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 2010  dicembre 01 Mercoledì calendario

BERSANI "ECCO COME POSSIAMO BATTERE BERLUSCONI"

E allora, segretario, come sta? E non mi dica «bene»...
«Sto da Dio».
Pier Luigi Bersani sorride largo, con quella sua faccia da gatto del Chesire. Da gatto che ha mangiato il topo, si direbbe, anche se tutti i topi, nel suo partito e fuori, vorrebbero mangiarsi lui. È giovedì 18 novembre, siamo nel suo studio alla Camera, un ufficio neanche troppo grande nella Galleria dei Presidenti (la stanza che per tradizione viene riservata al capo dell’opposizione). Il segretario del Pd è ancora gasato dal blitz che ha fatto in mattinata a Palazzo Chigi, quando è entrato come un tornado nella sede del governo per esigere che Silvio Berlusconi facesse qualcosa per i rifiuti di Napoli. Un commesso lo ha accolto con una battuta che gli è piaciuta molto: «Già qui?».
Sta bene perché ci sono i primi sondaggi che darebbero vincente il centrosinistra?
«In realtà sono molto preoccupato. Ho una lunga esperienza di governo, a tutti i livelli, e il mio chiodo fisso è: come si fa a raddrizzare la baracca? Ho timori per l’Italia. Soprattutto per le nuove generazioni: come facciamo a dare lavoro ai più giovani?».
Lei ha due figlie. Pensa a loro?
«Anche. L’altro giorno si è laureata Elisa in Storia Medievale. Ha sempre preso 30 o 30 e lode. Molti ragazzi italiani hanno preso una buona laurea, ora hanno il problema di che cosa farsene. È un interrogativo lancinante, che riguarda tutti. Anche la mia generazione ha cominciato nella precarietà, ma avevamo sempre dentro l’idea che prima o poi si sarebbe arrivati, che si andava verso il meglio. Ora questa sensazione non c’è più, i giovani hanno davanti la nebbia. E la stessa insicurezza delle famiglie è legata a questo aspetto».
Qual è la prima cosa che c’è da fare per le famiglie italiane?
«Se governassi, farei subito la riforma fiscale, per alleggerire il peso delle tasse sui redditi medio-bassi e i nuclei familiari numerosi. Poi naturalmente investimenti per le imprese, caricando invece sulle rendite finanziarie
e l’evasione fiscale».
Quella dell’evasione fiscale è una vecchia litania...
«Oggi gli strumenti ci sono. Non è facile ma si può fare. Per dare alle famiglie una chance in più di sopravvivenza». Ci sono 11 milioni di cittadini che non pagano un euro di tasse. Di fronte a questo dato lei pensa che siamo più poveri o che ci sono troppi evasori totali?
«Non che manchino i poveri, purtroppo, ma ci sono troppi evasori totali. C’è una scarsa fedeltà fiscale, incoraggiata da una ideologia deleteria: fai come me, che faccio quel che voglio. Uno che evade le tasse dovrebbe vergognarsi di chiamare l’ambulanza quando ne ha bisogno! La politica lo deve dire forte: intanto paga, perché se no pagano gli altri al posto tuo. Non voglio fare il Robespierre, non amo le ghigliottine. Ma dico: facciamo una Maastricht della fedeltà fiscale, arriviamo anche soltanto alla media europea. Potremmo recuperare 40 o 50 miliardi».
Un nuovo miracolo italiano...
«È scandaloso che l’aliquota più bassa di una famiglia di un operaio o di un artigiano sia più alta di quella di chi ha speculato su un prodotto finanziario. È il mondo a rovescio».
Segretario, parliamo del Pd e delle sue alleanze. Un cittadino che sia potenziale elettore del centrosinistra non ci sta capendo nulla. Quando vi decidete a fare un po’ di chiarezza su quello che volete fare?
«Bisogna rendere credibile un’alternativa positiva. Partiamo da una considerazione: Berlusconi in questi anni è riuscito a mettere assieme tutto il potenziale del centrodestra, cioè non ha sfondato verso sinistra. Nel frattempo noi abbiamo pagato il prezzo delle divisioni e della mancanza di compattezza. La mia proposta parte ovviamente dal Pd: l’alternativa non si fa solo con noi, ma senza di noi non è possibile. Il Pd deve essere il punto ordinatore di un nuovo schema. Che, per me, è questo: un’alleanza tra le forze che si dichiarano di centrosinistra, però col vincolo che sia un’alleanza di governo. Io non voglio rifare l’Unione, l’ho già detto chiaramente nelle discussioni che abbiamo con la Federazione della sinistra. Sui temi della democrazia si ragiona con tutti, ma sul tema del governo il patto deve essere stringente. Abbiamo convenuto con loro che l’alleanza di governo non è possibile, mentre si può stare insieme per difendere la Costituzione o per cambiare la legge elettorale».
