Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 25/11/2010, 25 novembre 2010
MAXI-MANOVRA A DUBLINO
«Se ne vanno, i miei connazionali, se ne vanno. Questo paese è messo male». Jon, 34 anni, autista rumeno, alza il volume della radio, fermo nel furgone parcheggiato sul Quay lungo il fiume Liffey, nel centro di Dublino. Ascolta il premier Brian Cowen sgranare il rosario e correda le parole con un gesto della mano che non lascia dubbi. Via da qui, direzione Bucarest, che d’improvviso appare più vicina, anche per lui, che la paga continua a riceverla. Oggi come ieri, quando le mille luci dell’Irlanda erano magnete irresistibile per le democrazie emergenti del dopo guerra fredda. Le Ave Maria che il capo del governo irlandese va leggendo a un popolo attento, danno ragione allo scettico Jon. La festa è davvero finita se per salvare l’euro Dublino deve varare manovre di bilancio che in quattro anni porteranno a una correzione di 15 miliardi, il 9% del Pil. Per la seconda volta in tre anni. Dalla caduta di Lehman in poi, sono state varate finanziarie di emergenza e non per circa 14 miliardi di euro e ieri, Cowen ha promesso un’altra stretta di uguale valore. All’irlandese medio costerà 20 euro alla settimana. Tanto dovrebbe bastare per salvare la pecunia comune della Ue. Dovrebbe perché i "se" e i "ma" sono protagonisti di questa infinita battaglia contro il diffondersi del virus che minaccia l’euro.
Il piano del governo irlandese che fissa la scena per il negoziato con Fondo monetario e Unione europea chiamati a liberare aiuti per almeno 85 miliardi di euro, è un disegno perfetto. Sulla carta. I 15 miliardi di correzione si svilupperanno per due terzi sul fronte dei tagli e un terzo su quello delle imposte. La prima tranche scatterà con la finanziaria 2011 che il governo presenterà il 7 in Parlamento e che sarà pari a 6 miliardi di euro, il 40% del totale, il resto seguirà nei tre anni successivi. Il risultato sarà il calo del disavanzo pubblico dall’11,7% di fine 2010 al 2,8% nel 2014. Tutto ciò naturalmente se il tasso di crescita programmato (superiore al 2% nel 2011) sarà centrato e se i tassi sul debito saranno al 5% (questo dipenderà dalla trattativa con Fmi e Ue). Dubbi sulla crescita espressi anche da Standard & Poor’s che ha tagliato di due scalini (da A ad AA-) il rating del paese.
Tutto questo diverrà realtà se passeranno inalterate le misure annunciate. I punti centrali sono: taglio di 24mila posti nel pubblico impiego, tassa di 100 euro sulle proprietà, riduzione del 12% del salario minimo (fra i più alti d’Europa) destinato a calare a 7,65 euro all’ora, aumento di due punti dell’Iva fino al 23%, imposta sui consumi d’acqua, riduzione del 10% dei salari pubblici per i neoassunti. Su tutto l’allargamento della base imponibile con un ricalcolo delle aliquote dell’Irpef, la cancellazione di sgravi per i pensionati e il taglio degli assegni previdenziali più rotondi (oltre i 60mila euro). Il risultato finale sarà la caduta della spesa pubblica al 36% del Pil contro il 49 degli anni più belli.
Salva per ora, ma la vera partita su questo capitolo si deve ancora giocare, l’aliquota del 12,5% sulle imprese, bandiera della riscossa economica irlandese capace come è stata di attrarre investimenti dall’estero. «E continua ad attrarli - commenta John Fitzgerald, responsabile dell’Esri, il più blasonato think tank economico irlandese - infatti si notano già segnali di sviluppo. L’export è tornato a crescere e la produzione industriale pure».
Tutto dipenderà dalle chance di approvazione del piano, o meglio della finanziaria da 6 miliardi. «L’opposizione dà segni di disponibilità - aggiunge l’economista - credo che il budget abbia l’80% di chance di passare».
Resta aperta la piaga più dolorosa, quella sui bilanci delle banche, vera ragione della crisi irlandese. Questo è il tema del negoziato fra Dublino, Bruxelles e Fmi. Ma in vista di quel passaggio in discussione, era necessario piantare i pilastri del risanamento. Dublino è convinta di averlo fatto, Jon molto meno. I bagagli sono pronti anche per lui.