Marco Magrini, Nòva24 25/11/2010, 25 novembre 2010
IL CLIMA DOPO LA TEMPESTA
«Il vertice di Copenhagen potrebbe ancora rivelarsi un successo, se tutti gli impegni presi, anche finanziari, verranno confermati». Achim Steiner, il 49enne direttore esecutivo dell’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, cerca di riabilitare il flop del vertice climatico di un anno fa: lunedì prossimo, il carrozzone diplomatico riprende a marciare con il summit convocato a Cancun, in Messico, e c’è bisogno di un po’ di ottimismo. Ma anche di tanta, tanta volontà.
Se vogliamo salvare il pianeta, dice Steiner, dobbiamo colmare «il divario fra la scienza e gli impegni presi a Copenhagen», non da tutti i Paesi, ma almeno da quelli più industrializzati, Cina inclusa. Perché, secondo un rapporto dell’Unep presentato due giorni fa, la prima promessa di Copenhagen (limitare l’incremento della temperatura media planetaria a 2 gradi centigradi) fa a cazzotti con la seconda (tagliare di poco le emissioni di gas-serra).
Il Copenhagen Accord, firmato in extremis quando ormai il vertice danese pareva destinato al naufragio, prevedeva che ogni Paese dichiarasse i propri impegni. I quali, sono già nero su bianco: l’Europa, ad esempio, promette quel famoso 20% in meno da qui al 2020 (rispetto ai livelli del 1990, l’anno zero della diplomazia climatica). Peccato che gli scienziati – inclusi quelli che hanno redatto il rapporto Unep – ritengano che, colletivamente, quegli impegni sono insufficienti.
Ecco le cifre. Se non facessimo niente, nel 2020 le emissioni globali ammonterebbero a 56 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti, contro le 48 dell’anno scorso. "Equivalenti" vuol dire che si tiene conto dell’anidride carbonica, ma anche di tutti gli altri gas-serra e del loro "peso specifico": il metano, ad esempio, nell’arco di vent’anni ha una capacità di trattenere la radiazione infrarossa del pianeta 72 volte di più della CO2 e il protossido di azoto 289. Ebbene, con il Copenhagen Accord si scenderebbe da 56 a 49 miliardi di tonnellate.
Però non bastano. La temperatura è già salita di 0,7 gradi, dall’inizio del Novecento. Secondo gli addetti ai lavori, altri 1,3 gradi di incremento (attenzione: qui non stiamo parlando della temperatura di una stanza, ma della temperatura media annuale dell’intero pianeta) sono già "in lavorazione", calcolando le emissioni attuali e le proiezioni future, in un mondo sempre più popolato e sempre più affamato di energia. «Nei prossimi dieci anni – conclude il rapporto – bisogna trovare il modo di tagliare altre 5 tonnellate, ovvero quanto hanno emesso tutte le automobili e i camion del mondo nel 2005».
«Basterebbe aumentare gli impegni sul fronte CO2 – commenta Steiner – e agire su altri gas», ad esempio facendo attenzione agli allevamenti, grandi produttori di metano. Se non fosse che l’esercizio intellettuale dell’Unep poggia su quella fatale premessa: che ogni paese tenga fede alla parola data. Ma non sarà facile. Sono in dubbio perfino le promesse dell’uomo più potente del mondo: la nuova maggioranza in Congresso è ostile alla legge climatica che Obama aveva promesso a Copenhagen.
E intanto il tempo – variabile fondamentale, nelle proiezioni dei climatologi – passa inesorabile. Nell’anno fra Copenhagen e Cancun, non è successo niente. Però il mondo ha aggiunto all’atmosfera 32 miliardi di tonnellate di CO2; altri 5,2 milioni di ettari di foreste non assorbiranno più CO2 perché disboscati; e il livello dei mari è salito di altri 2,2 invisibili millimetri.
«Non c’è tempo da perdere», rimarca il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon. «Solo chiudendo il divario fra gli impegni presi e la scienza, potremo aprire un’era di prosperità a basso contenuto di carbonio». Il che vuol dire, in parole povere, far transitare il più rapidamente possibile il sistema energetico planetario dai combustibili fossili a basso prezzo, a fonti rinnovabili ben più costose.
Non era facile a Copenhagen, non sarà facile a Cancun.