e senza scorta. Di più.
Fu uno dei tanti gesti e azioni proprie alla “Resistenza comunista” che è cosa non opposta e pur tuttavia diversa dalla “Resistenza” per come tu la intendi e l a chiami. E su quest’ultimo punto, Aldo, e per onestà e lealtà reciproca, davvero non retrocedo di una virgola.