Vincenzo Cerami, Il Messaggero pag. 28 24/11/2010, 24 novembre 2010
NEI COMICS LA PAROLA FA RUMORE
Mi accorgo di aver fatto, fin qui, molti riferimenti al fumetto senza approfondire di cosa si tratta da un punto di vista linguistico e narratologico. Ne ho parlato per definire lo storyboard e per accostarlo alla tecnica geometrica e bidimensionale della comicità, ma è il caso di fare alcune considerazioni di fondo e, perché no, dare qualche consiglio a chi vuole scrivere una sceneggiatura per una graphic novel (un vero e proprio romanzo a fumetti) o per vignette umoristiche.
La mia breve pratica di autore di fumetti mi fa essere prudente, per questo mi terrò sulle generali. Tuttavia non posso negare che nelle esperienze fatte (fino a oggi due copioni per la disegnatrice Silvia Ziche e un vero e proprio racconto giallo per Milo Manara) mi sono giovato di anni e anni di lavoro sul racconto per immagini. A quel punto mi è bastato un po’ di buon senso e l’amore sviscerato che da ragazzino avevo per i «giornaletti». Per alcuni anni, quando andavano di moda, mi sono appassionato anche ai fotoromanzi, che in fondo, come modalità narrativa erano fumetti. Solo che invece del disegno mettevano in scena attori in carne e ossa, immobili e in posa per l’obiettivo fotografico.
La narrazione disegnata incatena una lunga serie di immagini istantanee che catturano un preciso momento dell’azione o l’espressione di un personaggio in un punto cruciale della vicenda. Sono fisse ma devono evocare un movimento che è stato congelato nell’inquadratura. Dobbiamo pensare a un film muto che procede a scatti, senza continuità reale, un fotogramma per volta, lentamente, invece che 24 fotogrammi al secondo come nel cinema. Il linguaggio è esclusivamente rivolto all’organo della vista, non ci sono né suoni né voce né musica. I rumori e gli effetti sonori sono scritte onomatopeiche, in genere a caratteri vistosi: grrr, stump, gram, ooooohhhh, urrah, panft, ahio, zàcchete, puf, patapùmfete, patatrac, aargh, zot, zumpappà, clap clap... In nessuno degli altri linguaggi visivi i suoni vengono indicati per iscritto, così come i dialoghi, i sogni e i pensieri (questi ultimi chiusi in una nuvoletta che galleggia evanescente sul personaggio, o addirittura raffigurati concretamente con immagini). La lampadina accesa sul pensiero è l’idea fulminea, illuminante. Il punto interrogativo è un dubbio. Si può perfino raccontare la mancanza di idee non mettendo nulla dentro la nuvoletta del pensiero. I grandi maestri del fumetto umoristico, a cominciare da Jacovitti, sanno mimare il caos e l’azione scatenata riempiendo la singola vignetta di dettagli esilaranti: gli uccellini o le stelle che girano intorno alla testa di chi ha preso un colpo, la luna che se la ride in un angoletto del cielo notturno.
Il fumetto «drammatico», sia di impianto realistico che fantastico, ha la sua forza nella suggestione degli ambienti, nel dare l’idea delle tre dimensioni. Le atmosfere giocano un ruolo centrale. Lo sceneggiatore le indica nel copione, ma sarà la mano del disegnatore a realizzarle secondo una logica tutta visiva.
Come il racconto cinematografico, anche la storia a fumetti si costruisce in due fasi diverse: prima impostando la narrazione a livello di macrodrammaturgia per poi scendere nel dettaglio di ogni riquadro. Solo che nel fumetto ci si concentra soprattutto sulla drammaturgia della singola pagina prima ancora che della singola tavola. L’attenzione del lettore aumenta se girando foglio ha subito una sorpresa, un’apparizione inaspettata, un colpo di scena. La prima immagine che compare nella pagina successiva, dopo che si è arrivati a leggere fino in fondo quella precedente, deve dare un’emozione. Esempio: in coda alla pagina che si sta leggendo si vede un personaggio che apre tranquillamente una porta; in testa alla pagina successiva l’uomo è spaventato, spalle alla porta, dentro una grande inquadratura infernale, con demoni e fiamme.
Il racconto nel fumetto è una sequenza di pagine ognuna delle quali ha una struttura calcolata, tesa a creare suspense in favore della pagina successiva. Di conseguenza ogni riquadro si mette al servizio non solo dell’intero racconto, ma anche della pagina isolata. La drammaturgia della singola pagina è peculiarità esclusiva del fumetto.
Ora concentriamoci su un’altra, fondamentale specificità del fumetto: l’inquadratura. Ovviamente sta al disegnatore, più che allo sceneggiatore, inventare il taglio dell’immagine, il punto di vista del lettore. Tuttavia è sempre bene che lo sceneggiatore «veda» ciò che descrive. Ha comunque la facoltà e la maestria di proporre l’alternanza di primi piani, totali e dettagli. Ma quello che fa dell’inquadratura del fumetto qualcosa di molto diverso da quella del cinema è la distorsione espressiva dell’immagine. Faccio un esempio: voglio descrivere un militare terribile e autoritario, lo vedo dietro la sua marmorea scrivania mentre aggredisce e minaccia un soldatino indifeso. Lo immagino in soggettiva della vittima, in piedi dietro il tavolo, i pugni serrati e poggiati sul ripiano, la schiena ricurva in avanti e gli schizzi di saliva che gli escono dalla bocca perché sta urlando come un forsennato. In cinema la macchina da presa verrebbe posta frontalmente al personaggio: emergerebbe dalla scrivania con tutta la sua abbondante corpulenza.
Nel fumetto si può fare di più, si può aumentare ulteriormente la mostruosità del militare, non solo esagerando con il disegno l’espressione violenta del volto, ma anche modificando la geometria dell’ambiente. Il disegno permette di trasgredire le leggi della prospettiva. Il tavolo può diventare l’emblema del potere se presentato con un’angolazione incombente e carismatica. In cinema si potrebbe costruire un tavolo «non realistico», enorme e dall’aspetto aggressivo. Solo che non potendo l’attore essere a sua volta ingigantito, il personaggio risulterebbe piccolo e lontano, al contrario di ciò che si vuole. Questo perché la macchina da presa riproduce ciò che inquadra. Il fumetto invece può ingigantire la scrivania del militare e il militare stesso, deformando la realtà. Solo nei cartoon e nei film in 3D il cinema ottiene effetti non realistici, illusioni ottiche credibili e coerenti, proprio come nelle storie a strisce.