Alessandra Mangiarotti, Corriere della Sera 25/11/2010, 25 novembre 2010
NON SOLO INCENERITORI CINQUE IDEE PER NAPOLI —
Produrre meno rifiuti. Potenziare la differenziata. Aprire gli impianti inutilizzati, da quelli di selezione a quelli di compostaggio. Quindi: mettere a regime l’inceneritore di Acerra e chiamare i privati a smaltire la piramide di ecoballe. Ecco le cinque cose da fare, e da fare subito, indicate da due esperti di gestione dei rifiuti: Walter Ganapini ed Enzo Favoino. Il primo è l’uomo che nel ’95 ha salvato Milano dai rifiuti e nel 2008 è stato chiamato dal governatore Bassolino come assessore all’Ambiente. Enzo Favoino, invece, è ricercatore della Scuola di agraria del Parco di Monza e consulente della Commissione Ue.
1— Produrre meno rifiuti
Con tremila tonnellate di immondizia sulle strade non si può che partire dalla riduzione dei rifiuti. Come? «Ad esempio — spiega Enzo Favoino, che parla da tecnico e non da consulente — promuovendo il compostaggio domestico, l’uso dell’acqua del rubinetto (a Mercato S. Severino è nata la prima casa dell’Acqua). Ma anche vietando nelle tante manifestazioni le stoviglie usa e getta». L’uso di bicchieri e piatti di plastica, contenitori e imballaggi ingombranti dovrebbe essere disincentivato anche tra cittadini e pubblici esercizi.
2— A domicilio
Già nel 2001 alcuni comuni campani sono partiti con la differenziata a domicilio. «Oggi — concordano Ganapini e Favoino — molti fanno bene quanto al Nord: Salerno ha raggiunto il 75%, Benevento, Avellino il 50, persino Caserta (se si esclude la zona dei Casalesi). E fanno bene anche 130 mila abitanti dei quartieri napoletani di Ponticelli e Colli Aminei: 300 dei 551 comuni campani differenziano». Il problema è l’area metropolitana di Napoli: 3 milioni di abitanti che producono il 60% dei rifiuti campani. «Questo ritardo resta uno dei misteri — dice Ganapini —. Esiste un piano firmato da Fortunato Gallico dal 2002 ma non è stato mai usato». Eppure: «È una cosa semplicissima — aggiunge Favoino — servono risorse iniziali, ma poi poco. E i risultati arrivano dopo una settimana».
3— Usare gli impianti chiusi
Contestualmente vanno messi in funzione i cosiddetti impianti di selezione, dove dall’umido si passa al secco, dal pesante al leggero: sono 7, hanno una capacità di 8.500 t/giorno a fronte di una raccolta regionale di 5.600. «Vanno messi in funzione a partire dai tre del Napoletano: quelli di Tufino (pronto e non utilizzato), di Caivano e Giugliano. Bisogna costringerli a usarli. Guardando al modello Venezia: il modello Fusina, dove i rifiuti residui secchi vengono bruciati nella centrale a carbone». È la strada della riconversione degli impianti di trattamento meccanico biologico: «Dai rifiuti residui si arriva ad altro: a materiali per l’edilizia, Benevento ci ha già pensato. O a combustibili per le cementerie campane».
4— I siti per il compostaggio
Differenziata fa rima con compostaggio. «Cosa non da poco visto che al Sud la frazione organica arriva al 50% di tutta la differenziata, molto più al Nord: a Salerno ogni abitante produce 130-140 kg di rifiuti organici all’anno contro i 60-80 del Nord. Pagando però più del doppio per lo smaltimento». Perché in Campania mancano gli impianti di compostaggio e i rifiuti vengono portati in Puglia, in Sicilia: «E si arriva a pagare fino a 200 euro/t contro i 70-80 di norma». Che scendono a meno di 46 a Bologna. «Bisogna subito aprire impianti di compostaggio: sono veloci da realizzare, costano poco», dice Favoino. Anche in questo caso ce ne sono di pronti, una dozzina, mai entrati in funzione.
5— Da Acerra alle ecoballe
Fatto questo? «Basterebbe ripristinare l’inceneritore di Acerra, con le sua capacità di 1900 t/giorno, per tutta la Campania». E sul tavolo resterebbe solo lo smaltimento di quei 6-7 milioni di ecoballe che l’Ue ha inserito sempre sotto la voce emergenza. Come? «Solo per dire due tecnologie d’eccellenza: utilizzando l’ossicombustione senza fiamma o i gassificatori di rifiuti secchi», dice Ganapini. «A febbraio i sindaci di Giugliano e Villa Literno hanno dato l’ok a installare un impianto sul loro territorio, 46 aziende hanno presentato manifestazione d’interesse». Ecco: «Durante l’emergenza di Milano, quando le tonnellate di rifiuti in strada erano 40 mila, ci si rivolse al privato: con gli appalti pubblici ci sarebbero voluti 400 miliardi, con 80 i privati risolsero il problema in sei mesi».
Alessandra Mangiarotti