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 2010  ottobre 14 Giovedì calendario

«CON I LIBRI GUADAGNO POCO, MEGLIO LE SEIRE TV»


Venticinque anni dopo, Clay è tornato. Il protagonista di Meno di Zero, il romanzo d’esordio di Bret Easton Ellis, riprende vita nelle pagine di Imperial Bedrooms (Einaudi, pp. 146, 18 euro), ambientato a Los Angeles. La città dove vive Ellis e dove Clay, diventato uno sceneggiatore di successo, torna perseguire i provini del suo nuovo film.
Ma, appena esce dall’aeroporto, una jeep azzurra inizia a seguirlo. Messaggi anonimi lo avvertono che qualcuno lo spia, e lui si trova invischiato in una storia di omicidi e ricatti collegati in maniera misteriosa con i suoi vecchi amici e con Rain Turner, attricetta che Clay rimorchia a un’audizione con la promessa di una parte da protagonista.
Da pochi giorni, la nuova opera dell’autore di American Psycho, Glamorama e Lunar Park, è uscita anche in Italia, e Ellis sarà questa sera ad Alba (al Teatro Sociale,ore 21) e domani a Milano (alla Feltrinelli di Piazza Pie-monte, ore 18.30) per incontrare i lettori. Lo abbiamo incontrato.
Può raccontarci come è nato questo nuovo romanzo?
«Prima di scrivere Lunar Park avevo riletto Meno di Zero, e un giorno, mentre ero in macchina da solo, mi sono reso conto che avevo iniziato a chiedermi che fine avesse fatto Clay. Non so per quale motivo, forse perché ho lavorato cinque anni a quel primo romanzo che per me è stato veramente importante. Ma anche altri miei personaggi hanno la caratteristica di “andare e venire”: per esempio Patrick Bateman, lo yuppie serial killer protagonista di American Psycho, compare qualche anno dopo in Lunar Park. Però, rispetto a venticinque anni fa, Clay è molto cambiato». Come si è evoluto il protagonista?
«Non è più il giovane diciannovenne insicuro e passivo di Meno di Zero. Ora è un quarantenne di successo, narcisista e maniacale, che sa quello che desidera e cerca di controllare ciò che lo circonda. Come gli dice uno dei personaggi, “vuole solo ciò che non può avere”. In parte, poi, la sua figura è autobiografica, e rispecchia il modo in cui mi sentivo nei tre anni in cui ho scritto Imperial Bedrooms. All’inizio avevo pensato di raccontare una storia d’amore fra Clay e Blair, la sua fidanzata dei tempi dell’università, ma quando mi sono trasferito da NewYork a Los Angeles il mio stato d’animo è cambiato. Tutto a causa del fatto che avevo tradito un amico».
Quindi lei sentiva veramente il senso di solitudine e paranoia che si respira nelle pagine?
«Sì, mi sentivo paranoico perché ero circondato da persone false e, come ho detto prima, io stesso avevo tradito un amico. Per di più, ho incontrato davvero una persona approfittatrice come la Rain Turner del romanzo. Non riuscivo a leggere in maniera corretta la realtà e gli altri mi facevano paura, nonostante a Hollywood ci siano molte brave persone e non solo le carogne che descrivo nel libro. La mia paranoia è peggiorata anche a causa delle difficoltà legate alla pro-duzione del film “The informers”, tratto da uno dei miei romanzi. Durante le riprese è successo di tutto, compresa la morte per overdose di uno degli attori. Scrivere una sceneggiatura è molto diverso da scrivere un libro, e mi sembrava di essere circondato da bugiardi. Solo col tempo mi sono reso conto che un certo ottimismo fasullo fa parte di quel modello di business, e che per produrre una pellicola bisogna sapers cendere a compromessi. Comunque alla fine il film è uscito, io ho finito il libro e sono tornato sui binari. In uncerto senso, Imperial Bedrooms mi ha salvato la vita».
È vero che questo sarà il suo ultimo romanzo e che da ora in avanti si dedicherà solo alla sceneggiatura, come ha detto in un’intervista di due anni fa?