Quindi le forze più a sinistra sono definitivamente escluse?
«Diciamo che con loro non c’è una prospettiva di patto di governo, ma di dialogo sui temi democratici».
Cioè anche con Sinistra e libertà di Nichi Vendola?
«No, il discorso non vale per coloro con i quali già governiamo a livello locale. Con Vendola e Di Pietro noi siamo pronti a discutere di un’alleanza che abbia credibilità dal punto di vista della compattezza vera. Però con meccanismi per garantirla, perché a tutti i prezzi noi non ci stiamo. Per esempio, uno dei vincoli è di poter discutere con le forze di opposizione che si dichiarano di centro, e cioè l’Udc, per valutare un patto di governo».
E con Fini?
«Io parlo di Casini. Allo stato attuale penso che Fini stia facendo una sua proposta di ristrutturazione del centrodestra. Non c’entra nulla».
Non si fida di lui?
«Non dico questo. È che stiamo discutendo di alternativa. Ma adesso abbiamo un altro problema, più urgente. Mi segua. Si tratta di transitare verso una fase in cui si possano confrontare progetti nuovi. Il fallimento del centrodestra è evidente e nasce, al di là delle ville o non ville, dal fatto che questo governo non ha incrociato positivamente i problemi sociali ed economici della crisi. Tutti noi abbiamo vissuto in una democrazia deformata che non è stata in grado di decidere, perché il meccanismo di personalizzazione basato sul ghe pensi mi ci ha portato a non concludere niente. Ora dobbiamo uscire da questa fase con una transizione che dica: prima di tutto riscrivo le regole del gioco. Per farmi capire: toccasse mai a me, io il mio nome sul simbolo non-lo-voglio! Nel mondo democratico occidentale non ce l’ha nessuno. È una deformazione populista che serve solo a fare consenso fittizio, per un giorno, ma non decide mai niente. Quindi: rifare la legge elettorale, affrontare alcune emergenze e poi mandare il Paese di fronte ad alternative nuove. In questa fase sono disposto a discutere con chiunque voglia parlare di transizione. Qui c’entra ancora Casini, ma anche Fini o chi, dentro la maggioranza, avesse intenzione di confrontarsi».
Ci sono, nella maggioranza, interlocutori così?
«Non lo so. Però penso che, una volta dichiarata la crisi formale del governo, su queste ipotesi ci sia la possibilità di discutere. Del resto, le altre ipotesi sono distruttive».
Per esempio?
«Prima possibilità: andiamo avanti così? Siamo da anni avvitati sui problemi di un uomo solo, non ci stiamo occupando di nulla di nulla, lodi alfanì, gossip, non si cava un ragno dal buco. E il Paese non è governato. Due: facciamo un Berlusconi bis? Siamo a un passo dal delirio, anche perché sarebbe il quater, abbiamo già dato...Tre: cerchiamo una soluzione dentro il perimetro di questa maggioranza, magari senza Berlusconi? Intanto, senza di lui è un’ipotesi illusoria, non lo vedo come un tipo che si auto-pensiona. In ogni caso il centrodestra ormai è un campo di Agramante, non è in condizione di andare avanti. Ancora: tiriamo fino a Natale e andiamo a elezioni anticipate...».
La possibilità più concreta.
«Si. Traccheggiamo, galleggiamo...».
E si vota a fine febbraio.
«Tecnicamente si arriva almeno a primavera. Benissimo. Vorrebbe dire avere un governo funzionante dopo l’estate. Cioè propiniamo a questo Paese sei mesi di confronto su Berlusconi sì, Berlusconi no. Pericolosissimo, anche perché arrivano altri problemi».
La tempesta atlantica, l’Irlanda, il Portogallo...
«Esatto. Ma non basta. Con questa legge elettorale chi ottiene poco più del 30 per cento prende tutto. Nomina i parlamentari e poi anche il prossimo presidente della Repubblica. In altre parole, si da tutto il potere a uno che ha contro il 70 per cento degli italiani!».
Anzi, il 70 per cento di quelli che vanno a votare.
«Già».
E se a vincere fosse il centrosinistra?
«Non mi andrebbe bene lo stesso, per le medesime ragioni. Io sono convinto che, se si vota, noi Berlusconi lo battiamo. Magari di un punto, ma lo battiamo. Il problema è che qui c’è in gioco l’Italia. Ecco il perché di un governo di responsabilità nazionale».
Affidato a chi? Una personalità esterna? Mario Draghi? «Nutro rispetto per il capo dello Stato. Ho una mia opinione ma la dirò a lui».
E questo ipotetico governo quanto dovrebbe durare?
«Non necessariamente fino alla fine della legislatura. Ma dovrà essere chiaro sulle cose che intende fare e in quali tempi».
