Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 25/11/2010, 25 novembre 2010
VIAGGIO NEL DESERTO SULLE ORME DI CUCCIA
In questa storia di luce e di ombra compaiono Enrico Cuccia, la sua avventura giovanile nel viceregno dell’Africa orientale italiana e i suoi convincimenti keynesiani. E ci sono gli affari e gli uomini di Mediobanca che indossano la sahariana anziché il doppiopetto in uso a Via Filodrammatici, assistono dalle cittadelle riservate ai bianchi alle guerre civili e alla decomposizione del colonialismo, partecipano a battute di caccia grossa in luoghi conradiani, alla "Cuore di tenebra". Enrico Cuccia e l’Africa, un legame durato tutta la vita. Basta sfogliare a caso i bilanci di Mediobanca. Ancora negli anni successivi alla morte del banchiere e all’uscita non indolore del custode della sua ortodossia, Vincenzo Maranghi, se ne trovano traccia: sul bilancio al 30 giugno del 2005 risulta in liquidazione la Tradevco Ltd, la Liberian Trading and Development Bank Ltd, operativa a Monrovia. E, in quello al 30 giugno 2008, ecco la partecipazione in Zambia Tanzania Road Services Ltd. A 29 anni, nel 1936, Cuccia è un funzionario del sottosegretariato per gli scambi e per le valute. È luglio. Viene mandato in Africa, dove resterà fino al novembre del 1937, a indagare su un contrabbando di valute attuato dall’amministrazione di Rodolfo Graziani. Nel dopoguerra, quando Cuccia diventa Cuccia, costruisce una rete di partecipazioni in banche locali e di società per fare l’intermediazione diretta sui mercati africani delle merci prodotte da aziende italiane: Falck, Pirelli, Olivetti, Fiat. La holding è la Intersomer. Nel 1978 Giovanni Dosi ne diventa direttore generale. Prima ha lavorato in Tanzania e in Zambia. «Nel periodo di massima espansione - ricorda Dosi - le società africane controllate da Intersomer avevano oltre un migliaio di dipendenti». Dosi alterna l’ufficio alle battute: «Ho cacciato elefanti, bufali, ippopotami, coccodrilli, antilopi, leopardi. Nella savana, nella Luangwa Valley, circondato nell’erba alta da sette leoni, per uscirne vivo ho dovuto ucciderli a fucilate». Storie di uomini, di affari e della versione internazionale di una concezione della banca come ente regolatore. «Nell’Africa - chiarisce lo storico dell’economia Giandomenico Piluso - Cuccia scorgeva occasioni di profitti, ma aveva anche un intento keynesiano: Intersomer era parte di una strategia multinazionale di sviluppo che univa paesi poveri e industrializzati». Una opzione valida non oltre i primi anni Ottanta. Nel 1964 la Rhodesia del sud, oggi Zimbwawe, dichiara l’indipendenza dalla Gran Bretagna. La Rhodesia del nord, l’attuale Zambia, non ha più sbocchi sul mare da cui esportare il rame, la sua principale ricchezza. «Il dottor Cuccia - ricostruisce Dosi - con l’avvocato Agnelli trovò la soluzione. Da nord-ovest e da ovest, dall’Angola, non si poteva passare, perché una guerra civile aveva distrutto tutti i ponti. Per garantire allo Zambia l’accesso al mare, nel 1966 si decise di realizzare una strada che sarebbe passata dalla Tanzania». Millequattrocento miglia, savana e deserto, chiamata dagli indigeni «hell run», la strada dell’inferno. Intersomer ha il 33% di Zambia Tanzania Road Services Ltd. Il 16,5% ciascuno va ai governi dello Zambia e della Tanzania. Una operazione di diplomazia internazionale. E buoni contratti: la Fiat fornisce i 1.400 camion su cui, all’andata, viene caricato il rame destinato al porto di Dar es Salaam (in Tanzania) e su cui, al ritorno, sono trasportati macchine utensili, barili di benzina, abiti, scarpe, frigoriferi. I camion montano pneumatici Pirelli. I rimorchi sono della Piacenza Rimorchi.
«Il dottor Cuccia - conclude Dosi - rimaneva tre giorni. Lo aspettavo al bordo della pista di Lusaka. Lui, con quaranta gradi all’ombra e sotto il sole africano, scendeva dall’aereo in doppiopetto, come fosse in Via Filodrammatici». La sera Cuccia beveva mezzo bicchiere di vino rosso e si coricava presto.