«Non lo so, però in questo momento non sto lavorando a nessun libro, e mi sto concentrando soprattutto sulla scrittura di sceneggiature per film e serie televisive. Ma mi interessa di più il piccolo schermo».
In molti la criticherebbero per questa scelta, perché un vero intellettuale non si dovrebbe mischiare con la televisone, ma dedicarsi ad altreattività meno “commercia li”…
«Queste persone hanno torto. Non ho mai dato peso ai critici, e trovo insopportabili gli scrittori che passano i ltempo a dare giudizi. Possono accusarmi di essere antiintellettuale, mi sogino o razzista, tanto non mi interessa. L’unica cosa che non tollero è che qualcuno dica che sono grasso».
Quali sono le serie tv che vorrebbe aver scritto?
«Mad Man, I Soprano, The Hills e Jersey Shore».
Jersey Shore (una sorta di reality su un gruppo di ragazzi italoamericani ossessionati dall’aspetto fisico e dalle feste) non è il simbolo della tvs pazzatura?
«In effetti è un po’ trash, ma mi è piaciuta molto soprattutto la prima serie. Tutti questi programmi hanno la caratteristica di seguire lo schema delle soap opera, ma è necessario costruire una cornice narrativa per attirarei l pubblico. In questo momento ho sottoposto alla HBO un format sul modello di The Hills e, per l’appunto, di Jersey Shore, nel quale voglio raccontare la vita di ungruppo di ragazzi di NewYork e il loro rapporto con le nuove tecnologie e con il mondo del lavoro. È questo il mio prossimo progetto, non un nuovo romanzo».
Se potesse tornare indietro, rinuncerebbe a scrivere uno dei suoi libri per realizzare un programma tv di successo?
«Ma sì, rinuncerei anche a tre o quattro romanzi per il programma che ho in testa. Non ho mai considerato i miei libri particolarmente preziosi, perché il successo dipende dal pubblico, non da me. Diciamo che l’unico da salvare sarebbe American Psycho, perché è quello che mi ha fatto diventare ricco e ancora oggi mi permette di mantenere il mio stile di vita».
Chi sono i suoi autori di riferimento?
«Vladimir Nabokov, FrancisScott Fitzgerald, Lev Tolstoj, Philip Roth e Jonathan Franzen. Freedom, il suo nuovo romanzo, è un vero capolavoro. Quando ho letto che lo paragonavano a Tolstoj miveniva da ridere, ma mi sono dovuto ricredere. A lui è riuscito quello che non è riuscito a nessuno scrittore della mia generazione, e il suo è il miglior libro scritto datrent’anni a questa parte. È pura emozione».
Lei è considerato una delle voci più interessanti e più capaci fra quelle che hanno raccontato gli anni Ottanta. Anzi, molti la considerano “la voce” di quegli anni. Come ricorda quel periodo?
«Non amo considerarmi la “voce degli Anni ’80”, al massimo posso essere una delle voci. Mi hanno attaccato questa etichetta e ci devo convivere. Quando ero giovane non volevo scrivere romanzi, ma fare il musicista, andare alle feste e stonarmi. Tutto è iniziato quando il mio insegnante di scrittura del college ha letto il mio saggio finale, Meno di Zero, e l’ha mandato ad una casa editrice. Poi, senza ne anche un po’ di pubblicità, il libro ha raggiunto un successo incredibile. Adesso, 25 anni dopo, negli Stati Uniti è appen auscita una nuova ristampa, ma Meno di Zero è stato capito da pochi: io non volevo scrivere degli anni ’80, ma di me stesso negli anni ’80». Pubblicare un sequel, così come riproporre vecchi personaggi di successo come Patrick Bateman, non è una scorciatoia per vendere più copie?
«Se mi fossero interessati solo i soldi avrei dovuto scrivere American Psycho 2, o L’adolescenza di American Psycho, per il quale mi avevano già offerto un anticipo. E poi vengo pagato di più come sceneggiatore che come romanziere. Questo è un libro personale, per questo ho fatto rinascere Clay».