Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 25 Giovedì calendario

IL DEBITO DI MR. O’SULLIVAN IN POCHE MANI STRANIERE

Se fossero stati Mr Smith, Mr O’Sullivan o Mr Murphy a comprare i titoli di stato del loro paese, cioè l’Irlanda, oggi Dublino avrebbe un problema in meno: la crisi ci sarebbe ugualmente, ovvio, ma forse sarebbe meno in balia dei capricci dei mercati. Purtroppo per loro, però, non è stato così: oggi il 75% del debito pubblico e il 50% del debito bancario irlandese è infatti in mani estere. Una montagna di 113 miliardi di euro, che in Irlanda equivale a circa il 66% del Pil, è ostaggio dell’umore degli investitori non irlandesi. Se si considera che una buona fetta di questo debito (pari a 44 miliardi di dollari) è assicurata attraverso credit default swap e se si pensa che il 72% del mercato di queste polizze passa attraverso le cinque maggiori banche Usa, il problema diventa ancora più serio: il debito irlandese, in fin dei conti, parrebbe influenzato dalle decisioni di pochi grandi gruppi bancari. Questo è un problema per Dublino. Per Mr Smith, Mr O’Sullivan, Mr Murphy. E, in fondo, per l’Europa: discorsi analoghi si possono infatti estendere a Grecia e Portogallo.

Incrociando alcuni dati (quelli di Banca centrale, Bri, Dtcc e le stime di Rbs) si riesce a delineare un quadro abbastanza dettagliato del problema. Prendiamo ad esempio il debito delle banche irlandesi. A inizio 2010 gli investitori locali detenevano 38 miliardi di euro di bond bancari, mentre 14 miliardi erano in mano a investitori europei e 47 a soggetti extraeuropei. Insomma: a gennaio il 62% del debito bancario irlandese era in mani estere. Oggi gli investitori locali hanno mantenuto quasi invariata l’esposizione, mentre quelli internazionali l’hanno ridotta a un totale di 35 miliardi. Morale: con lo scoppio della crisi, i non-irlandesi hanno quasi dimezzato i crediti alle banche. E con i titoli di stato di Dublino hanno fatto lo stesso, vendendo a piene mani.

Direbbe Mark Twain: l’investitore estero è colui che ti presta l’ombrello quando c’è il sole e te lo chiede indietro quando inizia a piovere. Proprio questo è il nodo: non appena in Irlanda è iniziata la "pioggia", banche e fondi internazionali hanno ritirato i finanziamenti. «Gli investitori locali conoscono meglio il proprio paese, per cui sono in grado di comprendere l’evolversi di una crisi e di non farsi prendere dal panico – osserva Marco Annunziata, capo economista di UniCredit –. Quelli esteri, invece, sono più portati a vendere appena le cose non vanno bene». Ecco perché avere il 75% del debito pubblico fuori dai confini nazionali è un’aggravante per l’Irlanda. Come lo è per il Portogallo e per la Grecia. E infatti il governo di Dublino sta cercando di correre ai ripari: modificando una legge, intende consentire al fondo di social security di investire maggiormente sui titoli di stato locali.

Ma per ora il problema resta. I dati ufficiali (della Bri) indicano che a giugno le banche più esposte erano quelle tedesche (138 miliardi di dollari) e quelle inglesi (131 miliardi). Un recente articolo del «Wall Street Journal» rivela che la più esposta in Gran Bretagna è Royal Bank of Scotland (64 miliardi di euro), seguita da Lloyds (32 miliardi). Ma questi dati dicono poco: utilizzando i credit default swap (delle vere e proprie polizze assicurative) qualunque banca può infatti "coprire" la sua esposizione. La Depositary Trust & Clearing Corp calcola che oggi le polizze contro rischio-Irlanda ammontano a 44 miliardi di dollari lordi (da 29 miliardi di un anno fa): dunque esistono "coperture assicurative" per questa cifra. Per cui il rischio Irlanda può essere altrove. Dove? Impossibile saperlo. Si sa solo che il 72% del mercato dei credit default swap passa da JP Morgan, Bank of America, Goldman, Morgan Stanley e Citigroup. E che sono sempre loro, insieme a pochi altri big europei, a dominare il mercato dei titoli di stato. La verità è che il mondo del debito è concentrato in poche mani. Purtroppo per Mr Smith, non sono irlandesi.