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 2010  novembre 25 Giovedì calendario

«QUI NIENTE MUNNEZZA». IL BOSS DIFENDE IL FORTINO —

Il cartello, scarabocchiato col pennarello nero, è tranquillamente perentorio: «NON mettete spazzatura». E in effetti funziona: quei dieci metri di Vicolo Lungo Trinità degli Spagnoli, in mezzo al rione Montecalvario da due settimane costipato di mondezza, sono lindi come un marciapiede di Lugano. «Eeeeh, perché quell’avviso l’ha scritto uno che ce lo poteva scrivere, e chi abita in zona lo sa», sospira Gianni, rassegnato e saggio. «È una questione di rispetto», aggiunge, tanto per precisione.
Lui è un brav’uomo che fatica e non cerca rogne, insomma uno che non se lo può permettere un cartello così. Infatti nella sua strada, Vico Lungo Concordia, vengono a buttare sacchetti e detriti da altri sette vicoli attorno: lui e i suoi vicini, sempre buoni e zitti. Quelli dei vicoli attorno si sono tolti pure i cassonetti da sotto casa, tanto la discarica ce l’hanno là dietro, dalle parti di Gianni. «Toccherebbe fare questione, ma ti vai a appiccicare soltanto, meglio di no».
La munnezza fa gerarchia nei Quartieri Spagnoli, «il pesce grande mangia il pesce piccolo». Chi non ha un vicino di rispetto, si affida ai santi. Mica per dire, alla lettera. Il rimedio era stato sperimentato già alla prima emergenza: una madonnina o un altarino nei paraggi bastano per far venire qualche scrupolo a chi si appresta a scaricare sotto a una finestra una montagna di schifezze. I Quartieri pullulano di statue e tabernacoli (gettonatissimo Padre Pio) che oltre a scacciare il Maligno allontanano il male che affligge Napoli da almeno quindici anni, questo magma di plastica, percolato e verdure marce che ogni tanto sembra sgorgare dal ventre della città per sortilegio. Veramente in via Speranzella ci sarebbe un’eccezione alla regola: un grande murale di Gesù con quattro cumuli di spazzatura proprio davanti. «Ma noi qua teniamo gli extracomunitari, e quelli so’ musulmani», si giustificano nella strada. Quelli di Vico Lungo Concordia avevano deciso di mettere su una cappella, una cosetta fatta bene, con cristalli luccicanti e neon verdini, bella quasi come quella tra Vico Mastrodotti e Vico del Consiglio, che oltre a Padre Pio benedicente sfoggia una fila di vasi con le piante a fare da barriera contro i sacchetti. «Ma ci hanno chiesto duemila euro, quelli della strada volevano metterci due euro a testa… e quando ci apparavamo? », mastica amaro Gianni. Pioggia e freddo spazzano la città e allontanano la paura di infezioni. Ma quella contro l’immondizia è una battaglia ciclica, ricomincia sempre da dove sembra sia finita. Sotto le finestre della scuola elementare Paisiello, in quel vico Montecalvario Primo che era stato ripulito ventiquattr’ore dopo l’intervento del Corriere, qualche manina ha riportato tavole di legno rotte e detriti dei cantieri. Passa una donna della zona e fa una faccia nauseata: «Stiamo sempre punto e daccapo, ’sti bastardi!». Ci vorrebbe un po’ di coscienza. O magari basterebbe un vigile urbano. Non è nemmeno questione di mezzi: soldi, in questi anni, ne sono stati buttati tanti. «Otto miliardi in quindici anni di commissariamento!», sbotta Lina Lucci, quarantenne tosta, segretario generale della Cisl campana in una città di radicati luoghi comuni maschilisti. Nel vento che sferza piazza Dante, guarda i sacchetti puzzolenti che non risparmiano più nessuno, oggi va un po’ meglio nei Quartieri, molto peggio in altre zone, il disastro è trasversale e interclassista: «Mi domando come mai la Iervolino non chieda lo stato d’emergenza, come mai il governo non decreti lo stato d’emergenza, in questo che è un vero stato d’emergenza. Il governo ha un problema di immagine, ma la Iervolino?». Pochi metri più avanti c’è l’incrocio di via dei Pellegrini, una montagna di spazzatura e una bandiera tricolore piantata in cima come un oltraggio. Una signora con la spesa sottobraccio si ferma a insultare un fotografo, «è tutta colpa vostra», strilla, «noi non siamo così, ha ragione Berlusconi!». Sfila la bandiera dai rifiuti, la arrotola e se la porta via, chissà verso dove.
I napoletani sono stufi di questa storia e forse anche di loro stessi . In mattinata la pioggia inonda Agnano e i sacchi di munnezza galleggiano a pelo d’acqua come salmoni assassinati, Posillipo non si salva, al Vomero e all’Arenella la gente butta i sacchetti per strada, blocca la circolazione, insulta qualche dipendente dell’Asìa, l’azienda che dovrebbe far sparire questo schifo: si rischia la rissa, prima o poi succederà. La bandiera italiana sta diventando un’immagine chiave di questa crisi. «Metteteci su un bel tricolore», strilla uno dalla macchina su via Salvator Rosa, grande arteria che porta al Vomero, quartieri alti e buoni, dove i cumuli formano una specie di guardrail maleodorante. Nel mucchio ci sono peluche, pneumatici, perfino ciò che resta di un motorino forse rubato. Altre automobili rallentano, vedono fotografi e cronisti, la gente s’affaccia ai finestrini, ha voglia di farsi sentire, di usare il disastro collettivo per ricordare al mondo il proprio problema individuale: «Non vi scordate i parcheggi per disabili, io tengo due stampelle e non so dove mettere ’sta macchina», grida una donna c oi c a pelligrigi . La mondezza è una calamita delle proteste, l’altro giorno gli operai dell’Astir senza paga inseguivano la commissione europea venuta a indagare sul disastro ambientale. I napoletani strillano «noi ci siamo!», arrampicati sopra cumuli d i spazzatura. Il presidente di Legambiente, Michele Buonomo, dice che nelle discariche campane c’è disponibilità «per un milione e centomila tonnellate di rifiuti». A Napoli e provincia ce ne sono a terra diecimila: «Non sposterebbero niente, in quelle discariche, diecimila tonnellate in più. Ma tutti litigano con tutti, cominciarono Bassolino e De Luca». L’ultima condanna è questa babele continua, questa rissa che avvelena come percolato: e che rischia di lasciare Napoli tutta sola, coi suoi santi e i suoi padrini.
Goffredo Buccini