Tra queste cose ci deve essere anche una seria legge sul conflitto di interessi? Oppure, come ha scritto La Repubblica, il rispetto letterale della norma che prevede l’ineleggibilità per chi ha concessioni governative, come le tv?
«Una legge sul conflitto di interessi noi l’abbiamo già presentata. Ma ogni volta che si parla di ineleggibilità mi viene in mente il Bricchi».
Chi, scusi?
«Tanti anni fa, nel mio piccolo comune, volevamo mettere in lista l’attacchino. Però, siccome lui era titolare di una concessione pubblica, quella per le affissioni appunto, non fu possibile. Quando penso a Berlusconi mi viene in mente il Bricchi, che andava in giro con il suo cagnolino e la pennellessa, e non poteva candidarsi... Prenderemo di petto questo problema approvando il disegno di legge che abbiamo preparato. E poi, guardi, Berlusconi ha fallito su una cosa molto semplice da capire: da quando "gira" lui, l’Italia è solo peggiorata. Più tasse, meno occupazione, più burocrazia... Ecco, io Berlusconi voglio mandarlo a casa conquistando la testa degli italiani, convincendoli che è franata la promessa del ghe pensi mi. E che è una illusione immaginare, come è stato fatto in questi anni, "farà qualcosa per lui ma farà qualcosa anche per me", fra l’altro la vera chiave del suo successo. In tanti cominicano a capire che, in 16 anni, l’unica condizione che davvero è migliorata è stata quella di Berlusconi. E di nessun altro». È vero che volete rottamare le primarie?
«E perché mai?».
Be’, con Milano, e dopo la Puglia, è la seconda volta che vince il candidato non sostenuto dal Pd.
«Sono vicende diverse. In Puglia fu un problema di schieramento, a Milano di persone. Il gruppo dirigente locale pensava che Stefano Boeri fosse la persona più adatta a tentare un allargamento delle alleanze, ma non è affatto detto che non lo sia Giuliano Pisapia».
Non nascondiamoci dietro un dito. Il problema saranno le primarie nazionali. E qui torna il solito problema della sua mancanza di carisma...
«Il carisma è una cosa misteriosa. Senta: io balle non ne ho mai raccontate, e nessuno mi convincerà a iniziare adesso. Certo, posso cambiare, posso cercare di migliorare, ma la mia idea è che al dunque contano solo la sincerità e l’autenticità. La politica è anche questo: uno si trascina i suoi difetti, basta che la gente li capisca. Un po’ come succede in famiglia, mica siamo perfetti!».
Quindi non farà corsi di comunicazione, magari per imparare a stare in tv?
«Non intendo raccontare favole. Io guardo ai fatti. So che bisogna far sognare, ma i sogni devono avere gambe per camminare. Vorrei che la gente vedesse dai miei gesti concreti, e non dalle chiacchiere, di che pasta sono fatto. E poi mal sopporto questo tirarmi continuamente per la giacca. Mi si dica quale altro segretario di partito è stato eletto con il meccanismo delle primarie. Faccia il giro di tutti gli altri partiti: come rispondono?».
Ma se tutti gli altri sono partiti «personali», non ha il dubbio che siete voi a sbagliare?
«Lo dico sempre ai miei: se abbiamo sbagliato, abbiamo sbagliato di grosso. Ma se ci abbiamo preso, siamo anni avanti. D’altra parte, guardando al resto del mondo occidentale e democratico, gli altri hanno meccanismi simili al nostro».
Be’, un po’ ovunque la politica è fortemente personalizzata.
«Sì, ma pro tempore. Fanno congressi o primarie che legano la leadership a un progetto e a un processo limitato nel tempo, non c’è la monarchia mascherata da democrazia. E non mettono il nome sulla scheda. Un sistema personalistico come quello che ci governa oggi non può produrre riforme, perché insegue il sondaggio del giorno dopo. Magari produce miracoli, ma durano 24 ore. È la politica dell’Auditel: raccoglie pubblicità ma non governa».
Segretario, si è piaciuto da Fazio e Saviano? Che le hanno detto in famiglia?
«Che sembravo un po’ emozionato. E lo ero. Mi sentivo come inscatolato, mi toccava fare un po’ l’attore. Ma mi è piaciuta soprattutto quell’incredibile Italia che ha seguito il programma: oltre 9 milioni di persone, tantissimi giovani, che hanno dimostrato di voler anche pensare, e non solo guardare trasmissioni trash».
Il suo elenco dei valori di sinistra è stato massacrato da Marco Travaglio: belle parole, dice, ma avete sempre fatto il contrario...
«Chi chiacchiera venga a fare un giro dove ho avuto la fortuna di governare. Vada a vedere come stanno un anziano, un bambino, un immigrato, come noi abbiamo tradotto quei valori dalla teoria alla pratica di tutti i giorni. Me lo lasci dire: è vergognoso questo continuo straparlare».